Pogba è cascato nel doping per superficialità: “Il testosterone nel calcio è un totale controsenso”
La positività al testosterone di Paul Pogba ha riaperto il dibattito sulla presenza del doping nel calcio e nello sport in generale. Com'è possibile che in pieno Terzo Millennio ci siano ancora atleti professionisti ai massimi livelli che utilizzano queste pratiche? Ne abbiamo parlato con il dottor Stefano Bianchi.
Medico Chirurgo, Specialista in Medicina dello Sport, Responsabile di tutte le Nazionali di ciclismo fuoristrada, nonché Medico sociale della Gema Montecatini Basket oltre ad aver ricoperto lo stesso ruolo in passato, sempre a Montecatini anche in Serie A1 di pallacanestro, il dottor Bianchi ha evidenziato diversi aspetti attorno alla battaglia del mondo dello sport al doping, in gran parte vinta: "Oramai è praticamente ridotta a zero la percentuale di errore nelle analisi e sono stati fatti passi da gigante in ogni disciplina sportiva: lo dimostrano i sempre meno casi di positività".
E sul caso specifico di Pogba, il suo pensiero da medico e specialista è stato chiaro: "Da un punto di vista scientifico questo è un tipico caso di doping per negligenza e superficialità, non ci può essere stata alcuna volontà di frode. E vi spiego perché".
Innanzitutto, la definizione precisa: cosa si intende per doping all'interno del mondo dello sport?
Bisogna fare una premessa per far comprendere meglio il concetto, toccando anche alcuni aspetti definibili borderline, come ad esempio la semplice assunzione di prodotti comuni. Noi tutti i giorni utilizziamo diversi metodi per poterci migliorare, diciamo da un punto di vista prestativo, ma lo facciamo con sostanze comunque lecite come ad esempio la caffeina. Però, un conto è l'atleta e un conto la persona comune, e dunque l'elemento determinante perché si possa parlare di doping è il fatto che ci sono dei metodi e delle sostanze considerate proibite. Anche nel mondo dello sport si fa largo uso di diversi prodotti e sostanze che permettono all'atleta di ritornare alle cosiddette condizioni di base, ma sono tutti consentiti. Questo concetto, banale, è fondamentale: la discriminante sono le regole, chi le viola cade in questo caso, nel doping.
Rispetto al passato i casi di doping nello sport sono diminuiti. Sono più i meriti della medicina o la paura degli atleti per le conseguenze cui vanno incontro?
Propendo per la prima motivazione, purtroppo.
Perché dice purtroppo?
Perché credo che nell'animo umano ci sia sempre insita quella voglia di competitività che spinge a provare a prevalere sugli altri. Ed è per questo che diventano fondamentali le regole.
Che effettivamente sono migliorate rispetto agli anni bui dello sport, vissuti tra gli anni 80 e i primi 2000.
Esattamente. Nel recente passato ci sono stati anni bui, soprattutto quando venne a galla l'utilizzo di una molecola in particolare, l'Eritropoietina [il meglio comunemente conosciuto EPO, ndr], che ha cambiato la storia soprattutto degli sport di resistenza: in quel caso il suo utilizzo faceva davvero la differenza negli sport aerobici. Poi, però, dopo quella fase sono aumentati i controlli e i protocolli anti doping, molto più mirati. Sono stati fatti passi in avanti importantissimi, non ultimo il passaporto biologico. Passi in avanti a salvaguardia degli stessi atleti non più costretti a compiere determinate pratiche contro la loro volontà.
In che senso? Significa che a quei tempi erano obbligati a doparsi?
In quegli anni, purtroppo anche contro la propria volontà, era un atteggiamento quasi di massa a certi livelli: erano spinti a seguire determinate pratiche dal momento che se non le facevi non eri competitivo, non arrivavi. E si ritrovavano quasi in una vera e propria difficoltà nel non farlo. Quindi la lotta al doping ha permesso che si migliorasse la condizione per tantissimi sportivi, anche e soprattutto a livello personale, sapendo di essere maggiormente tutelati dai regolamenti. Se sai che oggi si parte tutti allo stesso livello, è un sollievo anche mentale.
Allora, la domanda più importante: perché ancora oggi, a certi livelli, c'è chi si ostina comunque a utilizzare pratiche illecite?
Bisogna fare una distinzione perché esistono due tipologie di doping. Quello in cui tu consapevolmente cerchi di barare per fare qualcosa in più rispetto agli altri sovvertendo le regole e il doping in cui cadi semplicemente per superficialità e per ignoranza.
Il caso specifico che ultimamente ha attirato l'attenzione di tutti, la positività di Pogba al testosterone, in quale delle due casistiche lo fa rientrare?
Da un punto di vista esterno, ma da Medico dello Sport e specialista posso asserire con assoluta serenità che Pogba rientra in quella casistica di doping per superficialità. Basta una riflessione medica: utilizzare una sostanza come il testosterone nel calcio, a settembre, da un punto di vista scientifico e sportivo è un totale controsenso.
Cioè?
Perché è innanzitutto è una sostanza facilmente riscontrabile da un banale controllo, poi perché sai perfettamente che ogni domenica ci sono i protocolli antidoping attivi. Ma soprattutto perché se lo utilizzi per aumentare la massa muscolare, non lo assumi certamente nel bel mezzo dell'inizio dell'attività. E se anche lo volessi assumere per recuperare, allora lo fai nella fase di preparazione estiva oppure in quella finale, quando hai un calo, in primavera. Assumerlo a settembre è un totale controsenso anche dal punto di vista del puro, eventuale, tentativo di alterare in meglio le proprie prestazioni.
C'è chi sostiene che l'utilizzo del testosterone nel calcio sia oltretutto inutile, è corretto?
In parte sì perché aumenta la massa muscolare e aumenta eventualmente il recupero. Dunque, al massimo nel primo caso è un lavoro che dovrebbe andare fatto non durante l'attività agonistica, nel caso di Pogba non alla prima giornata di campionato; nel secondo, avrebbe più senso assumerlo alla fine della stagione, quando c'è un calo e non lo si vuole affrontare. Con Pogba, il discorso dunque non calza: aveva giocato poco fino a quel momento, non aveva nulla da recuperare e non è sostenibile neppure la tesi dell'aumento della massa perché non gli avrebbe permesso di effettuare più movimenti e giocate con la solita elasticità e velocità.
Quindi la tesi difensiva secondo cui Pogba non si sarebbe accorto di aver assunto una sostanza illecita, è corretta?
Assolutamente sì. E' vero che non stiamo parlando dello sportivo della domenica, ma di un professionista che ha a disposizione una struttura medica e colleghi di altissimo livello. Per evitare tutto sarebbe stato sufficiente che avesse informato i colleghi indicando il prodotto prima di assumerlo. Se poi la domanda è: un atleta di questi livelli può incappare in una sciocchezza del genere e permettersi di essere così superficiale? Beh, la risposta l'abbiamo davanti agli occhi…
Tornando alla lotta al doping, però, sembra che ogni disciplina la faccia da sé: chi tutto l'anno, chi in determinati periodi, chi nel mezzo delle prestazioni. Non è un controsenso?
C'è da sottolineare una premessa fondamentale: l'atteggiamento per la lotta al doping adottato da ogni singola disciplina è fortemente vincolato alla propria Federazione, sia a livello nazionale che internazionale. Ogni Federazione e le relative discipline a lei legate, sono costrette a compiere scelte politiche ed economiche precise, a volte penalizzanti. Può apparire banale, ma è chiaro che il fare controlli continui comporta un dispendio non indifferente di soldi che molte Federazioni non possono permettersi.
Non è però questo il caso del calcio che a potere e soldi non è secondo a nessuno. Eppure rispetto, ad esempio, al ciclismo, ha controlli molto minori.
Verissimo, nel calcio di soldi ne girano molti di più rispetto a tutte le altre discipline però proprio nel calcio i controlli attuali funzionano, quindi le scelte che sono state fatte sono corrette. Tanto è vero che nel calcio oramai i casi sono sempre più rari e quando accade si tratta di casi di doping come quello di Pogba, ovvero accaduto per negligenza e superficialità, non più un doping intenzionale per modificare le proprie prestazioni.
Quindi è corretto che ogni disciplina applichi il proprio metodo scientifico?
Sì, perché cambiano i parametri e le necessità. Più lo sport è duro e di resistenza più aumenta evidentemente il rischio di pratiche illecite, ma ogni sport ha una sua tipologia di controlli opportuni da compiere: per un centometrista è fondamentale una verifica non a ridosso della gara ma nel periodo di preparazione, laddove magari un atleta cerca aiuti per arrivare al momento della gara in determinate condizioni. Nel ciclismo, al contrario, è fondamentale il controllo nel bel mezzo dell'attività sportiva. Poi il fatto che la Federazione internazionale di ciclismo stia effettivamente facendo qualcosa in più rispetto alle altre è anche per ripulire un'immagine che si era sporcata negli anni addietro.
Dunque tutto funziona perfettamente, non restano coni d'ombra?
Restano dei problemi oggettivi, purtroppo. Non in tutte le discipline ci sono costanti controlli per i motivi che ho già spiegato e molto spesso laddove avvengono, vengono effettuati solamente ad alti livelli. E mi riferisco ai massimi livelli, alla Serie A, ad esempio anche nel basket. Già nella mia squadra in Serie B negli ultimi quattro-cinque anni avrò avuto uno, forse due controlli antidoping. Restando il fatto che il metodo casuale è comunque un fortissimo deterrente.
Oggi, per chi vuole, è facile procurarsi prodotti dopanti?
Purtroppo sì. La realtà globale ha reso più semplice fornirsi impunemente di prodotti illeciti, soprattutto attraverso internet. Esistono altri mercati, come ad esempio gli Stati Uniti, [come nel caso di Pogba, ndr ] che hanno una legislazione diversa, spesso molto più blanda rispetto a quella italiana, dove il doping è pratica illegale punita a livello penale. Online sono possibili dei canali di approvvigionamento aperti a tutti, che provengono molto spesso dal mondo asiatico.
E al di là dell'online?
In Italia se una persona volesse comprare un anabolizzante attraverso i canali istituzionali, come una farmacia, è oggi praticamente impossibile perché non basterebbe la prescrizione di un medico ma serve quella di un endocrinologo, uno specialista del settore. Ma c'è anche un altro problema: la vendita di integratori, polveri, proteine, pomate provenienti da mercati molto lontani. Se non sono prodotte da ditte autorizzate e con precisi requisiti, puoi incorrere in sostanze che violano le regole e crearti problemi di doping perché sono contaminati.
A proposito di contaminazioni, è corretto asserire che oggi la percentuale che vi sia un errore nelle analisi è praticamente a zero?
Sì, perché da un punto di vista analitico oramai se ci sono le premesse corrette, ovvero la raccolta viene fatta nel modo giusto e non vi sono elementi esterni che subentrano – contaminazioni casuali o frodi – scientificamente non ci può essere margine di errore. Fermo restando che esistono sempre patologie, magari al momento sconosciute, che possono crearti una positività, ma in quel caso durante il dibattimento vengono esplorate le situazioni fisiologiche particolari.
Oggi, lo sport cosa si può fare ancora nella lotta al doping?
Si sta già facendo il massimo a livello di procedure e protocolli, ma resta purtroppo il problema nello sport a basso livello. Quindi il primo grande ostacolo è arrivare ad informare la massa ancora di più. Poi resta la piaga di internet. Quindi si deve lavorare ancor più anche sulla prevenzione, sulla comunicazione, nel far sapere quali sono le cose corrette e come eseguirle.
L'Italia è all'avanguardia?
La Medicina dello Sport in Italia applica tutte le procedure possibili perché ciò avvenga. Poi, può capitare di imbatterti in qualcuno che chiede pratiche non convenzionali. Per quanto mi riguarda la risposta è e sarà sempre: caro mio hai sbagliato indirizzo. Perché prima di tutto è una cosa che va contro le regole, che vanno sempre e comunque rispettate, e secondo, va contro la tua salute.