Perché gli arbitri non parlano dopo le partite: il regolamento
Durante le interviste post-partita i giornalisti in studio incalzano spesso i protagonisti sul match appena concluso. Di solito si analizza cosa ha funzionato e cosa no, e perché alla fine la prestazione in campo si è tradotta in una vittoria o in una sconfitta. Agli allenatori si chiede conto dei cambi e dello schieramento dei titolari, ai giocatori come abbiano potuto sbagliare quel gol o quel passaggio o perché abbiano fatto determinate scelte. La partita di un arbitro non è molto diversa da quella di coach e calciatori, eppure non è possibile chiedere loro conto delle decisioni prese in campo, specie quelle decisive ai fini del risultato oppure quelle più controverse. L'assenza di una voce dell'Aia, sia per bocca dei fischietti stessi o mediata da un ufficio stampa, che per loro spieghi le motivazioni dietro un calcio di rigore assegnato o un fallo non fischiato, dà spazio a polemiche e interpretazioni , dietrologie e complottismi. Spesso (se non sempre) ingiustificati, perché nella maggior parte dei casi la soluzione è più semplice di quanto sembri e si nasconde dietro l'angolo, o meglio, in una pagina del regolamento. Manca solo una fonte autorevole, primaria, che la porti all'attenzione degli addetti ai lavori, o che serenamente ammetta l'errore, che può capitare agli arbitri proprio come capita a giocatori e allenatori.
I tentativi di comunicazione di Rizzoli e Trentalange
Nella storia recente qualche passo avanti per portare gli arbitri davanti ai microfoni è stato fatto. O meglio, gli ex arbitri. Nicola Rizzoli, arbitro effettivo fino al luglio del 2017 e ex designatore degli arbitri di Serie A e Serie B, è apparso durante la trasmissione Sky Calcio Club per spiegare alcune decisioni controverse prese dai suoi uomini nelle ultime giornate di campionato. Non è la prima volta che l'ex fischietto modenese ci mette la faccia e parla a nome della categoria che rappresenta: quando fu introdotto il Var, insieme all'allora responsabile italiano del progetto Roberto Rosetti, girò i maggiori studi televisivi per spiegare la nuova riforma tecnologica. Una figura giovane e carismatica, quella di Rizzoli, che funge da "ombrello" per gli arbitri, proteggendoli e spiegando le loro ragioni. Un po' come quella di Gianluca Rocchi, che dopo aver appeso il fischietto al chiodo ha avuto l'incarico di mediare tra le società e la federazione (quindi anche l'Aia, che fa parte della Figc) con incontri dal vivo e riunioni, prima di diventare designatore dopo la nomina di Alfredo Trentalange a capo dell'Aia. Proprio Trentalange è fautore della svolta comunicativa da parte degli arbitri: a poche settimane dal suo insediamento è arrivata la prima storica ospitata di un arbitro in TV, con Orsato a 90° minuto.
Perché non intervistano gli arbitri: non possono parlare
Ma per quale motivo gli arbitri in persona non parlano, magari a margine del match appena diretto? Il motivo principale è perché c'è una norma che glielo vieta. L'articolo 40 (sez.4 comma d) del Regolamento dell'Associazione Italiana Arbitri recita:
"Agli arbitri è fatto divieto di rilasciare interviste a qualsiasi mezzo di informazione o fare dichiarazioni pubbliche in qualsiasi forma […] salvo espressa autorizzazione del Presidente dell’AIA. Gli arbitri, previa sempre autorizzazione del Presidente dell’AIA, possono rilasciare dichiarazioni ed interviste sulle prestazioni espletate solo dopo che il Giudice Sportivo ha deliberato in merito alle gare, purché consistano in meri chiarimenti o precisazioni e non comportino alcun riferimento alla valutazione del comportamento tecnico e disciplinare di altri tesserati AIA o FIGC"
Niente dichiarazioni post gara, quindi: il match viene omologato dal Giudice Sportivo soltanto alcuni giorni dopo, e ciò rende impossibile agli arbitri un commento "a caldo" sugli episodi in campo. L'ex presidente dell'Aia, Marcello Nicchi, già nel 2016 aveva individuato in questo articolo lo scoglio fondamentale da superare, mostrandosi però convinto di poter apportare le dovute modifiche in breve tempo. Intervenuto alla trasmissione Gr Parlamento – La politica nel pallone, il capo degli arbitri dichiarò: "Non ci siamo lontani, manca un passaggio, la cosa da rimuovere è che possano parlare prima che si sia espresso il giudice sportivo, senza interferire sulle sue decisioni. Dalla prossima stagione (la 2016/17, ndr) si può cominciare di sicuro, in via sperimentale, in alcune partite". L'entusiasmo fu smorzato poco più di un anno dopo, a marzo del 2017.
In seguito a feroci polemiche dopo uno Juventus-Napoli di Coppa Italia, Nicchi tornò sui suoi passi. Ospite di Radio Anch'io Sport su Rai Radio 1 fece presente che "l'obiettivo di far parlare gli arbitri rimane", ma che era stato fatto "un grande passo indietro". "Avevamo detto a società e media – aggiunse – di dimostrarci serenità nel giudicare e nello scrivere ma purtroppo non è successo. Dietro a fisiologici errori arbitrali qualche società ha giustificato gli obiettivi mancati, i tecnici hanno pensato al rinnovo di contratto e qualche editore a vendere di più. Questo fa male all'immagine del nostro calcio. Partite bellissime, intense, sono state ridotte a episodi che ci saranno sempre". Da allora il discorso si è perso nel vuoto.
Sala Var unificata per spiegare gli episodi
I tempi sembrano però maturi per la rivoluzione. Va in questa direzione l'inaugurazione della Sala Var unificata nel centro di produzione della Lega Serie A a Lissone, a partire dalla stagione 2021/2022. Un'innovazione fortemente voluta dall'ex presidente Nicchi per riunire tutti gli arbitri designati al monitor in un unico punto. Questo permette anche l'utilizzo degli stessi arbitri Var per più partite, magari una al sabato e una la domenica, non dovendo i direttori di gara spostarsi per raggiungere materialmente lo stadio nel quale si svolge la partita. La sala può diventare anche contesto in cui avere un confronto con i giornalisti o i delegati delle società, e spiegare le ragioni delle decisioni degli arbitri sul terreno di gioco. I costi dei lavori tecnici e le restrizioni dovute alla pandemia hanno rallentato i tempi per l'inaugurazione della Var room, che dovrebbe essere pronta per la prossima estate. Per Nicchi è sempre stato uno step necessario per proiettare l'Aia verso il futuro, come raccontato sulla rivista L'Arbitro: la sala Var è stata vista come "un importante progetto di divulgazione sulla cultura arbitrale, che vedrà anche un più massiccio ricorso all’utilizzo dei social network, come strumento di promozione per i corsi arbitri, aprendoci sempre di più verso l’esterno, per far conoscere fino in fondo il ruolo, l’impegno, le funzioni dell’arbitro".
Gli arbitri impreparati per la comunicazione
Un altro motivo per cui gli arbitri non parlano, è perché non tutti sarebbero bravi o adeguatamente preparati a farlo. Lo ha spiegato a Fanpage.it anche l'ex arbitro Claudio Gavillucci: "Noi arbitri veniamo formati per prendere decisioni, tirare fuori cartellini, fischiare calci di rigore […] ma non siamo allenati per parlare davanti a un microfono e manca la volontà di preparare gli arbitri, o chi per loro, a farlo". Alla luce della situazione attuale, l'unico modo per dar voce agli arbitri nel post-gara sembra essere dotarsi di un organo ufficiale e autorevole, autorizzato dal presidente dell'Aia, che diffonda tramite canali ufficiali il punto di vista del direttore di gara dopo essersi consultato con lui.
All'estero si prova a dar voce agli arbitri
Un po' come succede in Germania, dove un account Twitter spiega in tempo reale le decisioni del Var nei vari match di Bundesliga. Anche la Uefa, attraverso i suoi canali social, aveva iniziato a spiegare le decisioni assunte dagli arbitri nei match di Champions ed Europa League, progetto che è stato poi abbandonato. In Australia, invece, non è raro che l'associazione arbitri diffonda gli audio delle comunicazioni in campo tra arbitri assistenti, e Var. Nel dicembre 2020, l'arbitro della A-League Chris Beath, dal 2011 nella lista dei direttori di gara internazionali della Fifa, ha per la prima volta spiegato ai microfoni di Fox Sports le decisioni prese in campo qualche minuto prima.
Sarebbe un modo, anche, per ammettere i propri errori. E magari illustrare le ragioni che ci sono dietro, come ha spiegato a Fanpage.it l'ex arbitro e ora opinionista televisivo Graziano Cesari. Una soluzione che – con lo sforzo anche di media, allenatori e calciatori – aiuterebbe a umanizzare gli arbitri, facendoli apparire alla pari degli altri addetti ai lavori e non più come figure distanti e imposte "dall'alto".