Pietro Anastasi non sapeva di avere la SLA: “Non glielo dicemmo, pensava di avere solo un tumore”
Sono passati tre anni dalla scomparsa a 71 anni di Pietro Anastasi: era il 17 gennaio 2020 quando l'ex centravanti della nazionale azzurra, con cui si laureò campione d'Europa nel 1968 segnando un gol in finale, nonché vincitore di tre Scudetti con la Juventus e di una Coppa Italia con l'Inter, si spegneva a Catania, sua città natale. Volto conosciutissimo anche dalle ultime generazioni per la sua presenza abituale da opinionista in televisione, ‘Pietruzzu' si arrese ad un tumore al polmone – male dal quale si sapeva che era stato colpito un paio di anni prima – ma anche alla SLA, come poi si apprese dopo la sua fine.
Fu proprio quando seppe che aveva contratto la sclerosi laterale amiotrofica che Anastasi decise di ricorrere alla sedazione assistita per incamminarsi senza più soffrire nell'ultimo chilometro della sua vita. È il figlio maggiore Gianluca a raccontare per la prima volta cosa accadde al bomber siciliano e a descrivere il tormento straziante della sua famiglia quando decise di non dirgli nulla della terribile diagnosi di SLA.
Gianluca parte dall'inizio, ovvero dal momento in cui irruppe nella loro esistenza questa sigla, acronimo della malattia neurodegenerativa che è stata causa della morte di quasi 50 calciatori, nel quadro più ampio di qualche centinaio di morti ‘sospette' per varie cause. Un tema che recentemente è tornato d'attualità dopo le dichiarazioni di Dino Baggio successive alla scomparsa di Gianluca Vialli. "Dopo dei controlli di routine, papà aveva male a una gamba – ricorda il figlio di Anastasi ad Avvenire – Un giorno ha cominciato a inciampare e mia madre si accorse che teneva sempre il collo storto: ‘Pietro raddrizzati, perché stai così?', gli ripeteva. Papà non se ne accorgeva neppure. Così siamo andati a Torino da un luminare della SLA, come ci avevano detto, il quale ci informò che stava curando altri calciatori, meno famosi di Anastasi, ma comunque gente che aveva dei trascorsi a livello dilettantistico. Il referto medico fu una sentenza impietosa".
In quel momento Gianluca prese una decisione durissima, che gli sarebbe costata tante lacrime da lì in avanti: "Con nostra madre Anna, io e mio fratello pensammo di non rivelarlo a nessuno, tanto meno a papà. Il motivo? Era emotivamente molto fragile. Dai controlli emerse anche quel cancro al polmone e se fosse stato solo quello si poteva ancora sperare. Andavo a trovarlo e condividevo con lui quella speranza, mentre tenevo per me il segreto della SLA. Piangevo di nascosto ogni volta che lo salutavo e me ne tornavo a casa mia, perché sapevo che contro quel morbo non c'era nessuna speranza di guarigione".
Si andò avanti così finché non fu possibile nascondere l'evidenza del male che si stava mangiando la vita di Anastasi: "Aveva qualche sospetto, poi quando negli ultimi due mesi di vita ha avuto la certezza che si trattava della SLA si è lasciato andare. Ha smesso di lottare, ha chiesto di non essere più assistito. Con la morte nel cuore siamo andati al comune di Varese, dove risiediamo, per confermare la sua volontà espressa in tempi non sospetti: la rinuncia all'accanimento terapeutico. Una scelta dolorosissima, perché Pietro Anastasi amava profondamente la vita. Era un credente e praticante che alla domenica non mancava di andare alla Santa Messa, finché ha potuto".
Sulla decisione dell'ex bomber della nazionale ebbe un impatto decisivo la vicenda della morte di Stefano Borgonovo di qualche anno prima (era il 2013). Anastasi ne era uscito segnato: "I malati di SLA in genere lottano stoicamente fino alla fine, come conferma anche la vicenda di Borgonovo – spiega Gianluca – Ma fu proprio l'annuncio della malattia da parte di Borgonovo a fargli fare quella scelta: ‘Se un domani dovessi ammalarmi di SLA non voglio curarmi più', aveva detto a nostra madre. Vedere quelle immagini di Stefano alla TV lo aveva scioccato e anche molto impaurito, perché era consapevole che Borgonovo non fosse il solo calciatore malato e che poi sarebbe morto di SLA. E il numero preoccupante di casi nel calcio lo impressionava".
La fine prematura di molti suoi colleghi aveva fatto porre più di una domanda ad Anastasi, ripensando anche all'uso di farmaci meno regolamentato dei suoi tempi: "A noi aveva raccontato di aver preso farmaci per guarire da infortuni: antinfiammatori, sicuramente aveva preso il Micoren anche lui – racconta Gianluca –Per quanto concerne la SLA si era fatto l'idea che potesse dipendere dai traumi: ‘Chissà, magari dipende dai troppi colpi di testa'. Io e la mia famiglia sinceramente dopo la sua morte le abbiamo pensate tutte. L’unica certezza che abbiamo è che veder morire un familiare di SLA è devastante".