Sabatini a Fanpage: “Il calcio è vizio e dramma, la Juve sarebbe una sfida elettrizzante”
C'è solo un uomo che può mettere insieme nel suo percorso di vita Totti e Pasolini, Spalletti e Garcia Marquez, Pastore e Joyce. Quell'uomo è Walter Sabatini, il più anticonformista dei dirigenti italiani che nella sua autobiografia, ‘Il mio calcio furioso e solitario' edito da Piemme, si è descritto così: "Tendo ad essere una persona libera, anche se schiava di molti vizi".
In realtà Sabatini non voleva essere quello che gli altri hanno raccontato perché poi tutto diventa ‘grottesco', viene ridimensionato a ‘macchietta', invece lui ha vissuto a mille all'ora ogni situazione, ogni momento. In alcuni casi la situazione è sfuggita di mano ma ora tutto procede per il verso giusto. 68 anni, ex giocatore che non è più riuscito a staccarsi dal calcio per un legame e una passione viscerale per questo sport: "Questo sport ha una sua importanza legittima perché accende i cuori, accende la fantasia, diverte e ha tutta una serie di requisiti che lo rendono necessario. Il calcio è uno sport necessario. Chi pensa il contrario non ha il minimo senso poetico".
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo ha iniziato una trafila che lo ha portato ad essere direttore sportivo di Lazio e Palermo, di Roma e di Inter, di Sampdoria e Bologna fino alla Salernitana, ultimo capolavoro con la salvezza arrivata quando nessuno avrebbe mai scommesso un euro sulla squadra granata.
Amante alla follia del pallone ma non del mare, ama il suo mestiere come pochi e per scoprire talenti nelle altre parti del mondo spesso utilizzava due orologi: "Uno dei due era sul fuso sudamericano. Mi veniva spontaneo guardarlo per fare delle domande a club, agenti o procuratori: quando c’hai fretta c’è bisogno di immediatezza". Calcio a 360°, 24 ore al giorno. Ai microfoni di Fanpage.it Walter Sabatini si è soffermato sul momento che sta vivendo il calcio italiano, sulle sue esperienze passate e ha anticipato qualche dettaglio sui suoi progetti per il futuro.
Direttore, come sta il calcio italiano? Si è parlato di rinascita per il buon percorso delle squadre in Europa: lei cosa ne pensa?
"Non penso che il calcio italiano avesse bisogno di una rinascita, perché andrebbe apprezzato sempre. La Serie A rappresenta un agone di contesa eccezionale, non abbiamo nulla da invidiare agli altri campionati europei. Abbiamo migliori allenatori e calciatori fortissimi. Le prestazioni in Europa lo testimoniano. È nella psiche degli italiani piangersi addosso e ci piace far emergere questo sentimento di emulazione rispetto agli altri, ma sono gli altri a doverci copiare".
Partiamo dalla sua ultima tappa. Come si pianifica il lavoro in una situazione complessa come quella della Salernitana di due anni fa?
"Quel tipo di lavoro non si pianifica. È un lavoro febbrile che viene portato avanti in pochissimi giorni. Io ho puntato su un sentimento di rivalsa, di sfida al calcio nazionale e alla stampa. Ho provato ad accendere l’orgoglio dei ragazzi. Il 7% è diventato uno slogan e a volte sono le piccole cose che cementano un gruppo e lo rendono forte. Ho preso 9 giocatori e la squadra è stata quasi rivoluzionata ma tutto questo non sarebbe servito se non fosse emerso un modo di essere, una volontà di sfidare chiunque. Noi eravamo in una situazione tragica e non avevamo troppo tempo per programmare il futuro. In quel momento il futuro non esisteva, c’era il baratro".
Le rotture sono figlie di tanti motivi e non c’è mai una sola verità: cosa è successo a Salerno per portare ad un addio inaspettato dopo il capolavoro sportivo di quella portata?
"C’è stato uno scontro su un giocatore, che noi avremmo potuto e dovuto recuperare da un’agenzia. C’è stato uno scontro sull’importo da pagare tra me e Iervolino e poi, da un punto di vista formale, devo dire che aveva ragione Iervolino ma io sono molto spigoloso in determinati momenti. In quel caso aveva ragione lui e ci siamo lasciati imprevedibilmente nonostante il mio contratto era già pronto. Le cose nel calcio succedono. La strada era disegnata e poi c’è stato un incidente. Con me sono ricorrenti, purtroppo mi è capitato diverse volte nella mia vita. Non posso disconoscere la verità. Io sono il primo censore di me stesso e mi assumo le mie responsabilità, ma non vivo di rammarico casomai di senso di colpa. Non ho rammarico di com’è andata la mia storia e non ho nessuna recriminazione da fare".
Le plusvalenze sono diventate argomento quotidiano da qualche mese: perché questa parola è diventata una specie di ‘male assoluto’ quando, in realtà, molti club hanno impostato il loro modus operandi su di esse?
"Perché si è verificato quell’inciampo della Juventus, che riguarda anche altre squadre (perché le plusvalenze incrociate non si fanno da soli, ci vuole il concorso di altre società). Io, ad esempio, quando prendo un giocatore ho sempre valutato prima di tutto se è un rinforzo per la squadra e se è un prodotto rivendibile. Cioè, se poteva rappresentare una plusvalenza in futuro. Non ho mai preso un calciatore solo per l’aspetto tecnico ma ho valutato anche l’aspetto valoriale ed economico. Questa è la cosa che dovrebbero far tutti perché con questo modo di operare si tengono a posto i conti delle società: io non sopporto club con posizioni debitorie di 200 milioni, lo considero uno scandalo e mi sento tradito come professionista visto che apparteniamo tutti ad uno stesso movimento e tutti dobbiamo concorrere affinché sia sano. In questo momento non lo è perché ci sono moltissimi club con problemi, a parte alcuni virtuosi: il Napoli per primo, perché non solo sta vincendo ma ha dei conti floridi; ma ci sono anche Udinese e Sassuolo che hanno saputo lavorare bene".
A Roma è mancato solo lo Scudetto?
"Sì, ma non è una mancanza da poco. È una cosa che mi tormenta ancora oggi. Mi è capitato di parlare anche in famiglia dei punti che sono mancati che portare lo Scudetto a casa: gli 85 punti garantirebbero la vittoria in qualsiasi epoca ma siamo stati fortunati a trovare una Juventus che faceva 100 punti. Nonostante il mio enorme rammarico devo accettare questa situazione, noi lavoriamo per far felici i tifosi e il fatto di non esserci riuscito mi ferisce profondamente”.
È vero che quando facevate le riunioni lei e Zeman la stanza era avvolta nel fumo delle vostre sigarette ed era difficile per gli altri stare con voi?
“Pochissime persone restavano, perché scappavano tutti. Non era un ufficio, era una nube tossica. Ma ci siamo anche divertiti“.
Il suo rapporto con l’Inter è durato meno di un anno: il progetto che aveva in mente di fare un network in ‘stile Manchester City’ è un rimpianto o era impossibile arrivare a quei livelli?
"Non era impossibile quando sono partito per poterlo fare, anzi. Era incoraggiante l’atteggiamento di Suning e della proprietà. Il problema è che dopo c’è stato un intervento del governo, che con una direttiva ridimensionava il calcio e lo abbassava d’interesse sul piano degli investimenti. Questo ha portato ad un cambio di strategia sia per chi lavorava in Cina che all’estero e questo network, che avrebbe comportato degli investimenti su tutto il territorio europeo e sudamericano, è venuto meno. Il progetto nella mia mente esiste ancora perché è un modo di fare calcio molto remunerativo. È un’idea che ho ancora e la porterò avanti quando troverò un investitore o un club disponibile a farlo. Non è nella mia mentalità mollare".
Si dice che lei avesse due orologi con due fusi orari diversi: può confermare o è una delle tante storie intorno al personaggio Sabatini?
"Li portavo soprattutto nel periodo della Roma e uno dei due era sul fuso sudamericano. Mi veniva spontaneo guardarlo per fare delle domande a club, agenti o procuratori: quando c’hai fretta c’è bisogno di immediatezza".
Come e se è cambiato il modo di lavorare del direttore sportivo negli ultimi anni? Di cosa non si può fare a meno oggi per fare questo mestiere bellissimo e faticosissimo?
"Oggi il direttore sportivo è diventato una rotella dell’ingranaggio, una volta era un frontman e faceva tutte le cose. I nuovi club richiedono un lavoro di gruppo, quindi il ds diventa uno del gruppo. Questa è una cosa che mi fa molto soffrire perché per me è quell’elemento che affronta di petto tutte le situazioni tecniche, economiche e disciplinari. Oggi è richiesta l’organizzazione di un gruppo di lavoro molto composito e il direttore dovrebbe esserne parte".
Ci può dire cos'è che guarda in un calciatore la prima volta che lo vede? Una cosa che un appassionato di calcio normalmente non noterebbe.
"L’immediatezza. Il calciatore forte è immediato nella decisione e nell’esecuzione. I tempi di latenza, ovvero tra il pensare una cosa e farla. Quando c’è immediatezza siamo di fronte ad un giocatore di caratura, su questo non ci sono dubbi".
Nel lavoro di direttore sportivo esiste l'invidia? E se sì, qual è il giocatore che le ha fatto provare questo sentimento?
"Non mi hanno mai soffiato calciatori, però l’invidia come sentimento estremo è deprecabile. Un sottile filo di invidia, invece, è accettabile e comprensibile. Io ho detto più volte in passato di essere invidioso del lavoro che Giuntoli ha fatto al Napoli, ma non era invidia cattiva ma era una sorta di ammirazione eccessiva, un sentimento molto umano“.
C’è un calciatore che avrebbe voluto acquistare e non è riuscito a chiudere?
"No. Io ho lavorato per club potenti e quando io mi muovevo con un carrarmato. Spesso dipende per chi lavori, la forza te la dà il club. Non mi è mai successo di mancare un colpo, potrei aver perso un calciatore mediocre che magari ho fatto in modo io di perderlo. Ma non il contrario".
Qual è il progetto calcistico italiano che le piace di più in questo momento?
"Ci sono molte società in Italia lavorano molto bene. Il Sassuolo lavora bene, l’Udinese forse anche di più, c’è l’Atalanta e ultimamente anche il Torino si sta muovendo in quella direzione: c’è grande competenza. Ce ne sono diversi che io apprezzo. Adesso anche il Genoa che torna in Serie A sarà da tenere d’occhio: ha una proprietà importante e si muoverà certamente bene anche sul mercato perché avranno possibilità di muovere i giocatori".
L’unico che peccato è che non ci sarà il derby con la Sampdoria.
"La retrocessione delle Sampdoria è un lutto nazionale perché ci sono club che non dovrebbero mai subire un’onta come questa, ma una situazione così passiva e annunciata come questa è una cosa triste. Triste soprattuto per i tifosi che hanno riempito lo stadio anche nei momenti più duri. È un vero peccato".
Il Napoli metterà il suo nome nell’albo d’oro della Serie A dopo un dominio di Juventus-Inter-Milan che durava dal 2001: che valore ha questa vittoria per tutto il movimento?
"Incommensurabile. Perché il Napoli ha vinto dopo aver fatto una politica per rientrare nei costi, abbattendo i salari e cedendo calciatori molto importanti, sostituendoli con sconosciuti. Hanno vinto un campionato in maniera dittatoriale perché hanno fatto una stagione irripetibile. Queste sono che fanno bene al calcio perché tutti vorranno emulare il Napoli nei prossimi anni e ci sarò una spinta verso il nuovo e verso il diverso”.
Quanto è affascinante in questo momento, dagli occhi di un direttore sportivo, la sfida Juventus?
"Sarebbe un’esperienza elettrizzante, per chiunque".
Il calcio viene visto come metafora della vita da tanti poeti e scrittori, oltre allo stroytelling un po’ abusato negli ultimi tempi, e ne parla anche lei nel libro: diamo troppa importanza a questo sport o la passione è talmente forte che non c’è modo di separare le due cose?
"Si intrecciano ma questo non significa che diamo troppa importanza. Questo sport ha una sua importanza legittima perché accende i cuori, accende la fantasia, diverte e ha tutta una serie di requisiti che lo rendono necessario. Il calcio è uno sport necessario. Chi pensa il contrario non ha il minimo senso poetico".
Direttore, cos’è il calcio per lei.
“Il calcio è un lavoro, non è un gioco. Sbaglia chi dice questo perché il calcio è un vizio, è un dramma e presuppone un impegno fisico intellettuale e mentale totale. 24 ore al giorno e a volte non bastano perché ti avanzano delle cose per il giorno dopo”.
Qual è il segreto del successo del calcio?
"Tutti credono di poter fare, dire e sindacare. Mentre altri sport, di cui non si conoscono neanche le regole, non avranno mai lo stesso successo. Oggi chiunque può esprimere un giudizio perché la sensazione di poter dire la propria è il segreto della sua popolarità”.
Un gioco per concludere. Un giocatore per ogni caratteristica che le elenco.
- Velocità di pensiero
Pjanic - Visione di gioco
Totti - Tiro
Salah - Intelligenza tattica
Strootman - Creatività
Miccoli
Tutto questo è Walter Sabatini, in direzione ostinata e contraria rispetto al modo di fare e intendere il calcio oggi.