Repice ricorda Bruno Pizzul: “In Corea eravamo arrabbiati con Byron Moreno, lui ci diede una lezione”

Bruno Pizzul avrebbe compiuto 87 anni tra pochi giorni. Voce storica e indimenticabile della Nazionale Italiana di calcio, per anni ha raccontato le partite degli azzurri tra Mondiali, Europei e qualificazioni. La sua morte ha lasciato un vuoto in tutti coloro i quali sono cresciuti ascoltando quelle telecronache, i racconti e quella profonda conoscenza del calcio che riusciva a far appassionare tutti. Il giornalista Francesco Repice, radiocronista di "Tutto il calcio minuto per minuto" su Radio Rai, ha affidato a Fanpage il suo ricordo di Pizzul.
"L'ho visto l'ultima volta un anno e mezzo fa in Friuli per una festa del vino – racconta -. Lui conosceva benissimo il vino, la grappa, era un grande conoscitore. Era un uomo di cultura e in quella terra di cultura ce n'è veramente tanta. Ricordo che eravamo in una piazza di fronte alla casa che l'aveva visto nascere con dei racconti splendidi e c'era la popolazione che pendeva dalle sue labbra". Poi il racconto dei Mondiali in Corea e Giappone con quell'insegnamento mai dimenticato: "Riuscì a sdrammatizzare col suo garbo e la sua puntualità cronistica ciò che stava accadendo in quel mondiale sfortunato".

Qual è l'episodio legato a Pizzul che ricorda maggiormente?
"In Giappone, a Ōita, me lo ricordo con Giacomo Bulgarelli dopo partita della nazionale contro la Croazia persa 2-1 in quella famosa arbitrata da Moreno. Noi eravamo tanto arrabbiati e lui ci fece capire che si trattava di calcio, e che bisognava mettere le cose al posto giusto. Ci fece capire che il calcio era un valore ma non era così importante come noi stavamo facendo capire con comportamenti sopra le righe".
Pizzul e quel racconto della tragica notte dell'Heysel.
"Il suo capolavoro giornalistico fu in quella terrificante notte dell'Heysel nel 1985. Ricordo quella frase distintamente: ‘Ora ho una notizia che devo dare'. Quella frase mi colpì tantissimo da teleascoltatore con quel tono che si fece grave, solenne e la cronaca della partita che passò in secondo piano. Secondo me non avrebbe nemmeno voluto continuare ma riuscì a darci la fotografia di quello che stava accadendo e riuscì a farlo nelle sua maniera, senza ferire nessuno ma col tono di chi stava guardando qualcosa di assolutamente pazzesco e irrazionale".

Ma cos'è che ha reso Pizzul così grande?
"C'è da dire che è stato anche un calciatore vero, di livello, e abbinava questa sua capacità di narrare il calcio e l'evento sportivo alla conoscenza dello stesso evento sportivo perché sul campo c'era stata davvero: insomma conosceva la materia".
Che insegnamenti le ha trasmesso?
Q"uando mi ascoltava in radio mi diceva: ‘Ma perché mi fai venire le palpitazioni?'. Mi diceva sempre che gli facevo venire l'ansia ma penso che a suo modo mi volesse bene trattandomi sempre con grande gentilezza".
Cos'altro ricorda?
"Mi ha insegnato che alla fine stiamo parlando di pallone, non bisogna esagerare con le tattiche, numeretti, neologismi attuali… mi ha insegnato questo ma anche tantissime altre cose, tipo la capacità di linguaggio, la conoscenza della lingua. Lui è stato l'erede e giustamente designato di Nando Martinelli con la capacità di entrare nelle case, di creare un rapporto con chi ascolta, vede e colui che racconta quello che vede".

Cos'ha "inventato" Pizzul?
"Secondo me lui e Martellini, insieme a Paolo Valenti, hanno insegnato il modo di stare nelle case degli italiani sempre tenendo ben presente di cosa si stesse parlando, senza andare oltre, fare stucchevoli polemiche, senza esagerare con le polemiche sugli arbitri, ecco da Pizzul queste cose non dovevi aspettartele perché da uomo di calcio sapeva che quelle cose succedevano in un campo di calcio perché nel calcio si vince e si perde e si va avanti raccontando quello che è: una partita di pallone".
Cosa c’è di suo nelle telecronache di oggi?
"Nelle telecronache di oggi di suo è rimasto sicuramente la conoscenza tecnica, il vocabolario, la fluidità, rimangono queste cose qui. La Rai è stata anche un modo anche per divulgare la nostra lingua e anche di questo lui è stato maestro".