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Prandelli: “L’aspetto più imbarazzante dell’Italia agli Europei è stato uno, Thiago Motta non è un ‘giochista’”

Cesare Prandelli a Fanpage.it ha parlato del momento del calcio italiano dopo l’eliminazione agli Europei, delle difficoltà del movimento azzurro nell’aiutare la crescita di nuovi talenti e ha chiarito alcune situazioni della sua esperienza da CT della Nazionale.
A cura di Vito Lamorte
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"Non c'è niente di nuovo nel calcio". Cesare Prandelli non è convinto che il calcio sia così cambiato come si dice spesso in questo periodo e lo ribadisce senza troppi giri di parole: "Vorrei rispondere a quelli che dicono che è cambiato tutto: chi è il giocatore in campo che fa più tocchi durante la partita? Il portiere. Se hai cambiato tutto così, vuol dire che si è sbagliato a cambiare tutto".

L'ex allenatore di Parma, Lecce, Fiorentina, Verona e Venezia il 13 marzo 2023, a due anni dall'ultima esperienza in panchina, ha annunciato il proprio ritiro ma non ha mai smesso di guardare il calcio: "La passione è rimasta, anzi, c’è più di prima". Però non è convinto di alcune dinamiche che si sono innescate nel dibattito calcistico italiano: "Oggigiorno mi sembra che si vada al di là del talento, sono innamorati più dei sistemi di gioco, del ‘giochismo’, diciamo, e non dell'aspetto tecnico. Questo mi preoccupa molto".

Prandelli è stato il CT che ha portato l'Italia più in alto prima della vittoria dell'Europeo del 2021 ed è anche l'unico si è dimesso in questi ultimi 14 anni in cui il movimento azzurro ha vissuto più bassi che alti. L'allenatore dei Orzinuovi ha guidato la Nazionale dal 2010 al 2014, centrando il secondo posto a EURO 2012 e subendo una cocente eliminazione al primo turno ai Mondiali in Brasile. Il picco e la caduta. Da quel momento, però, solo Roberto Mancini è stato in grado di fare meglio e lo stesso ex CT si pone delle domande: "Più che bilanci, secondo me, dobbiamo farci una domanda e capire dove vogliamo andare e come ci arriviamo".

A Fanpage.it Cesare Prandelli ha parlato del momento del calcio italiano dopo l'eliminazione agli Europei, delle difficoltà del movimento azzurro nell'aiutare la crescere di nuovi talenti e ha chiarito alcune situazioni della sua esperienza da CT della Nazionale.

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Cosa fa oggi mister Prandelli.
"Sono diventato nuovamente nonno poco tempo fa e passo molto tempo con la mia famiglia".

Il calcio fa sempre parte della sua vita come prima, oppure lo segue con più distacco?
"Ma in questo momento non è la priorità, ma la passione è rimasta intatta e quindi mi piace vederlo, mi piace analizzarlo e mi piace anche capire dove stiamo andando. Ho visto quasi tutte le partite degli Europei, ad esempio".

A proposito di Europei, qual è il suo punto di vista sull’Italia: cosa non ha funzionato?
"È difficile rispondere a questa domanda. Cos'è successo? Non lo so di preciso. È successo che avevamo forse troppe aspettative, con poco tempo a disposizione Luciano ha potuto fare quello che ha potuto fare. Non è che puoi fare i miracoli con la banchetta magica. Sono venuti  fuori tutti i nostri problemi ma, onestamente, non pensavo che avremmo avuto difficoltà a livello caratteriale e temperamentale. Quello è l'aspetto più imbarazzante. Problemi tecnici, ok; problemi di qualità, magari sì; ma non questi. Quindi non saprei dare una risposta su cosa non ha funzionato. Il carattere l’abbiamo sempre avuto e stavolta non c’era".

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A distanza di 10 anni nel dibattito pubblico si è tornati ai temi che vennero tirati fuori dopo l’eliminazione in Brasile con lei in panchina: l’Italia non è cresciuta per niente come movimento da allora?
"Ci siamo un po’ seduti tre anni fa dopo l'Europeo, invece dovevamo analizzare meglio un po' il percorso e come siamo riusciti a vincere. Io sto dicendo da tanti anni che i dati vanno letti: noi da un punto di vista della competitività e della qualità fino ai vent'anni siamo molto competitivi, poi c'è qualcosa che non funziona e bisogna capire perché. La cosa che mi preoccupa di più in questo momento è capire come poter cambiare dal punto di vista della metodologia dell'insegnamento perché non siamo più capaci a insegnare ai talenti a crescere. Siamo diventati molto bravi dal punto di vista tattico e tutti gli allenatori sono tutti preparati. Io quando parlo di allenatori parlo del mondo non professionistico ma parlo di quegli altri, ovvero quelli che devono portare al professionismo questi giocatori".

Quindi gli insegnanti.

"Esatto, gli insegnanti, gli allenatori insegnanti. Una volta c'erano gli allenatori insegnanti che quando arrivava un talento cercavano di preservarlo, cercavano di farlo crescere, e anche magari aiutandolo da un punto di vista della crescita anche psicologica. Oggigiorno mi sembra che si vada al di là del talento, sono innamorati più dei sistemi di gioco, del ‘giochismo’, diciamo, e non dell'aspetto tecnico. Questo mi preoccupa molto".

Cesare Prandelli, ex allenatore e ct della Nazionale italiana.
Cesare Prandelli, ex allenatore e ct della Nazionale italiana.

Quindi meno talento ma più attenzione magari all'idea tattica, al sistema.
"Sì, esatto. Quindi dobbiamo ritornare a riscoprire i talenti, a farli crescere, ad allenarli e saperli allenare. Mi è piaciuta molto l'idea e il concetto che ha che ha espresso Fabio Caressa, dice che in questi anni si è arrivato a un punto in cui il calcio è diventato un calcio per pochi, come se fosse concettuale, e quindi diventa il protagonista chi spiega cosa vuol dire un calcio concettuale. Quindi è importante chi non è il protagonista in campo, ma chi ha un'ideologia, ecco. E secondo me è interessante quello che ha detto, perché il calcio invece, se vogliamo fare un rapporto sull'arte, è più un'attività figurativa che deve accendere lo spettatore. Il calcio se rapportato all’arte è figurativo non è concettuale".

Il motivo dell’assenza di talenti in Italia è davvero perché ‘non si gioca più in strada’ come dicono tanti o c’è altro?
"Diciamo che è un insieme di cose messe insieme. Prima si vedevano i ragazzini in strada tutti i giorni e a tutte le ore ma era un mondo diverso. Anche io da piccolo ero sempre fuori a giocare col pallone e spesso le abilità si sviluppavano così. Ora c'è anche il fatto della sicurezza, che tanti genitori hanno paura di lasciare i figli per strada e preferiscono tenerli a casa. Ma è un discorso molto complesso che non riguarda solo lo sport in sé, ci sono tante cose messe insieme. Alla base, però, c’è sempre la passione".

Che momento è per il calcio italiano dopo due mancate partecipazioni ai Mondiali e un’eliminazione di questo tipo agli Europei.
"Più che bilanci, secondo me, dobbiamo farci una domanda e capire dove vogliamo andare e come ci arriviamo. Questo, dobbiamo dire. Dove siamo collocati? Cosa vogliamo fare? E soprattutto, forse è arrivato il momento di fare le cose, non di proclamarle. Alla base ci deve essere la voglia di di risolvere il problema assieme, io parlo di federazione e lega. Federazione e lega sono indispensabili, assolutamente, questo è tutto. Devono fare un programma comune e i frutti andranno valutati in quattro-cinque anni".

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Lei ha allenato una delle Nazionali che vengono ricordate con più piacere anche se non ha vinto: perché secondo lei?
"Non lo so, sinceramente, forse perché abbiamo accettato tante provocazioni, ma poi alla fine erano coinvolgimenti. Da lì nasce l'idea che è la Nazionale di tutti. La Nazionale, quando qualcuno ha bisogno, deve rispondere assolutamente. Ok, ci sono, cosa possiamo fare? Ricordo che avevamo un dibattito a Bologna Io e il presidente federale Giancarlo Abete con Don Ciotti ci ha provocato dicendo ma voi federazione ‘cosa pensate di fare quando portano via un sogno, un bambino e questo campettino di calcio che non si può più giocare eccetera’. Noi abbiamo detto ‘Ok, ci siamo'. Chiaro che sono decisioni forti, sono decisioni che possono creare qualche problema però l'abbiamo fatto proprio con l'idea di dire che la Nazionale deve essere a disposizione di tutti. Soprattutto quando non puoi più far sognare dei bambini, tutti perdono. E quindi abbiamo accettato di andare lì, di andare nei terremotati. Insomma, ci siamo messi a disposizione. Ci siamo avvicinati molto di più alla gente comune. Abbiamo aperto l'allenamento prima delle partite perché c’è stato un momento in cui eravamo sempre a porte chiuse. Abbiamo fatto dall'iniziativa dove siamo stati all'inizio provocati e poi abbiamo accettato di essere presenti".

Prima dell’Europeo andaste anche ad Auschwitz, o sbaglio?
"Sono dei posti dove tutti dovrebbero andare per non dimenticare, ogni tanto va ricordato quel posto per farlo conoscere a tutti".

Come ha fatto a far coesistere Cassano e Balotelli?
"Devo dire che non c'è stata molta difficoltà, loro in Nazionale hanno sempre dato una massa di disponibilità non hanno mai creato nessun tipo di problema. Antonio e Mario hanno amato la maglia azzurra. Mario ancora oggi in alcune sue dichiarazioni spesso fa trapelare quella voglia di tornare a indossarla. Credo che la maglia azzurra sia quella che ha amato di più nella sua carriera e tuttora vorrebbe essere ancora tra i possibili candidati. Mai avuto problemi con loro, mai. È stato facilissimo, da parte mia non ho fatto nulla, sono stati loro bravi nell’accettare determinate situazioni e comportamenti, quindi bravi loro. Mi fa piacere che alcuni rimpiangano Cassano e Balotelli dopo dieci anni perché vuol dire che allora c'era talento. Li hanno massacrati tanti eppure dopo dieci anni se ne parla ancora, questo vuol dire che questi due giocatori non hanno avuto il riconoscimento che meritavano".

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Un calciatore che faceva parte della spedizione in Brasile disse che il gruppo ai Mondiali era stato stravolto dopo gli Europei del 2012 e la Confederazione Cup del 2013: secondo lei non andò bene per questo motivo o ce ne sono anche altri?
"A me piace parlare sempre ed esclusivamente degli aspetti tecnici. Quando c'è una spedizione europea o mondiale devi parlare dell’aspetto tecnico, comportamentale cosa vuol dire? È una scusa per non prendersi le proprie responsabilità. Io mi sono preso la mia responsabilità. Era la mia squadra, ho voluto quella squadra e non siamo riusciti a far gol al Costa Rica. Siamo andati in fuorigioco 14 volte. Vuol dire che dal punto di vista tecnico qualcosa non ha funzionato. Quindi, io mi prendo la mia responsabilità e quei giocatori che dicono adesso che l'ambiente era diverso, dovrebbero prendersi la propria, facendo un esame di coscienza su quello che hanno fatto in quel momento. Sempre la colpa all'ambiente, alla mentalità, ai comportamenti diversi. Io mi sono preso la mia responsabilità, perché è sempre comunque tecnica. Il fallimento è tecnico, non è comportamentale. Sorrido quando leggo queste cose. Spesso queste uscite degli ex calciatori non felicissime perché dopo dieci anni te ne vieni con questa cosa ma, magari, potevi far qualcosa di più in quel momento per risolvere la situazione".

Lei è stato l'ultimo a dimettersi dopo un risultato negativo dell'Italia: che effetto le fa? Perché nel calcio italiano è così difficile assumersi le responsabilità?
"Non ho mai commentato e non lo farò mai. Non c'è nessuna finalità in questo gesto. Se tu sei così, sei così. Punto. Io sono cresciuto in questo modo. Mio papà mi ha sempre detto di prenderti la responsabilità delle cose che fai tu, se le cose non le fai bene ti prendi la responsabilità e non la scarichi su altri. È una discussione che ho fatto in tempi non sospetti, nel 90, quando ho fatto il supercorso a Coverciano: lì la prima regola è mai dimettersi. E io ho sempre discusso questa cosa con il mio maestro, Franco Ferrari, ma tante discussioni veramente. Ho amato Franco Ferrari, è stato un docente meraviglioso, una persona speciale per me, ma non sono mai stato d’accordo su questa cosa. Io quando mi sono dimesso a Lecce, dopo il girone di andata lui non era d'accordo e mi ha chiamato dicendomene di ogni ma poi hanno fatto peggio di me, molto peggio di me, e quindi non ero io il problema".

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Parliamo di Serie A. Cosa pensa della nuova Juventus di Thiago Motta che sta nascendo?
"Thiago lo conosco, l'ho avuto in Nazionale, ed è stato molto criticato, dicevano che era lento. Io non ho mai visto un giocatore così veloce con la testa, ma velocissimo. Era talmente veloce che tanti altri non riuscivano a capire la velocità di pensiero. E questa velocità di pensiero l'ha portata anche in panchina.  È l'unico allenatore giovane è riuscito a stupirmi perché non è un ‘giochista’, come adesso vengono definiti, ma è un allenatore che sviluppa gioco con concetti basici, cioè occupare gli spazi, tempi diversi, ruotare il triangolo, senza esasperare il ‘giochismo’. E quindi mi piace molto perché diventa una squadra molto imprevedibile. I giochisti più o meno dopo qualche partita capisci hanno le solite triangolazioni, i soliti tagli, i soliti tempi di inserimento, palla avanti e palla dietro, arriva il terzo, cambia gioco, la sovrapposizione… tutte cose viste e riviste. Invece il Bologna di Thiago ha dimostrato che puoi giocare a calcio con una mentalità propositiva in qualsiasi zona del campo. Sono stato molto contento quando l'anno scorso è riuscito a fare il campionato che ho fatto solo. Ha valorizzato molti giocatori".

Sarà l’anno della consacrazione di Vlahovic in bianconero?
"Ma io penso che Dusan potenzialmente sia veramente forte. Con Thiago, secondo me, riuscirà a esplodere  nel senso che probabilmente lo coinvolgerà di più nel gioco. Una cosa è chiara, Dusan ha bisogno di lavorare fisicamente. Al Bologna l'anno scorso tutti correvano per tutta la stagione. Secondo me potrebbe essere l'anno veramente importante per Dusan. Sicuramente Allegri gli avrà dato anche tanti consigli importanti e l’ha fatto crescere da un punto di vista umano, di personalità. Ogni allenatore porta qualcosa al giocatore".

La Fiorentina sta cambiando tanto, dall’allenatore ai calciatori: che stagione sarà per la Viola.
"La Fiorentina dovrebbe porsi un obiettivo. Dire, in tre anni voglio arrivare in Champions League. La squadra potenzialmente era forte, strutturata bene. Mi piacerebbe ascoltare la società che dicesse cose chiare. Io quando sono arrivato a Firenze la prima cosa che mi diss la proprietà, i Della Valle, era che dovevano stare nella parte sinistra della classifica. La parte destra vuol dire che non va bene. Noi fortunatamente siamo stato secondi, terzi, quarti, ed eravamo più veloci rispetto al progetto. Cosa vuol dire questo? Che tante volte sono i giocatori stessi che fanno i progetti, che fanno i programmi, che puntano gli obiettivi e quindi sono molto curioso perché l'allenatore è un ottimo allenatore. È molto simpatico, è furbo e si capisce che ha la capacità di leggere le partite, cambiarle…non è rigido. Poi c'è anche da dire che questa Fiorentina arriva da tre anni fatti molto bene. Le finali sono state molto sfortunate, però non ci si può dire assolutamente riprovare nulla a Italiano. Sono stati tre anni importanti. Sono dinamiche che non conosco, non capisco perché non abbia continuato e mi sono anche un po' meravigliato di questa scelta. Non lo so".

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Lei ha scritto una delle pagine europee più belle della Fiorentina nel 2010: ripensa mai al gol irregolare del Bayern?
"Lasciamo perdere, ma questo me lo ricorderò sempre, quando trovo dei tifosi in strada a Firenze. Øvrebø credo che ce lo ricorderemo per tutta la vita. Avrebbe cambiato il destino di tanti… della società sicuramente, della squadra, di giocatori, allenatori, tutti. Però sono passati tanti anni. I fiorentini non dimenticano".

Prandelli scrisse una lettera molto bella alla Fiorentina e ai tifosi nel 2021, quando decise di dimettersi usando parole molto importanti: “Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più”. Cosa non vedeva più in quel mondo, che prima vedeva, mister Prandelli?
"Stavano cambiando i valori, i rapporti, e quindi quando ti senti inadatto, fai le tue riflessioni. La passione è rimasta, anzi, c’è più di prima. Anche entrando nelle dinamiche nuove, che poi non c'è niente di nuovo nel calcio. Perché i principi puoi scomporli, poi alla fine il gioco del calcio è quello. Quello che è cambiato nel mondo del calcio è, secondo me, la gestione, i rapporti e determinati valori. Quando mi dicono che è cambiato tutto penso che non sia proprio vero, quello che è cambiato di più è che ci sono più cambi rispetto a prima e questo può dare un aiuto all'allenatore, alla gestione del gruppo. E poi cos'è cambiato? Vorrei rispondere a quelli che dicono che è cambiato tutto: chi è il giocatore in campo che fa più tocchi durante la partita? Il portiere. Se hai cambiato tutto così, vuol dire che si è sbagliato a cambiare tutto. Cioè, il portiere che fa più tocchi. Riflettiamoci. Perché negli ultimi 15 anni non abbiamo più attaccanti, esterni offensivi e calciatori che fanno uno contro uno? Noi queste cose le dicevamo anche 15 anni fa, ma dobbiamo mettere mano alla situazione e dobbiamo veramente cambiare perché altrimenti diventa complicato il futuro dell'Italia. Le società e i club si arrabattano sempre perché comunque hanno la possibilità di andare a prendere i giocatori del mondo, ma la nostra Nazionale no".

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