Perché la Serie A non può tornare a 18 squadre: che cos’è il diritto di intesa che blocca tutto
Il tentativo di forzare la mano da parte di tre big di Serie A (Juventus, Milan e Inter), cui poi si è aggiunta anche la Roma, circa la riduzione delle squadre del massimo campionato, scendendo da 20 a 18, è miseramente fallito. L'assemblea di Lega andata in scena ieri in Via Rosellini a Roma ha bocciato in maniera schiacciante l'ipotesi: 16 i voti contrari, a fronte dei 4 favorevoli dei club proponenti. Sembrava che allo schieramento delle grandi potessero unirsi altre tre società della zona alta della classifica (Napoli, Lazio e Fiorentina), ma alla fine hanno deciso di restare dalla parte delle medio-piccole, decretando definitivamente la fine del progetto di cambiamento del format. È stato dunque applicato il diritto di intesa.
Che cos'è il diritto di intesa
"Non è una questione di 18 o 20 squadre in Serie A – aveva detto in maniera molto critica Adriano Galliani, Ad del Monza prima dell'assemblea di Lega – La cosa fondamentale è la volontà di abolire il diritto di intesa. Sarebbe gravissimo che la Lega non lo abbia, è una cosa che non è mai esistita e che non esiste in Europa. Non si capisce come si possa chiedere una cosa del genere. Quando non hai più diritto di intesa, si può far giocare il campionato a 18, 20 o 32 squadre. Qualcuno può decidere che giocano i biondi e non i neri, i belli invece che i brutti… Trovo incredibile che se possiedi una cosa, decide un altro al posto tuo e tu la passi a lui".
Il diritto di intesa, che la Lega di Serie A è pronta anche a difendere in tribunale se necessario, non è altro che il potere di veto concesso a ogni singola componente del calcio italiano su qualsiasi modifica all'ordinamento federale che la riguarda. In pratica, se il Consiglio della FIGC – magari su input del presidente Gravina, spalleggiato come in questa occasione da qualche club – volesse cambiare format di un campionato (che sia di Serie A o B o C), avrebbe bisogno del voto favorevole della relativa Lega.
Intuitivamente è davvero difficile che questo avvenga quando si parla di ridurre le squadre dei campionati, visto che le società che rischiano di perdere la categoria – ovvero le medio-piccole – hanno tutto l'interesse a che la torta dei diritti TV e degli altri introiti appannaggio della serie di appartenenza sia a disposizione del massimo numero possibile di posti. Laddove invece l'interesse delle big – per intasamento del calendario e appeal degli incontri – è del tutto opposto, verso quella "superleghina" sarcasticamente denominata da Urbano Cairo al termine dell'assemblea.
Fosse per le grandi di Serie A, si tornerebbe anche a 16 squadre, come era fino al 1988, ma qua anche scendere a 18 (com'era dal 1988 al 2004) appare impresa ai limiti dell'impossibile, stando così le cose.