Psg pigliatutto, il monito di Gazidis: “Facile non badare a spese, ma poi la magia finisce”
È stato scelto dal fondo di investimento Elliot per rilanciare il Milan e adesso è uno dei manager più apprezzati nel calcio europeo. A dicembre Ivan Gazidis festeggerà tre anni da amministratore delegato e direttore generale dei rossoneri. In una lunga intervista a Sette, il settimanale del Corriere della Sera, ha toccato tanti argomenti, dalla sua malattia al problema del razzismo, dallo stadio al bel momento del Milan, riservando anche una stoccata al Psg dopo l'addio di Donnarumma.
Gli spunti più interessanti riguardano la squadra: "Pioli lo definisco un uomo curioso, che segue come il calcio si evolve, ma guarda anche all'ambizione dei suoi giocatori. Il calcio è anche un gioco mentale. Ci sono giocatori la cui influenza va oltre la performance in campo, si sviluppa nel 5% che danno in più a tutti gli altri. Ibra è così. Ma anche Kjaer è un leader e, con stili diversi, posso dire lo stesso di Kessie e Bennacer". Poi c'è la società che rappresenta: "Siamo stati tra le poche squadre al mondo a poter investire in estate e possiamo guardare con serenità al futuro. Il Milan sta crescendo dal punto di vista economico e la gente sta tornando ad essere orgogliosa di essere milanista. Quello che conta è costruire questo senso di appartenenza, altrimenti si tratta solo di stare a guardare dei milionari che prendono a calci un pallone. Ecco perché ho detto dal primo giorno che sarebbe stato difficile, a volte servono decisioni impopolari".
Una su tutte, quella di Donnarumma, andato via a parametro zero e di cui Gazidis parla indirettamente per affrontare un discorso più generale. "Il calcio non ha più i proprietari benefattori di una volta. È un modello che è cambiato 30 anni fa, con l’arrivo del denaro dei diritti tv: tanti soldi, nessun controllo dei costi. In questo contesto chi cerca di proteggere il club è visto come il diavolo, ma non è così". Il riferimento non troppo velato è al Paris Saint Germain e alla sua campagna acquisti faraonica: "È facile apparire creando una squadra senza badare a spese, ma quando la magia finisce poi giungono i problemi. Perché non si può spendere per sempre. Chi dice no è solo abbastanza coraggioso da mettere gli interessi della società al primo posto".
La pandemia ha messo a dura prova il calcio, ma la soluzione, dice Gazidis, non è la Superlega. La sua esperienza in Usa può servire da lezione: "Nella MLS conta formare i giovani calciatori americani e anche quando ero all'Arsenal abbiamo investito molto in un programma che coinvolgeva ragazzi dai 9 ai 16 anni: tra questi c'erano gli attuali top-player Saka e Sancho. L'Italia è un paese conservatore esattamente come lo era l'Inghilterra dieci anni fa, è arrivato il momento di cambiare anche se qualcosa sta già cambiando come dimostra la Nazionale".
Investimenti sul futuro, come lo stadio. "Prima lo facciamo e meglio è, noi siamo pronti. Milano deve avere due squadre e due stadi a livello mondiale e questo sarà importante anche per la città perché i turisti non vedranno solo il Duomo" dice convinto Gazidis. Lui, figlio di due sudafricani attivisti contro l'apartheid, ha parlato anche del problema razzismo che ha recentemente coinvolto anche il portiere rossonero Maignan: "A volte è facile deprimersi, però resto ottimista: il calcio è un fantastico esempio di inclusione che produce risultati e, al tempo stesso, amicizia. I ragazzi che seguono il calcio vedono un musulmano per quello che riesce a fare come giocatore e come uomo. Kessie non è un uomo nero, è un eroe".
Sulla malattia, un carcinoma alla gola che ha scoperto di avere in estate, ha rassicurato tutti: "Mi sento bene: sono molto impegnato, riesco a coniugare il lavoro e le terapie. Sembra che stiano avendo effetti positivi, mi rendono fiducioso per un pieno recupero, spero di tornare il prima possibile. Sono rimasto senza parole per i messaggi che mi sono arrivati dalla grande famiglia Milan. Tutto questo mi sta dando un’energia incredibile. Ora capisco cosa provano i giocatori quando sentono la spinta dei tifosi allo stadio".