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Quando i calciatori dell’Italia non cantavano l’inno di Mameli

Le immagini dei calciatori della Nazionale che cantano a squarciagola l’inno di Mameli da anni, ormai, diventano sistematicamente virali all’estero. Ma l’interpretazione così passionale da parte degli azzurri è storia piuttosto recente. Fino a poco prima del Mondiali del 2006 gli azzurri erano soliti restare in silenzio sulle note dell’inno nazionale. Un comportamento che a lungo ha suscitato dibattiti e polemiche sul loro senso patriottico.
A cura di Valerio Albertini
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Da qualche tempo, i calciatori della Nazionale italiana sono molto apprezzati, anche all'estero, per l'intensità con la quale cantano l'inno di Mameli. Sui social diventano virali foto e video degli azzurri intenti a cantarlo a squarciagola, ma difficilmente ci si ricorda che le cose non sono andate sempre così. Fino a poco prima dei Mondiali di Germania 2006, nei quali l'Italia ha trionfato in finale con la Francia, quasi tutti i giocatori della Nazionale non cantavano l'inno. A intonare le note erano davvero in pochi e, anche coloro i quali lo facevano, cantavano in modo quasi sommesso. Non era diffusa la tradizione di cantare l'inno con un certo trasporto, che ormai oggi ci sembra scontata.

Nei primi anni 2000, quando il Presidente della Repubblica era Carlo Azeglio Ciampi, grande studioso dell'inno, il mancato canto dei calciatori della Nazionale era diventato un tema di dibattito tra gli italiani e aveva generato anche delle polemiche nei confronti degli azzurri, accusati di avere poco senso patriottico.

Scorrendo le immagini delle manifestazioni sia mondiali che continentali prima del 2006, infatti, ci si può accorgere con immediatezza di cosa stiamo parlando. Gli azzurri non hanno cantato l'inno nel 1982, eppure quella sarà sempre ricordata come una tra le nazionali più "italiane" di sempre, con simboli del nostro calcio come Dino Zoff e Paolo Rossi che non hanno intonato una nota per tutto l'arco della manifestazione. Non è accaduto nemmeno durante le notti magiche di Italia '90, quando l'unico a cantarlo davvero era Walter Zenga, nulla rispetto al silenzio del capitano Beppe Bergomi, di un giovane Paolo Maldini o di Roberto Baggio. Non lo intonava nessuno nel Mondiale del '94, perso in finale contro il Brasile, pochissimi (sempre sussurrando) in quello del '98.

Il tentativo di Ciampi di cambiare le cose e la differenza con l'Italrugby

Per diverso tempo la scelta degli azzurri è rimasta inosservata, finché non sono rimasti gli unici atleti italiani a non cantare l'inno di Mameli. Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, è stato senza ombra di dubbio il Capo dello Stato che più si è prodigato nel modificare questa tradizione, ma ha potuto vedere i risultati del suo lavoro solo una volta terminata la sua carica, finita a meno di un mese dall'inizio di Germania 2006. Già nel 2000, alla vigilia delle Olimpiadi di Sydney, Ciampi aveva suggerito intensamente agli atleti azzurri di cantare l'inno:

Questo simbolo ci vede tutti uniti. Entrerete nello stadio di Sydney dietro di esso e troverete un grande calore che vi stupirà. Vi accorgerete della forza del sentimento di italianità. Spero che sia suonato frequentemente a Sydney e spero anche che nel cantarlo abbiate maggiore consapevolezza di quei valori che nelle prime due strofe sono già sottolineati: unità e libertà.

Il Presidente della Repubblica aveva notato con dispiacere il silenzio di giocatori della Nazionale di calcio agli Europei olandesi, a eccezione di Toldo e Delvecchio, ed era deciso a cambiare le cose. La polemica era montata anche in seguito alla differenza notata con la Nazionale di rugby, che in occasione delle prime partecipazioni al Sei Nazioni aveva dato prova di un grande attaccamento all'inno. La differenza viene poi rimarcata più volte negli anni successivi, con gli azzurri dell'Italrugby (oriundi compresi) portati ad esempio del senso di patriottismo richiesto ai calciatori.

Nel 2002, quando la Nazionale si reca dal Presidente della Repubblica prima di partire per i Mondiali di Giappone e Corea, Ciampi si mostra meno pretenzioso nei confronti degli azzurri, chiudendo una polemica ormai andata troppo per le lunghe: "L'inno si canta quando viene spontaneo cantarlo. Ricordatevi però che è l'inno del risveglio degli italiani, che li ha portati alla libertà. Almeno a me dà la carica". Sono in pochi, però, a seguire il suo consiglio e anche coloro che lo cantano continuano a farlo sussurrando, senza la carica e l'intensità che vediamo oggi.

Il cambiamento inaspettato a Germania 2006

Tutto cambia nel 2006. Prima di Italia-Ghana, gara d'esordio degli azzurri ai Mondiali, gli italiani notano con grande sorpresa che tutti i giocatori, tranne uno, cantano l'inno a piena voce. È una novità assoluta, che piace molto e rinnova un senso di patriottismo che era andato un po' perso fino a quel momento. I risultati positivi aiutano e la scena si ripete anche nelle partite successive.

L'unico a non cantare l'inno di Mameli è Mauro German Camoranesi. Argentino di nascita e italiano di passaporto dal 2003, quando gli chiedono il motivo della sua scelta, risponde sinceramente: "Non canto l'inno perché non lo conosco, però i miei figli lo cantano. Non canto nemmeno quello argentino. Al Mondiale sono italiano, ho preso la decisione di giocare con questa maglia". Le sue prestazioni e quelle dell'Italia in generale fanno passare in secondo piano questa vicenda, mentre da quel momento il canto dell'inno da parte degli azzurri diventa una tradizione radicata, ancora oggi apprezzata anche all'estero.

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