Pellissier: “Per la Clivense ho ricominciato, non mi pagavano. Mia moglie mi ha visto in difficoltà”
Sergio Pellissier è riuscito nell'impresa di far ritornare il Chievo Verona nel mondo del calcio dopo il fallimento societario del 2021. L'ex capitano della società veneta che ha fatto la storia della Serie A italiana ha raccontato in un'intervista a Fanpage.it come sia riuscito ad arrivare a questo incredibile risultato. "Tutto nasce con l'intento di continuare la nostra famiglia", spiega Pellissier che dalla Terza Categoria con la Clivense è riuscito a raggiungere la Serie D che dal prossimo anno sarà disputata proprio con il nome del Chievo Verona.
"La gioia più grande è che tutte le persone che mi hanno seguito adesso sono proprietarie del marchio", sottolinea ancora l'ex attaccante dei gialloblù che ha illustrato come la società sia formata da quasi 800 soci. Un taglio col passato e con l'ex presidente Campedelli che Pellissier ha sottolineato di non aver più sentito dopo l'addio al calcio: "Non mi ha più corrisposto ciò che mi spettava e ho dovuto patire grosse difficoltà". Oggi però la favola Chievo è realtà ma Pellissier ringrazia sempre chi gli è stato vicino in questi anni: "Gli devo tanto".
Sergio, avresti mai pensato di vivere tutto questo dopo l'addio al calcio giocato?
"Una volta chiuso con il calcio ho fatto altro, non mi ero lasciato benissimo al Chievo e volevo cambiare".
Com'è nata l'idea di creare una nuova società di calcio?
"La mia idea di creare la società è arrivata l'anno dopo il fallimento del Chievo. Da quel momento ho pensato di provare a farlo continuare a esistere nel mio modo più onesto possibile e mi sono lanciato a creare questo nuovo progetto".
E poi nacque la Clivense.
"Quando è iniziato tutto mi sono ritrovato da solo e poi ho avuto la fortuna di avere il mio socio che è sempre stato nel Chievo anche lui e ha voluto partecipare dandomi il suo appoggio. Siamo partiti dalla Terza Categoria con l'intento di costruire un nuovo progetto con gli ideali del Chievo e le persone che erano cresciute con noi. A quel punto la tifoseria si è è un po' divisa. Non tutti ci hanno seguiti, però gran parte dei nostri tifosi erano sostenitori del Chievo".
La Clivense nasce come una rivalsa contro Campedelli?
"Io non l'ho fatto per Campedelli ma per me e per le persone che nel momento in cui avevo bisogno mi hanno seguito. Mi sembrava giusto restituirgli qualcosa dando il mio contributo per farli ritornare a sorridere la domenica. Tutto nasce con l'intento di continuare la nostra famiglia. La gioia più grande è che tutte le persone che mi hanno seguito adesso sono proprietarie del marchio Chievo e possono dire di aver lottato per quel marchio".
Siete una società composta da soci?
"Siamo quasi 800 soci, tra ex Chievo e no, una cosa molto importante per noi".
La prima persona che hai avvisato o pensato quando hai comprato il marchio del Chievo?
"A mia moglie che mi ha visto nelle difficoltà più grandi. Mi ha visto patire problematiche anche dovute al fatto che non mi hanno pagato e quindi abbiamo dovuto ricominciare da altre cose e rimboccarci le maniche. Per questo motivo resta una gioia immensa perché quando devi lottare per qualcosa tante volte trascuri la tua famiglia. E quindi quando arrivano i risultati alle persone care devi trasmettere ciò che provi".
È stata una situazione dura da affrontare.
"I debiti accumulati dal Chievo sono enormi, il fisco è quello maggiore ma anche fornitori, dipendenti e altro. Probabilmente sono tutti crediti che saranno difficili da recuperare e questo dispiace perché sono anni e anni di sacrifici e soldi tuoi che ti dovevano".
Hai mai più sentito con Campedelli?
"No, mai più. Il giorno del mio addio avevo detto che se non fossi stato più importante per la squadra e non avessi avuto responsabilità nel club sarei andato via. Rubare i soldi senza far niente non era la mia passione. E così ho giustamente chiesto la mia liquidazione, i miei premi, ma da allora ho parlato con altre persone della società, non più con lui".
Poi cosa è successo?
"Non me li ha mai corrisposti, sono anche io un creditore".
Campedelli ha partecipato all'asta?
"Sì, sarebbe andato a Campedelli il marchio non a un'altra società. Noi non abbiamo mai detto che non saremmo andati all'asta mentre loro sì. Lui non c'era fisicamente all'asta ma faceva sicuramente parte del gruppo che voleva prenderlo. Mi dispiace perché non si è onesti fino alla fine".
L'hai vista come una presa in giro?
"Io ritengo così. Per me fallire è umano, si può sbagliare, ma mettere la faccia e prendersi le proprie responsabilità è doveroso e io per questo voglio essere onesto con le persone che mi hanno seguito e rispettato ed è giusto che sappiano sempre la verità".
Prossimo passo?
"Tutti i soci daranno la propria opinione su come gestire la situazione. Il marchio l'abbiamo preso anche grazie a sponsor e soci ed è dunque giusto che anche loro siano parte integrante delle decisioni che verrano prese poiché questa è anche la loro società. A queste persone devo tutta la mia gratitudine e adesso è giusto che partecipino: dalla scelta del nome della società ai colori ognuno sarà messo a conoscenza delle nostre idee".
E invece che idea ti stai facendo da esterno del calcio di oggi?
"È cambiata la passione, è un business. Non ci sono più i presidenti con passione a parte squadre come Bologna, Fiorentina e Atalanta che hanno i presidenti che agiscono spinti dalla passione. Però in generale bisogna costruire tanto, bisogna crescere con la squadra, investire ogni giorno se vuoi che il tifoso ritrovi la passione di una volta".
Facciamo un'ipotesi: Delneri come nuovo allenatore per un ritorno romantico al Chievo?
"Il mister per me è come se fosse un secondo papà, mi ha voluto, mi ha fatto giocare, credeva in me ed è uno di quelli che mi ha mandato un messaggio per congratularsi dopo aver acquisito il marchio del Chievo. Mi ha fatto molto piacere".
È ormai parte integrante del Chievo.
"È un ottimo allenatore non so neanche se abbia voglia di allenare, però sicuramente mi farebbe piacere rivederlo. Lui è stato parte di quel Chievo ed è stato parte integrante della storia del club e farà sempre parte di questa famiglia. I primi anni suoi furono devastanti per il calcio italiano a dimostrazione che se fai le cose fatte bene puoi ottenere risultati anche se non hai i capitali della grandi squadre".