Ieri dal 73’ in poi di Inter-Napoli hanno sbagliato in tanti. Sicuramente tutti i principali protagonisti di questa storia.
Ha sbagliato l’arbitro Massa. Non nell’episodio specifico, nel quale è stato impeccabile: rigore sacrosanto e cartellino rosso inevitabile al cospetto di parole che non poteva lasciar passare impunite (dopo averle percepite distintamente, lì a pochi passi da lui). Massa ha sbagliato perché al di là della scena madre ha azzeccato poche altre scelte nella serata di San Siro. Ha giudicato male più di una situazione e non ha convinto con una gestione dei cartellini confusa e imprecisa. Complessivamente non all’altezza di una partita tra seconda e terza forza del campionato di Serie A.
Ha sbagliato Rino Gattuso. Lo ha fatto a caldo (prima attenuante) e nella buona fede di chi prova a difendere uno dei suoi ragazzi (seconda attenuante). Nel suo sfogo post-partita ha proposto una serie di considerazione sicuramente condivisibili. L’adrenalina in circolo talvolta fa brutti scherzi e nei campi di calcio, a qualsiasi latitudine, i vaffa sono un sottofondo abituale. Viene gestito a metà tra la sensibilità personale di ogni arbitro e un tacito accordo tra chi vive il terreno di gioco. Da qui a chiedere una sorta di condono generalizzato dell’insulto all’arbitro, però, ce ne passa.
Ha sbagliato Lorenzo Insigne, più di tutti. Perché ha commesso una leggerezza imperdonabile, pur volendo concedergli tutte le attenuanti del campo. Dal capitano di una squadra ci si aspetta che sia il primo a protestare ma l'ultimo a mandare a ca**re un arbitro. Anche perché la rabbia di pochi secondi si trasforma in un danno enormemente più grande per i compagni e il club che rappresenta. Insigne ha privato il Napoli del suo talento nell'ultimo quarto d'ora di una partita che gli azzurri potevano ancora pareggiare (visto come l'Inter è stata messa alle corde nonostante la superiorità numerica) e – con buona probabilità, in attesa della squalifica – per almeno altre due partite di campionato, in un momento delicato della stagione e con l'attacco già in affanno in virtù degli infortuni di Mertens e Osimhen.
Non è il primo capitano nella storia del calcio a perdere la testa, né sarà l'ultimo. Quello che conta, alla soglia dei 30 anni, è che sia stata l'ultima volta per lui.