Perchè la Superlega non c’entra nulla con l’NBA: il precedente Eurolega
Il terremoto che sta scuotendo il mondo del calcio nelle ultime ore è di quelli che rischia di creare una frattura insanabile. Si parlerà, molto probabilmente, di un calcio “pre e post Superlega” tra qualche anno, con tante espressioni del tipo “quella che una volta si chiamava Champions League”, o “la vecchia Coppa dei Campioni”, a ricordare con insensata nostalgia i tempi che furono. Di tutte le diatribe e le discussioni di queste ore, ci sono alcuni passaggi di difficilissima comprensione, sia nella forma che nelle motivazioni. Perché ieri sera in note trasmissioni televisive si è fatto riferimento al “sistema NBA”? Perché stamattina noti giornalisti utilizzavano il medesimo parallelismo?
La Superlega nel calcio e l'Eurolega nel basket europeo
C’è un precedente molto più vicino, geograficamente e anche cronologicamente, che si sposa quasi a perfezione con il modello ideale e astratto, perché al momento si parla di una sfilza di comunicati e di un sito web senza ancora aver capito in cosa consisterà l’organizzazione prettamente sportiva della neonata competizione, di “Superlega”, oggi centro di gravità di tutte le discussioni sportive in un mix di banalizzazioni troppo facilmente fondate sulla divisione tra i super-potenti e i romantici del calcio (…). Riguarda la spaccatura tra FIBA e ULEB e la genesi dell’attuale Eurolega. Attenzione: spaccatura e genesi, non necessariamente prodotto. Perché è fin troppo ovvio intuire che la portata economica di questa storica manovra non avrebbe alcun paragone sensato nell'attuale sistema delle competizioni di basket europee.
A inizio anni 2000 il numero delle competizioni di basket, in Europa, è cambiato. In concomitanza con la crisi economica del tempo (in parte assimilabile all'enorme buco generato dall'ultimo surreale anno di sport a causa del covid-19) uno sparuto ma potentissimo gruppo di squadre (Olympiakos Pireo, Virtus Bologna, Fortitudo Bologna, Real Madrid, Barcellona, Tau Baskonia e Benetton Treviso) si dichiarò espressamente contrario al progetto di rinnovamento (economico e di accentramento-nuova distribuzione di risorse derivanti dai diritti televisivi) dell’allora Eurolega, massima competizione continentale, voluto dalla FIBA, che due settimane prima aveva comunicato alle varie squadre e alle Federazioni la volontà, nell’ottica di “consolidare” la pallacanestro europea, di avocare a se la gestione dei diritti televisivi relativi appunto al primo torneo europeo. Quello che nel frattempo bolliva in pentola da diversi mesi era un progetto di “scissione” da questo modello orchestrato e strutturato da diversi club europei con la prospettiva di una nuova lega che nasceva sotto l’ala protettrice di un nuovo cappello economico (con a bordo il colosso spagnola Telefonica) da un lato e “gerarchico” dall’altro – facendo capo alla ULEB (Unione leghe europee di basket) – e che non aveva l’intenzione di contrapporsi a FIBA, ma semplicemente di affiancarsi a quest’ultima proponendo un diverso modello gestionale. Nel frattempo, il “marchio” Eurolega fu formalmente registrato proprio dalla ULEB, che sfruttò una clamorosa dimenticanza di FIBA che mai aveva provveduto a farlo.
Anche in quel caso la divergenza di vedute fu da subito evidente, esattamente come i comunicati di ieri sera ci hanno fatto capire, e portò da lì a poco a una frattura definitiva. La FIBA smise di riconoscere formalmente l’ULEB e raccomandò, nemmeno troppo cordialmente, alle singole Federazioni di individuare e punire le squadre firmatarie dell’accordo della neonata lega. Di risposta a questa competizione "elitaria", la FIBA creò una nuova coppa di nome Suproleague con club “non dissidenti” (tra i quali spiccavano Panathinaikos, Maccabi Tel Aviv, CSKA Mosca e Efes Pilsen) e risorse, che al tempo non mancavano, tutte sue. Ma quando la cattiva gestione dell’allora ISL (la società di marketing che deteneva i diritti TV della competizione) sfociò nel fallimento di quest’ultima, fu FIBA a cercare l’accordo coi club per dare vita a una coppa unica (il 2000-2001 di fatto terminò con due squadre campioni d’Europa, Virtus Bologna e Maccabi), che nacque nel 2001 appena un anno dopo lo scisma e comprendeva 32 squadre (anche se dopo l'accordo FIBA e ULEB continuarono a darsi battaglia a suon di comunicati, l’una rivendicando il ruolo istituzionale e di traino di tutte le competizioni europee, l’altra evidenziando la non sostenibilità economica di un sistema così orizzontale demandato a una organizzazione al di sopra dei club).
Il principio di base della neonata competizione era quello delle licenze, acquistate dai team e che davano diritto all’accesso alla coppa per più anni (dapprima di validità triennale), a cui si affiancavano le squadre campioni (o meglio piazzate se i campioni avevano già licenza) dei campionati principali. Solo inizialmente la licenza fu considerata “per merito” (sui piazzamenti nei campionati nazionali del triennio precedente), poi si passò a valutare bacino d’utenza, affluenza di pubblico ai palazzetti, infrastrutture a disposizione.
Nel 2008 alla ULEB è seguito l’ECA (Euroleague Commercial Assets) che ha assegnato delle licenze fisse secondo parametri squisitamente economici. La FIBA, 8 anni dopo, ha creato una nuova competizione (la Basketball Champions League) che si è affiancata ad Eurolega e Eurocup (quest’ultima fondata nel 2002 col nome ULEB CUP) di gestione ULEB-ECA, e alla Europe Cup creata proprio da FIBA nel 2003. In questo momento 11 squadre sono assegnatarie di licenze fisse fino al 2025, da ridiscutere alla fine di quella stagione. Le altre sono la vincente della Eurocup più altre squadre a cui viene assegnata un wild-card secondo determinati criteri di merito.
La differenza tra Eurolega e Superlega europea
Questo tipo di modello può essere, nella sua struttura, una reale ambizione della Superlega appena nata. Non lo può evidentemente essere sul piano economico, per quanto la ratio di fondo di non demandare più alla UEFA (come fu al tempo con FIBA) la gestione economica della competizione sia più o meno la stessa. Di certo, tra tutti i paragoni che si stanno sprecando in queste ore, appare ancora più insensato quello con l'NBA, che in tanti si sono affrettati a menzionare come punto di arrivo.
Le differenze tra Superlega di calcio e NBA
Le premesse culturali della massima lega americana sono così diverse da rendere quasi inutile chiarire e specificarne le differenze. In NBA le squadre non retrocedono e non sono “sostituite” (salvo rare eccezioni dovute appunto alla scarsa appetibilità economica sopraggiunta di qualche squadra). Per mantenere il sistema equo, in mezzo secolo di storia (l’NBA nasce da una fusione avvenuta nel 1976 tra ABA e NBA, appunto, e non da una scissione), l’NBA ha creato e ottimizzato il sistema del salary cap (per evitare che si potesse creare un qualche gap tra franchigie più ricche e franchigie meno ricche) che impone tetti ad ingaggi e costi della franchigia, e quello del draft, secondo cui le squadre possono rafforzarsi ogni anno scegliendo i migliori prospetti al mondo. La lega ha come obiettivo quello di garantire la sostenibilità economica della competizione e il profitto per le varie proprietà che non rimpinguano le casse delle franchigie con proprie risorse. Il valore delle franchigie, anche quelle che non ottengono risultati sportivi di livello, sale di stagione in stagione (Secondo Forbes il valore medio delle 30 squadre NBA è cresciuto del 14%, raggiungendo una media di 2,1 miliardi di dollari a squadra, e di sei volte negli ultimi 10 anni) e non è concepita l’immissione di denaro da parte di sponsorizzazioni interne e auto-indotte secondo abili stratagemmi. Ricerca del profitto che comprende attività di espansione del brand, strategie di marketing, studi di settore.
Ma non è il modello NBA quello a cui il calcio deve ambire oggi. Non è possibile e richiederebbe un modo totalmente diverso di concepire brand, profitto e investimenti. Un qualcosa di culturalmente lontano dallo sport europeo e che non può che passare, inevitabilmente, per un cambio drastico di mentalità sulla sostenibilità economica dei singoli club e sul perseguimento di un profitto che una lega “chiusa”, al netto dei tanti discorsi sul romanticismo dei quali oggi si fa volentieri a meno, può provare a garantire una volta eliminati gli squilibri finanziari, comunque presenti coi fenomeni di cui sopra. Come fu al tempo della diatriba FIBA-ULEB con nascita di Suproleague e Eurolega (che, altra differenza, è oggi riconosciuta dalle Federazioni internazionali, le stesse che dichiarano di voler fare guerra alle 12 di Superlega), il tanto bistrattato criterio "economico" non è per definizione compatibile con lotte politiche e rivendicazioni retoriche e demagogiche di un "primato istituzionale" (di FIBA-UEFA) che in nome dell’orizzontalità, della trasparenza e del "merito sportivo" (curioso che la versione alternativa di Champions League proposta da UEFA poco fa preveda "inviti per squadre d'èlite") omette di considerare la sostenibilità di un modello in cui la perdita è ritenuta semplicemente un effetto collaterale del tutto o un minus da mascherare con plusvalenze fittizie che non fanno altro che ampliare l'effetto potenzialmente dirompente di una bolla pronta a esplodere.
Ecco perché la Superlega rappresenta, in attesa di vederne la concreta messa in atto, un passaggio di mezzo sicuramente parziale e perfezionabile, che ha una genesi simile a quella dell'attuale Eurolega e può utopisticamente e solo in un percorso lungo decenni ambire al modello NBA, ma che oggi con l’NBA non c’entra davvero nulla.