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Pirlolandia non è mai esistita e Andrea Pirlo ne é la prima vittima

Andrea Pirlo ha vinto due trofei e ha raggiunto il quarto posto in Serie A ma è stato sotto la lente d’ingrandimento della critica alla sua prima stagione in panchina perché era stato presentato come un innovatore e un predestinato. Per lui erano state inventate locuzioni come “Pirlolandia”, “Juve Pirlotecnica” e si era parlato di ‘rivoluzione calcistica’ fin dai primi giorni del suo incarico. L’allenatore bianconero vuole un’altra chance ma è stato la vittima di questa narrazione.
A cura di Vito Lamorte
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Andrea Pirlo ha chiuso la sua prima stagione da allenatore della Juventus con due trofei (Supercoppa Italiana e Coppa Italia) e un quarto posto che permetterà ai bianconeri di giocare la Champions League anche il prossimo anno. Risultati scontati? No, come qualunque cosa nello sport. Ma ci sono diverse vicende da mettere in fila nel primo anno in panchina di Andrea da Flero. L’ex centrocampista della Nazionale lo scorso agosto era stato chiamato dalla società bianconera per guidare l’Under 23 ma dopo l’esonero di Maurizio Sarri è arrivata la sorpresa: Andrea Agnelli decide di affidargli la prima squadra e nel giro di pochi giorni si ribalta completamente la prospettiva del suo primo incarico. Quello che doveva essere il futuro si è manifestato subito, e senza troppo preavviso.

Della stagione alla guida della Juventus di Andre Pirlo si sa quasi tutto e si è detto di tutto e di più ma all’inizio della stagione abbiamo assistito ad una vera e propria campagna in cui si elogiava il neo tecnico bianconero senza mai averlo visto all’opera. "Pirlolandia", "Varietà di moduli", "Juve destrutturata", "Nel solco di Guardiola e Zidane": numero di panchine prima di queste parole? Zero. All’inizio della stagione si è parlato della "rivoluzione di Pirlo" senza che lui avesse mai pronunciato parole simili e nelle sue prime gare sono iniziate le analisi tattiche sulla squadra bianconera: la costruzione a tre con il terzino che si alzava, le ali che giocano in mezzo al campo e un altro paio di situazioni che sono state rimarcate per diverso tempo fino al primo stop. Qualcosa di nuovo? Tutte cose già viste sia in Europa che in Italia.

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Questa fanfara ha suonato finché la Juventus non è stata eliminata dalla Champions League e ha iniziato a perdere terreno in maniera consistente dall’Inter ma aveva toccato picchi altissimi soprattutto dopo la vittoria in casa del Barcellona. In quel momento i più ottimisti si erano spinti a mettere la Juve tra le pretendenti alla ‘coppa dalle grandi orecchie’ perché il gioco di Pirlo era più adatto all’Europa che all’Italia. Passato quel momento anche i più convinti della ‘rivoluzione’ hanno iniziato a porsi qualche dubbio, ma nei punti più bassi dell’annata la dirigenza ha supportato e confermato Pirlo senza lasciare dubbi. Quando il suo gradimento era al minimo all’interno della tifoseria bianconera ci hanno messo la faccia sia Pavel Nedved che Fabio Paratici e di questo bisogna prendere atto, a prescindere dalle notizie che arriveranno nelle prossime ore.

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Nel finale di stagione succede l’imprevedibile: Pirlo in quattro giorni si porta a casa la Coppa Italia, battendo per 2-1 l’Atalanta; e poche ore dopo liquida il Bologna con un sonoro poker qualificandosi alla prossima Champions League, grazie alla mancata vittoria del Napoli. È tornata ‘Pirlolandia'? No. La verità è che non è mai esistita e il primo a saperlo è proprio Andrea Pirlo. Negli ultimi match ha messo in campo una squadra ordinata, compatta, che ha saputo sfruttare le occasioni da gol e ha fatto del pragmatismo, unito alla qualità presente in rosa, la principale fonte a cui abbeverarsi. Nessuna rivoluzione è in atto e non ci sono nuove filosofie che prosperano nel capoluogo sabaudo.

Alla sua prima esperienza in panchina il tecnico bresciano è una vittima dei suoi adulatori, che hanno cercato di dipingerlo per quello che non era: Pirlo ha fatto esperienza misurandosi con le ambizioni della Juventus, che voleva il decimo titolo consecutivo in una stagione anomala e complicata per chiunque. Non sarebbe stato facile per nessuno, e i fatti sono lì a dimostrarlo. Merita un’altra chance? Se dovessero pesare solo i risultati e, come spesso si ripete a Torino, le vittorie sono l’unico criterio da cui far partire ogni ragionamento, allora a fine stagione la risposta potrebbe essere affermativa ma non conosciamo i patti stipulati all’inizio dell’anno e non possiamo spingerci oltre. Per la rivoluzione e per ‘Pirlolandia', nel caso, ci sarà tempo.

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