Per giocare in nazionale bisognerà togliersi i tatuaggi: la Cina fa ancora discutere

Una nuova frontiera del pallone capace di attirare a suon di milioni calciatori europei e brasiliani. La Cina stava bruciando le tappe nel mondo del calcio grazie ad investimenti e contratti record, prima che arrivassero le limitazioni imposte dal governo, con tanto di limiti notevoli per le società e tetto massimo per gli ingaggi. Un passo indietro importante per tutto il movimento, che oggi si ritrova a fare i conti con un altro provvedimento politico di ben altra natura. Questa volta i vertici del Paese orientale hanno imposto un vero e proprio veto ai calciatori della propria nazionale sui tatuaggi.
In Cina è già raro vedere calciatori tatuati, anche in virtù di una società prevalentemente conservatrice. Gli occhi delle nuove generazione rivolti ad occidente, e l'eco delle imprese delle stelle del calcio internazionale, hanno fatto suonare il campanello d'allarme. Anche nella squadra che rappresenta calcisticamente la Cina d'altronde non mancano i calciatori che possono sfoggiare tatuaggi come per esempio "l'oriundo" Elkeson de Oliveira Cardoso, noto come Ai Kesen o come Elkeson.

Ecco allora che la China Sports Administration (l'organo di amministrazione dello sport del Paese) in linea con il ministero dello Sport ha vietato di fatto i i tatuaggi ai calciatori della Nazionale. Ai calciatori invece già in possesso di disegni colorati sul proprio corpo, è stato imposto di rimuoverli, o quantomeno "in circostanze speciali" di coprirli durante gli allenamenti e le gare. Per queste eccezioni però ci vorrà anche il consenso della squadra. Tutti i "dissidenti" del tatuaggio non saranno più convocati o reclutati nelle nazionali giovanili.
Ma a cosa è dovuto questo provvedimento? La Cina che già da tempo sta conducendo una sorta di "battaglia" contro i tatuaggi, sempre più popolari tra i giovani ha giustificato questo provvedimento con la necessità di porre fine a tendenze considerate volgari. Il tutto nell'ambito di un piano mirato alla "ripresa del controllo sulla gioventù" e in opposizione ad una decadenza morale proveniente dall'estero. Anche per questo i giovani calciatori sono stati spediti nei campi militari per le esercitazioni e per una particolare "educazione del pensiero".