Pelé finse di allacciarsi le scarpe ai Mondiali: gli avevano dato un sacco di soldi

Da ieri Pelé riposa al nono piano del Memoriale della Necropoli Ecumenica di Santos, il cimitero verticale situato in un grattacielo alto 108 metri che si trova nella città natale del campionissimo brasiliano scomparso lo scorso 29 dicembre in conseguenza del tumore al colon che non rispondeva più alle cure. L'ultima dimora terrena di Edson Arantes do Nascimento è vicinissima allo stadio Urbano Caldeira, l'impianto dove la Perla Nera ha giocato la gran parte delle partite della sua carriera, così vicina che da lì può idealmente vedere il campo, in un legame che neanche la morte potrà spezzare.

La bara del campione verdeoro è arrivata al cimitero dopo essere stata portata in corteo per le strade di Santos, scortata da 250mila persone che hanno reso omaggio ad uno dei simboli del Brasile più riconoscibili nel mondo. Pelé ha fatto epoca, stella massima che ha scelto di non tradire mai i colori della squadra della sua vita, pur avendo ricevuto offerte dal ricco calcio europeo, inclusa l'Inter in Italia. Sicuramente avrebbe potuto guadagnare molto di più, anche se comunque ha partecipato all'indotto enorme generato dalle infinite tournée che il Santos faceva in giro per il mondo proprio per mettere in mostra il suo campione.
Poi c'erano gli accordi di sponsorizzazione, certamente non munifici come oggi, ma nel caso di Pelé ovviamente c'era la fila per avere come testimonial l'icona sportiva per eccellenza di quel periodo, riconosciuta come tale in tutto il mondo. Una vicenda davvero emblematica di come il calciatore capitalizzasse il proprio status anche in modi non convenzionali si verificò in occasione dei Mondiali del 1970 in Messico. Erano anni di battaglia commerciale furiosa tra i due marchi sportivi tedeschi Adidas e Puma, una faida che era peraltro anche familiare e durava già da un bel po'.

Nel 1924 i fratelli Adolf e Rudolf Dassler fondarono un'azienda che produceva scarpe da calcio nella lavanderia della madre: non potevano immaginare che sarebbe stato l'inizio di un successo planetario. Il loro litigio negli anni '40 portò alla separazione irreversibile tra i due: Adolf creò l'Adidas e Rudolf la Puma. La rivalità crebbe sempre di più e fu inevitabile contendersi Pelé. Tuttavia per non dare vita ad un'asta che avrebbe finito per portare a spendere cifre fuori mercato, i due fratelli siglarono un patto in base al quale entrambi si impegnavano a non far firmare contratti commerciali al campione brasiliano.
Ma durante i Mondiali del 1970 Rudolf Dassler non mantenne la parola data al fratello e prima dei quarti di finale tra Brasile e Perù (che la squadra di Zagallo vinse 4-2) contattò Pelé per offrirgli una cifra per l'epoca altissima affinché in quel match indossasse le scarpe della Puma: 120mila dollari, che parametrati ad oggi sarebbero equivalenti ad un milione. Nell'importo era tuttavia incluso un dettaglio non secondario per chiudere l'affare: un gesto che Pelé avrebbe dovuto fare in mondovisione prima del fischio d'inizio del match, ovvero fingere di doversi allacciare le scarpe. Non una ma entrambe.
Fu una mossa di marketing geniale: Pelé si portò nel cerchio del centrocampo, in quel momento tutti gli occhi erano su di lui. Si chinò e con studiata lentezza mise mano ai lacci prima di una scarpa e poi dell'altra, mentre si aspettava solo lui per far partire il match tra Brasile e Perù. E poiché Puma voleva essere sicura che le cose andassero esattamente come aveva programmato e l'investimento rendesse al massimo, l'azienda tedesca pagò anche il cameraman perché zoomasse su quell'allacciata di scarpe così costosa. Tutto andò come previsto, il ritorno d'immagine su enorme: la Puma fece registrare vendite record quell'anno. Pelé del resto era semplicemente il calcio: una leggenda in movimento.