Quanto costava vedere il calcio in TV 20 anni fa, quando la Serie A era una cosa seria
DAZN ha ufficializzato i nuovi prezzi per guardare il calcio italiano in TV e streaming nella stagione 2022/2023 e non sono mancate le polemiche. La piattaforma streaming ha reso note le cifre degli abbonamenti che permetteranno ai tifosi di assistere su dispositivi portatili e fissi alle partite della Serie A, 7 in esclusiva, 3 in condivisione con Sky. In poche ore il web e i social sono stati tempestati dalle proteste di appassionati e utenti, che non hanno gradito sia l'aumento che la novità relativa alla doppia tipologia contrattuale. Oltre al profilo standard da 29.99 euro al mese, ecco il plus da 39.99 che permetterà di vedere un evento live su due dispositivi in due luoghi diversi. In questo modo DAZN, che può anche aumentare i prezzi a campionato in corso, ha cercato di contrastare la condivisione del profilo, e gli accessi scorretti e fraudolenti. In tanti hanno sottolineato la crescita impazzita dei costi relativi alla visione del calcio in TV, sottolineando come in passato si pagasse di meno. Ma è proprio così? Non proprio.
Facciamo un salto indietro nel tempo, e torniamo dunque alla stagione 2003-2004, quella dell'avvento di Sky con la fusione di Stream e Telepiù che confluirono nella piattaforma di Murdoch. Il primo anno fu tribolato visto che la contrattazione per i diritti televisivi non era portata avanti dalla Lega ma dai singoli club con offerte più basse dunque per le società minori. Fallito il tentativo di una nuova TV gestita proprio dalla Lega Calcio, si creò uno scenario frammentato, andatosi poi a ricomporre nell'annata successiva con l'accordo totale con Sky di tutti i club. Ma quali erano i prezzi che tifosi e appassionati dovevano sostenere inizialmente per vedere la Serie A in TV su Sky e qual era l'offerta?
Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, Sky offriva così tutta la Serie A, la Serie B la Champions, la Coppa Uefa. Oltre al calcio, poi spazio a basket con Eurolega e NBA, volley, tennis, golf, wrestling e ciclismo, senza poi dimenticare magazine, speciali, dirette e rubriche. I prezzi studiati inizialmente da Sky, prevedevano diversi pacchetti: quello che offriva la possibilità di vedere i canali base e gli eventi sportivi, con una selezione dei match, costava 32 euro (Primo Sky + Sport Sky), per vedere invece tutti i match italiani e internazionali e tutti gli eventi sportivi, il pacchetto full costava 47 euro (Primo Sky + Sport Sky + Calcio). A queste cifre bisognava aggiungere i 7 euro al mese per l'affitto del decoder. In sintesi dunque per vedere tutto il calcio sul satellite bisognava pagare 54 euro all'esordio di Sky.
Una cifra che dunque è quasi identica a quella attuale proposta da DAZN (considerando anche l'aggiunta di NOW TV, che con 14,99 permette la visione di tutta la Champions), ma che va ovviamente contestualizzato anche al periodo e soprattutto al momento del calcio italiano. Basti pensare che si arrivava da una finale di Champions tutta nostrana, tra Milan e Juventus, con una Serie A molto più competitiva rispetto a quella attuale, piena zeppa di campioni. Uno dei momenti più alti per il pallone italico, che poco dopo si sarebbe sgonfiato per la vicenda Calciopoli. Si trattava dunque di un prodotto più vendibile, con il cliente che si trovava di fronte ad un'offerta completa che garantiva la possibilità di vedere tutte o quasi le partite, e anche gli altri sport. Senza dimenticare anche che al contrario di quanto avviene oggi grazie a internet e ai social, i gol e gli highlights si potevano vedere di fatto solo pagando e attraverso le pay per view. Ovviamente questo, al netto dei vantaggi della proposta attuale che prevede anche la visione in HD e la possibilità di giovare dei vantaggi dello streaming, senza limiti temporali o di dispositivi.
20 anni fa dunque quella di Sky, era sicuramente una proposta più favorevole per il cliente alla luce della qualità degli eventi proposti. Il problema di fondo, che poi si è venuto ad evidenziare sempre più nel corso degli anni, è quello legato al modo in cui il business dei diritti tv è stato gestito. La Serie A ha tratto sostentamento in maniera quasi totalitaria dalla vendita dei suddetti diritti, che al momento in cui sono stati gestiti esclusivamente dalla Lega hanno rappresentato l'unica fonte di sostentamento dei club. Per questo in occasione di ogni bando di vendita l'istituzione che cura gli interessi del massimo campionato ambisce ad incassare cifre più alte. Questo spinge le emittenti ad alzare le cifre da far pagare poi per gli abbonamenti, con le conseguenze del tutto dunque che ricadono direttamente sugli appassionati.
Come risolvere dunque il problema? Probabilmente si doveva pensare ad un altro modello di business, non incentrato solamente sui diritti televisivi italiani, ma anche sulla vendita dei diritti all'estero. Questo avrebbe consentito, come accaduto per esempio in Premier, di far aumentare in maniera notevole il giro d'affari. Di questo probabilmente ne avrebbero giovato tutti, con maggiori introiti per i club, e prezzi più accessibili ai tifosi che al momento hanno sulle spalle anche il sostentamento dei club, attraverso gli abbonamenti TV. Non è un caso che nelle Assemblee di Lega in programma è stato inserita puntualmente all'ordine del giorno, la discussione sulle strategie per la cessione dei diritti televisivi internazionali del prossimo bando. La Serie A infatti sta capendo che ora si devono concentrare molto su quello che si può fare all'estero, perché è questo quello che è mancato negli ultimi anni. Così si spera di poter colmare il gap, con gli altri Paesi con una proposta più sostenibile per il nostro calcio.