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Perché non dimenticheremo la voce di Bruno Pizzul, telecronista dei sogni finiti che non fanno male

Con la morte di Bruno Pizzul non avremo più un grande giornalista, ma la sua voce resterà per sempre stampata sul vinile emotivo della nostra vita.
A cura di Jvan Sica
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Dimenticare una voce è probabilmente molto più difficile che dimenticarsi un corpo o una sensazione percepita con un altro senso. La voce muove sensazioni estremamente basiche, animali. La voce chiama alla paura e alla gioia molto più di un’immagine o di un odore. Sarà per questo che tante delle voci che ci hanno accompagnato nella nostra vita ci restano, le riusciamo a riconoscere fra cento e mille anche a distanza di anni.

La voce di Bruno Pizzul era la voce di Bruno Pizzul, inconfondibile non solo per gli aspetti scientifici, timbro, risonanze, ampiezza, frequenza, ma perché ha tracciato dei solchi impossibili da cancellare sul nostro nostro disco interno, sul vinile emotivo della nostra esistenza. Ci sono differenze, ovviamente. Per chi ha seguito e segue il calcio con disinvoltura (molto saggia) Pizzul è il raccontatore della Nazionale di calcio dalla seconda metà degli anni ‘80 fino al 2000. Una Nazionale non banale, che va dalla rinascita post-Messico 1986 con i ragazzini dell’Under all’apparire dei cavalieri che faranno l’impresa in Germania nel 2006. In mezzo ci sono le Notti magiche, la disfida sacchiani-antisacchiani, il vaffa di Baggio in America, l’Italia divisa dallo stesso Roberto, insomma tanta carne che Bruno avrebbe accompagnato con un tocai.

Per chi invece voleva vivere il calcio con un grado di passione più alto (povero lui), Pizzul è stato l’aedo di un percorso sentimentale difficile da controllare. Pizzul ci ha portato su vette immaginifiche di felicità, quasi sempre condivise con persone amiche grazie alle quali finalmente conoscevamo il mondo oltre la nostra cameretta, ma anche in sprofondi più che malinconici, dove soprattutto i rigori ci hanno tolto tutto quello che avevamo progettato.

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Pizzul è stata la voce di una speranza veramente magica, la speranza della festa, sempre disattesa alla fine, ma c’è nel battito della speranza, in risonanza con la sua voce, qualcosa che ci è addirittura piaciuto di più. Nella violentissima compartimentazione di pensiero dell’oggi infatti, si potrebbe dire che mentre Martellini, Civoli e Bizzotto ci hanno raccontato la vittoria, Pizzul è sempre stato l’Omero della sconfitta, almeno se ci fermiamo alla storia della Nazionale di calcio.

Eppure, perché lo ricordiamo oggi che se ne va con il corpo, pensando che rimarrà con le onde sonore? Forse perché vincere non è l’unica cosa che conta, magari è importante anche immaginare un finale che non diventa realtà, un sogno che non si avvera. Pizzul è la voce di nostri sogni finiti, rimasti però nel cuore di chi li ha sognati.
Quindi niente paura Bruno, non ci hai condotto solo verso la sconfitta, un po’ perché le telecronache di tante partite europee dei nostri club (Milan-Steaua, Inter-Aston Villa, Stoccarda-Napoli, Borussia Dortmund-Juve, Torino-Real Madrid, Genoa-Liverpool, Sampdoria-Anderlecht, Lazio-Maiorca, Atalanta-Colonia e tante, tante altre che non hanno bisogno nemmeno dell’anno per essere identificate) ci hanno raccontato un nostro calcio vincente come non mai, ma anche perché il gusto della tua voce ci ha rasserenato anche nelle sconfitte.

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Oltre alle sue locuzioni ormai pizzuliane (“Tutto molto bello” prima delle altre), Pizzul ha anche diffuso un italiano magari medio ma ottimo e riconoscerglielo è molto importante. Nelle praterie del “che polivalente” e dei “dove” al posto del pronome relativo, i suoi “per i quali”, “con cui” e “attraverso il quale” fanno quasi lacrimare.
Penultima cosa, la Rai. Ci sono foto di Pizzul che contrasta Sivori, non il primo fesso che passa per strada. Un calciatore quindi studia, diventa giornalista e poi la voce del calcio in Italia. Tutto questo in un’azienda che sapeva far crescere i talenti, ammaestrandoli prima di tutto. Anche questo è un servizio per la collettività.

E arriviamo alla fine. Pizzul è un uomo fortunato. Con tutto quello che di tecnologico abbiamo a disposizione la sua voce si tramanderà nel tempo e nello spazio. Se un giorno andremo su Marte infatti, ci sarà di sicuro un’italiana e un italiano che si porterà dietro un file con la sua voce.

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