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Mondiali in Qatar 2022

Perché i Mondiali 2022 in Qatar sono la più grande operazione di sportswashing nella storia

Da Batistuta e Guardiola coperti d’oro fino all’affare Neymar col PSG: in vent’anni, il Qatar ha investito oltre 250 miliardi per ripulirsi l’immagine col calcio.
A cura di Benedetto Giardina
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Più delle Olimpiadi di Berlino del 1936, più di qualunque altro Mondiale ospitato da dittature. Qatar 2022 è un investimento senza precedenti da parte di un regime che sistematicamente si macchia di abusi e violazioni dei diritti umani, ma che da anni prova a fare dello sport la propria maschera di bellezza. La più grande opera di sportswashing mai vista nella storia del calcio e non solo.

Il Mondiale è l'apice di un progetto nato due decenni fa, iniziato in casa ed esportato in Europa, fino a portare il meglio del calcio internazionale nei propri stadi, costringendo la Fifa a cambiare persino la canonica data in cui si disputa il più importante torneo per nazionali. Per farlo, sono stati stanziati oltre 250 miliardi di dollari in vent'anni, per un percorso avviato con i campioni in declino pronti a svernare nel campionato qatariota e giunto con la Coppa del Mondo da assegnare a Lusail, nella prima finale mondiale invernale della storia.

Come nasce il progetto Mondiale del Qatar

L'ambizioso progetto del Qatar non è nato certo di recente. È il 2002, quando il Mondiale approda per la prima volta in Asia, nell'edizione congiunta tra Giappone e Corea del Sud. Lì, nei vertici calcistici asiatici, si accende una lampadina. Perché da quell'anno, la presidenza dell'Asian Football Confederation spetta ad un qatariota, Mohamed bin Hammam, squalificato a vita dalla Fifa per ben due volte (nel 2011 e, dopo aver vinto il ricorso, nel 2012).

«Questi Mondialidichiarò all'epocahanno dimostrato quanto sia popolare il calcio nella nostra parte del mondo, ma non è ancora abbastanza professionale nei paesi arabi. Abbiamo però molto denaro da investire». È quello che succede un anno dopo, nel 2003, quando la Qatar Football Association stanzia 10 milioni di dollari per ognuno dei dieci club dell'allora Q-League, non ancora Qatar Stars League. L'obiettivo? Convincere alcune stelle del calcio mondiale in declino a terminare la loro carriera lì, in un torneo sconosciuto ai più, incapace di imporsi pure in Asia.

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Il primo fu Batistuta all'Al-Arabi, con un contratto biennale da 8 milioni di dollari. Poco più rispetto a quello che a Roma prendeva in una singola stagione (12 miliardi di lire nette, circa 7 milioni di dollari al cambio dell'epoca), ma il Re Leone era reduce da una comparsata tutt'altro che memorabile con la maglia dell'Inter, dopo l'ultimo deludente Mondiale della carriera.

Come il bomber argentino, in tanti decisero di fare il tragitto dall'Europa al Qatar, a caccia del contrattone: Romario, Guardiola, Desailly, Effenberg, Sonny Anderson, i fratelli de Boer, Caniggia, Hierro, Okocha, Dugarry, Basler e tanti altri vennero conquistati dal "progetto", che prosegue tuttora. Nella passata stagione, in Qatar hanno giocato James Rodriguez, Alderweireld, Nzonzi, gli spagnoli Cazorla e Javi Martinez, Brahimi e Ayew, giusto per elencare gente con discrete esperienze nel calcio internazionale di alto livello. Negli anni precedenti si trovavano anche Benatia, de Jong, Juninho Pernambucano e Xavi, che ha pure allenato lì prima di essere chiamato alla guida del Barcellona. Sommando il benefit da 10 milioni per club in ogni stagione, si arriva a quasi 2,3 miliardi di dollari totali.

Gli investimenti nel PSG e il Fifa-gate

I nomi ci sono, ma è evidente sin da subito che il Qatar si stia avviando a diventare un cimitero degli elefanti. Infatti, il grande investimento calcistico arriverà di lì a breve, con la nascita del Qatar Sports Investments nel 2004, controllato dal fondo sovrano qatariota. Anche in questo caso, i progetti sono ambiziosi, ma richiedono tempo. Si inizia con la creazione di un brand di abbigliamento sportivo (Burrda) nel 2007 e da lì in poi si valutano le opportunità in Europa per entrare nel calcio che conta.

La scelta ricade su Parigi, con l'acquisizione del Paris Saint-Germain nel 2011. Tra i circa 100 milioni di euro spesi per l'acquisto, i 40 milioni stanziati a copertura di perdite e debiti, l'accordo da 1,1 miliardi con lo Stato del Qatar, i circa 550 milioni di aumenti di capitale e i lavori svolti per le infrastrutture (Parc des Princes e Campus PSG), l'investimento complessivo sul club parigino si aggira attorno ai 2,5 miliardi di euro. In più, il Qatar ha interessi anche nel Bayern Monaco, in quanto azionista di Volkswagen (proprietaria di Audi, che controlla l'8,33% del club) e sponsor dei bavaresi con Qatar Airways (20 milioni di euro annui) e con l'aeroporto di Doha.

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Tutti affari funzionali al Mondiale in Qatar? Sì e la risposta arriva proprio dal principale investimento di mercato fatto dal Paris Saint-Germain: Neymar. Il calciatore brasiliano è ambasciatore della Qatar National Bank, è testimonial di Qatar Airways e per quest'ultima ha promosso un concorso in India per vincere pacchetti esclusivi per il Mondiale 2022.

Questo senza dimenticare come Neymar sia arrivato a Parigi, con l'intervento diretto di Qatar Sports Investments per il pagamento della clausola da 222 milioni di euro. Altro assegno gentilmente offerto dalle autorità qatariote, quando già da anni era stata ufficialmente assegnata l'organizzazione del Mondiale da parte della Fifa. Nel dicembre 2010, prima ancora che la bandiera del Qatar venisse piantata a Parigi, Sepp Blatter annunciò i vincitori dei bandi per le edizioni del 2018 e del 2022: Russia, nel primo caso, e Qatar nel secondo.

Proprio da queste assegnazioni è esploso il più clamoroso caso di corruzione del calcio mondiale, che portò all'uscita di scena di Blatter. Oggi l'ex presidente della Fifa dice che è stato «un errore» organizzare il Mondiale in Qatar.

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Sfruttamento e omofobia, le ombre sul Qatar

Eppure, come prevedibile, il Mondiale rappresenta il maggiore investimento effettuato dal Qatar in questo percorso lungo vent'anni. Tra Paris Saint-Germain, Qatar Stars League e altri affari, tra cui l'ultimissima acquisizione di una quota minoritaria del Braga e le altre operazioni svolte con l'Aspire Academy, si arriva agevolmente a 5 miliardi di euro. Non per il Mondiale, diranno giustamente i qatarioti, ma tutto ciò è stato fatto col solo obiettivo di portare il gotha del calcio in Qatar, magari riuscendo a creare pure una nazionale competitiva.

Lo è, magari non per avere velleità di vittoria, ma almeno per puntare a superare la fase a gironi. È pur sempre la nazionale campione d'Asia in carica e lo scorso anno ha ben figurato nella Coppa Araba, giungendo terza dopo aver perso la semifinale con l'Algeria per 2-1. Un torneo preparatorio per il Mondiale, disputato sempre in Qatar, in sei degli otto stadi che ospiteranno il torneo iridato in questi giorni. Proprio per la Coppa Araba, però, la Fifa ha dovuto riconoscere il mancato rispetto dei diritti umani nei confronti dei lavoratori, violazioni che Amnesty International denuncia da decenni e continua tuttora a denunciare.

L'investimento per gli impianti, stando a quanto dichiarato da Nasser Al-Kater (CEO di Qatar 2022) sarebbe di 8 miliardi di dollari. Che uniti ai circa 5 miliardi spesi in ambito calcistico internazionale, portano il totale a 13 miliardi. Poi c'è un sistema metropolitano completamente rinnovato nell'area di Doha, per altri 36 miliardi di dollari, che avvicina la spesa totale alla soglia dei 50 miliardi.

Tra hospitality, alberghi di lusso, telecomunicazioni, aeroporti, strade e sicurezza, si arrivano ad aggiungere altri 220 miliardi di dollari, senza tener conto degli investimenti televisivi fatti attraverso beIn Media Group, che detiene i diritti internazionali delle maggiori competizioni calcistiche Uefa e Fifa, incluso questo Mondiale. Un Mondiale in cui il Qatar vuole mostrare il proprio volto moderno e all'avanguardia.

Non il volto di un Qatar che nei cantieri di queste opere ha impiegato migranti per 12 ore al giorno, sette giorni su sette, con denunce riguardanti non solo i pagamenti, ma persino la fornitura di cibo. Non di un Qatar che per bocca dell'ex calciatore e ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman definisce l'omosessualità una «malattia mentale».

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