Roberto Baggio ancora oggi è senza eredi (e il suo calcio resta un mistero)
Ora, che sono passati 17 anni dall’addio al calcio, possiamo fare una riflessione di fronte all’affermazione: “Da quando Baggio non gioca più / Non è più domenica”. È vero quindi che senza Roberto Baggio in campo abbiamo perso il goccio di sapore nel mordere il calcio con tutta quella voglia che avevamo quando il più grande campione sulla Terra era dei nostri? Per fortuna no, il lamento di Cesare Cremonini era lo sbuffo di un attimo, ogni giorno ormai qualcuno ci dà indietro quello che chiediamo da 90 minuti e più di divano assonnato, anche perché allo stadio per adesso non ci si può andare. Però Baggio…
Oggi ci sono i grandi campioni giovani, basti vedere l’ultimo Mbappé del Camp Nou e il desiderio di vedere il calcio ti salta subito addosso, però Baggio… Roberto Baggio per quelli che lo hanno visto nella fascia di età fra i 10 e 20 anni è stato davvero qualcosa di speciale. Magari capita a tutti a quell’età, però chi lo ha vissuto negli anni ’90 da preadolescente ha davvero immaginato mondi diversi grazie a lui.
Prima di tutto non potevi non ammirare Baggio. E l’ammirazione è importante, perché sé è vero che crea sempre una distanza con l’altro, ci dà anche lo spunto e la forza per connetterci a un sogno, che è vissuto da un’altra persona ma che ce lo mostra e lo nobilita anche ai nostri occhi. Quando ammiriamo qualcuno o qualcosa, finiamo per riflettere anche su noi stessi e su quello che ci circonda. Lo dice chiaramente Platone nel Teeteto: “Questa emozione, questa ammirazione, è propria del filosofo, né la filosofia ha altro principio che questo”.
Ammirando Roberto Baggio quindi abbiamo fatto ragionamenti sul bello, sul giusto, sul desiderio, sulla negazione di esso, sul dolore e sulla mancanza. Quel “Non è più domenica” di Cremonini in fondo dice proprio questo e non possiamo che esserne grati a Roberto Baggio per quello che ci ha mostrato con le sue ginocchia di cristallo.
Ammirare però è stare fermi con gli occhi aperti, mentre l’oggetto di ammirazione ci mostra la sua arte. E ancora una volta accadeva proprio questo con Roberto Baggio, per il quale tutti, tifosi o no della sua squadra, hanno avuto con lui una relazione di estasi e immersione, senza nessun tentativo di conoscenza e replica.
Fateci caso. Tanti vogliono imitare i campioni del passato. C’è chi maradoneggia, chi vuole portare il pallone come Messi, chi guida la squadra come Cruijff, mai nessuno ha voluto o potuto seguire le orme di Roberto Baggio. Eppure ha giocato in un calcio già completamente globale e televisto. Forse la risposta è nel modo in cui giocava Baggio e non intendo la dimensione tecnica o tattica.
In tutto il suo percorso calcistico, ma anche nel come semplicemente si muoveva in campo e provava le sue magie, Roberto Baggio sembrava giocare quasi essenzialmente per se stesso, la sua partita era una sorta di autoanalisi sulle capacità e l’immaginazione umana. Maradona voleva che il popolo lo seguisse, Cruijff era l’architetto della contemporaneità, Messi esprime una sorta di magia automatica, Ronaldo il fenomeno era Pelé con 20 chilometri all’ora in più nel motore.
Roberto Baggio è mistero, tutto quello che pensa ancora oggi del suo calcio e del calcio contemporaneo lo tiene per sé e non lo ha mai mostrato nemmeno quando giocava, tanto è vero che in ogni partita disputata è riuscito a farci vedere qualcosa di completamente nuovo che non ci aspettavamo, men che meno da un calciatore disintegrato dagli infortuni e con l’età che passava. Come lo descrivi in due righe Roberto Baggio? A chi si ispirava? Qualche calcio voleva? Come voleva far giocare la sua squadra? Cosa voleva vincere? In cosa voleva competere? Queste domande non hanno risposte ed è l’unico grande campione di calcio a cui non serve nemmeno darle.
Era fuori dallo scorrere delle cose. Sì, intorno a lui si è giocata la partita fangosa del numero 10 morente o da uccidere (tanto è vero che Ancelotti non lo volle al Parma perché non sapeva dove metterlo nel 4-4-2), ma il gioco di Baggio non ne ha mai risentito. Ogni volta che scendeva in campo parlava a se stesso. E noi lì, in silenzio assoluto, a cercare di capirci qualcosa.