Perché la Uefa ha (almeno) un miliardo di motivi per tenersi stretto Orban e l’Ungheria
A Viktor Orban, primo ministro ungherese, il calcio piace. Alla Uefa, però, Orban piace ancora di più. Ha almeno un miliardo di motivi per farselo piacere, in barba alle proprie battaglie sociali sull’uguaglianza che hanno rischiato di mettere in imbarazzo gli ottimi rapporti con l’Ungheria, il cui parlamento ha approvato norme in violazione dei diritti della comunità Lgbtq+. Leggi che non sono passate inosservate in tutta Europa, anche se nel mondo del calcio, solo la Germania ha dato qualche segnale. Il portiere tedesco Manuel Neuer ha indossato la fascia di capitano color arcobaleno e per questo la Uefa ha aperto e poi archiviato un’indagine, poi la Città di Monaco ha chiesto di poter illuminare lo stadio con gli stessi colori proprio in occasione della sfida tra Germania e Ungheria a Euro 2020. Qui, però, la risposta è stata diversa: «Dato il contesto politico di questa specifica richiesta – un messaggio mirato a una decisione presa dal parlamento nazionale ungherese – la Uefa deve declinarla». Che Ceferin facesse uno sgarbo a Orban, d’altronde, era impensabile.
L’Ungheria finanzia il calcio con i soldi dei contribuenti
Dopo la parentesi quadriennale durata dal 1998 al 2002, il leader di Fidesz è primo ministro dell'Ungheria ininterrottamente dal 29 maggio 2010. Undici anni in cui il calcio, sotto il suo Governo, ha conosciuto investimenti senza precedenti. Soprattutto a spese dei contribuenti. Un esempio pratico di sportwashing, ovvero di pulizia della propria reputazione attraverso le attività sportive. Nel 2011, Orban introduce nel nuovo sistema fiscale (TAO) la possibilità di aiutare i club sportivi del paese. Come? In due modi: donando parte dei propri utili in cambio di incentivi fiscali (fino al 70% della donazione annua) o con l’esenzione della tassa sul passaggio di proprietà in caso di acquisizioni di impianti sportivi. Solo tramite questo schema, lo sport ungherese ha programmato aiuti di stato per circa un miliardo di euro. Le stime riguardanti il primo periodo, dal 2011 al 2017, sono di un aiuto complessivo pari a 455 milioni di euro. Il periodo attuale, invece, prevede per tutti gli sport (inclusi pallavolo, hockey su ghiaccio, basket, pallanuoto e pallamano) un aiuto di stato da poco meno di 390 milioni di euro totali.
Al miliardo ci si arriva con l’ultima richiesta presentata alla Commissione Europea, approvata lo scorso 10 dicembre: sfruttando il Temporary Framework adottato dall’UE per dare maggiore flessibilità all’economia comunitaria nel pieno della pandemia di Covid-19, l’Ungheria ha messo sul tavolo misure per un totale di 132,5 milioni di euro per settori quali sport, cultura, ristorazione e alberghi. Anche in questo caso, il sostegno pubblico consiste perlopiù di esenzioni fiscali, oltre che di sovvenzioni dirette, destinate a coprire il pagamento degli stipendi dei dipendenti. A fine marzo, inoltre, la Commissione Europea ha approvato un emendamento per allargare la cerchia dei beneficiari e, contestualmente, innalzare il plafond a 625 milioni di euro totali. Buona parte dei quali, ovviamente, destinata allo sport e al calcio.
Quanto spende l’Ungheria per lo sviluppo del calcio e dello sport
Queste, però, sono le stime preliminari fornite dal Governo. Per il Budapest Beacon, portale di informazione ungherese chiuso nel 2018, l’impatto di tali agevolazioni nel mondo dello sport si può stimare in 204 miliardi di fiorini (poco meno di 600 milioni di euro) solamente nei primi quattro anni della loro attuazione. Nei primi sei anni, dunque fino al 2017, si sarebbe già superato il miliardo, stando all’interrogazione posta al Parlamento Europeo da Csaba Molnar: 450 miliardi di fiorini, più di 1,4 miliardi di euro riprendendo i tassi del 2017. Di questi, il 43% destinati solo al calcio locale, ma questa era la spesa raggiunta quattro anni fa. Per la Reuters, l’impegno del Governo supererebbe i 2 miliardi di dollari, ovvero circa 1,7 miliardi di euro. Secondo uno studio di Bence Garamvölgi e Tamas Doczi dell’Università di Budapest, al calcio sarebbe andato il 40% di un contributo totale che in dieci anni avrebbe raggiunto i 2,2 miliardi di euro, oltre a 45 milioni per il calcio di base in altre nazioni (Romania, Slovacchia e Serbia).
In realtà, stando al report della Federcalcio ungherese, i sussidi destinati allo sport dal 2007 al 2020 si aggirano sui 1200 miliardi di fiorini, pari a 3,4 miliardi di euro, così suddivisi: dal 2007 al 2010, una media di 17 miliardi di fiorini annui, per un totale di 68 miliardi; dal 2011 al 2013, una media di 28 miliardi di fiorini, che sommati al quadriennio precedente fanno 152 miliardi complessivi; nel 2014 si supera la soglia dei 100 miliardi di fiorini (circa 105 miliardi, stando al grafico pubblicato dalla federazione) e nel 2015 si arriva a 130, scendendo a 110 nel 2016, per un totale di 497 miliardi di fiorini nei primi dieci anni. Nel 2017, i sussidi – sempre stando al grafico federale – si aggirano sui 145 miliardi di fiorini e superano i 160 miliardi nel 2018, portando la somma complessiva a 802 miliardi di fiorini. Nel 2019, il sostegno statale raggiunge la cifra record di 205 miliardi e, nel 2020, torna sotto i 200 miliardi. La cifra relativa al sostegno per il calcio nazionale, però, sembrerebbe essere di poco al di sotto del miliardo: «Sin dall'inizio del programma di supporto TAO, il calcio ungherese ha ricevuto dalle imprese locali un totale di 314 miliardi di fiorini», all’incirca 895 milioni di euro. Ma come visto, il sistema fiscale prevede anche agevolazioni, oltre alle donazioni.
La “rinascita” degli stadi ungheresi con Orban
La maggior parte degli aiuti di stato è destinata agli stadi. Ed è qui che il Governo Orban ha dato il meglio di sé, sempre che di meglio si possa parlare. Si parte proprio da casa sua, a Felcsut, 1688 abitanti e uno stadio da 3816 posti, chiamato «Pancho Arena» in onore di Ferenc Puskas, usando il suo soprannome. Ci gioca la Puskas Akademia, fondata proprio da Orban dopo essersi dilettato (pure da primo ministro) come calciatore del Felcsut FC. L’impianto, inaugurato nel 2014, è costato in totale 3,8 miliardi di fiorini e per l'opera sono stati stanziati sussidi pubblici pari a 2,7 miliardi di fiorini (meno di 8 milioni di euro). La Puskas Akademia, tra l’altro, è una delle società che maggiormente usufruisce delle sovvenzioni statali, con introiti stimati in 89,5 milioni di euro complessivi da quando tale sistema è in vigore.
La Pancho Arena non è la sola ad essere stata costruita o ristrutturata sotto il Governo di Orban. Basta guardare la classifica del campionato ungherese di massima serie nell’ultima stagione: la Groupama Arena del Ferencvaros campione d’Ungheria è stata costruita nel 2014 (costo dell’opera 40 milioni di euro), la MOL Arena Sosto del Fehervar nel 2018 (altri 40 milioni), il Fehervari Uti Stadion del Paksi è stato ristrutturato nel 2020, il Szusza Ferenc dell’Ujpest nel 2016, il Varkerti Stadion di Kisvarda è stato inaugurato nel 2018, l’Hidegkuti di Budapest (casa dell’MTK) è costato 2 milioni ed è stato costruito nel 2016, stesso anno in cui è stato aperto il Varosi Stadion di Mezokovesed (contributo statale di circa 1 milione di euro), mentre nel 2021 ha visto la luce la Bozski Arena di Budapest, dove gioca la storica Honved. Per quest’ultimo stadio i costi sono stati esorbitanti: inizialmente stimati in 5 miliardi di fiorini (circa 14 milioni di euro), secondo un’inchiesta di Atlatszo sarebbero schizzati a quota 11,7 miliardi (ovvero più di 33 milioni di euro). E chiaramente, c’è pure la Pancho Arena, perché nel frattempo la Puskas Akademia è arrivata in massima serie e ha pure centrato la qualificazione in Europa League.
Perché Orban piace tanto alla Uefa?
In totale, gli stadi costruiti o ristrutturati sotto il Governo Orban hanno generato costi superiori ai 600 milioni di euro. Questo senza contare la Puskas Arena, lo stadio di proprietà della federazione magiara, dove si disputano le partite della nazionale. Costo dell’opera: 190 miliardi di fiorini, ovvero circa 540 milioni di euro, cifra che va ad aggiungersi alle sovvenzioni destinate ai club, superiori al miliardo di euro. Se non si arriva ai 2 miliardi, ci si avvicina parecchio, anche includendo i ricavi per il pubblico negli stadi, in cui è garantita una presenza maggiore rispetto alle altre città europee. E la Uefa, in tutto ciò, apprezza. Lo fa a tal punto da scegliere la Puskas Arena come sede per la Supercoppa Europea del 2020, in piena emergenza Covid-19, col 25% di pubblico sugli spalti (mentre le finali di Champions League ed Europa League si erano disputate a porte chiuse). Agli Europei, invece, Orban ha garantito l’apertura totale dell’impianto, che infatti ha registrato una media di circa 55 mila spettatori nelle tre partite del girone.
Numeri importanti, per un torneo che si sta disputando in stadi a capienza ridotta. È anche per questo che, dinanzi a possibili cambi di rotta sulla location di semifinali e finale, l’ipotesi Budapest è balzata subito in cima alle alternative. I dubbi attorno alla scelta di Wembley non sono certo legati all’aumentare dei casi di Covid-19, bensì al rischio che circa 2500 spettatori vip debbano sottostare alla quarantena prevista dalle leggi britanniche per assistere alle partite di Londra. Quarantena che, neanche a dirlo, Budapest non prevede. Boris Johnson starebbe prendendo in considerazione un’esenzione, intanto la capienza di Wembley è stata portata al 75% (60 mila spettatori) proprio in occasione delle ultime tre gare del torneo. Questo all’indomani delle parole del premier italiano Draghi, secondo cui la finale non andrebbe giocata «in Paesi con alti contagi». Meglio che non si illuda: la Uefa è «fiduciosa che la settimana finale si terrà a Londra», ma in caso di necessità sa già di poter contare sull’amico Orban.