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Perché i tifosi non vanno allo stadio nonostante l’aumento della capienza dopo la pandemia

La capienza degli stadi della Serie A è salita al 75%, ma nonostante ciò non sono aumentati i tifosi sugli spalti. Nell’ultimo match di campionato nessuna delle dieci squadre che giocava in casa ha raggiunto l’occupazione della capienza massima. I problemi sono tanti. Il pienone non c’è perché in Serie A perché mancano stadi accoglienti, perché c’è l’abitudine a seguire le partite in tv comodamente da casa. Ma anche la paura per gli assembramenti può giocare un ruolo importante, tanto quanto il razzismo, che è un problema enorme in Italia.
A cura di Alessio Morra
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Per un anno e mezzo gli incontri del campionato di Serie A, a causa della pandemia, si sono disputati sempre senza tifosi, con una breve eccezione, perché all'inizio della scorsa stagione in alcuni stadi c'è stata la possibilità per 1000 spettatori di accomodarsi sugli spalti. Considerata la situazione italiana, migliorata durante la primavera e l'estate, e considerate le tantissime vaccinazioni, le società hanno chiesto prima dell'inizio del campionato 2021-2022 di tornare ad avere i tifosi sugli spalti. Il governo dopo essersi consultato con gli esperti ha dato l'ok. Dalla prima giornata fino alla settima è stato stabilito un limite del 50% di capienza per gli stadi, limite passato poi al 75%. Ma nell'ultimo turno di campionato nessuna società è riuscita nemmeno ad avvicinarsi alla soglia consentita. Non si può parlare di disaffezione per il calcio, basta pensare alle feste per il trionfo agli Europei, ma ci sono tanti piccoli grandi problemi che condizionano gli appassionati, che preferiscono seguire il calcio, ma senza andare sugli spalti a tifare.

Senz'altro è stato bellissimo rivedere i tifosi sugli spalti, sentire cori e esultanze per i gol, ma purtroppo si sono sentiti anche cori orrendi come quelli nei confronti di Maignan, Koulibaly, Dumfries e Kean. E quello del razzismo è un problema enorme, che troppo spesso viene sottovalutato. E questo è uno dei problemi che hanno le società italiane che pur con l'aumento della capienza non sono riuscite a fare il pieno. Forse è colpa anche dell'abitudine consolidata nel seguire le partite in tv o magari è prodotta anche dal calcio in tv, quest'anno non è semplice seguire nemmeno la Serie A e chi non vuole perdersi nulla deve sottoscrivere almeno tre abbonamenti. Poi c'è l'annoso problema degli impianti italiani, che non sono accoglienti come quelli inglesi. E ovviamente a verbale va messa anche la paura di assembramenti e l'obbligo del green pass. 

In attesa di capire il perché di questa disaffezione bisogna analizzare numeri e fatti. Le società di Serie A hanno richiesto un aumento della capienza degli stadi. Il governo, per voce del sottosegretario Vezzali, aveva fatto capire che avrebbe preso in considerazione la cosa e, dopo la sosta di ottobre, c'è stato l'aumento della capienza al 75%, ma nessuno nell'ultimo turno di campionato è riuscito nemmeno ad avvicinarsi alla soglia consentita. E pensare che c'erano due big match e in casa giocava anche il Napoli capolista.

La prima giornata di Serie A con gli impianti al 75% è stata deludente. Era prevedibile se si pensa che nelle prime 7 giornate, quando il limite era al 50%, nessuno è riuscito ad avvicinarsi al massimo consentito. Juventus-Roma è stata seguita sugli spalti da 20 mila persone, cifra che rappresenta il 50% della capienza. All'Olimpico 31mila spettatori per Lazio-Inter, circa il 40% della capienza. La rimonta del Milan ha avuto 40 mila spettatori sugli spalti che rappresentano circa il 52% della capienza. Dati inferiori anche in piazza calde come Spezia e Cagliari. Mentre a Napoli ce n'erano 30 mila per il successo numero otto in campionato, occupazione di poco superiore al 50%. Vedremo se nelle prossime settimane il trend cambierà o si manterrà simile.

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