Nel 2020 la comunicazione degli arbitri italiani è ferma al Televideo
In un mondo in cui grazie ai social le notizie si consumano in un istante, e si amplificano a dismisura, far sentire la propria voce è tanto più efficace quanto prima si decide di farlo. L'Associazione italiana arbitri (Aia), spesso bersaglio di attacchi e delegittimazioni anche dagli addetti ai lavori, da sempre non risponde – per scelta – alle critiche che le vengono mosse. Una strategia comunicativa che spesso esaspera e allunga la scia di polemiche dopo episodi controversi o in seguito a importanti novità nel regolamento. Una penombra mediatica che lascia intendere come, probabilmente, l'associazione non abbia chiaro il potere della comunicazione social moderna, e gli effetti positivi che una dichiarazione istituzionale porterebbe all'intero movimento.
Il corso arbitri pubblicizzato sul Televideo
A vantaggio di questa tesi, alcuni episodi, chiamiamoli "scivoloni", che lasciano più di un dubbio sull'effettiva capacità dell'Aia di usare i canali nel modo giusto. Qualche giorno fa, per promuovere il nuovo corso arbitri, sui propri profili social l'associazione ha pubblicato un post in cui mostra come l'iniziativa sia stata ripresa dal Televideo, con la pagina – la 596, per gli interessati – disponibile fino al 16 novembre.
Anche se il limite massimo di età per accedervi è 35 anni, il corso arbitri di solito è rivolto ai ragazzi dai 15 anni in su. È chiaramente interesse dell'associazione incorporare nuovi giovani arbitri da far crescere e, perché no, sperare di portare ad alti livelli nazionali. Ma quanti, nella fascia 15-20 anni, oggi, leggono il Televideo? Come può essere una buona idea impegnarsi per apparire sul teletext della Rai, piuttosto che lanciare una campagna a tappeto su tutti i social? Sembra un controsenso, come quando – in piena bufera post polemiche per gli strascichi di uno Juventus-Inter del 2017 – l'associazione twittava di raduni delle serie inferiori e questioni burocratiche che non interessano al grande pubblico. La priorità qual è?
Una comunicazione frammentata
La verità è che la comunicazione dell'Aia è scarsa e, soprattutto, frammentata. La promozione dei corsi per diventare arbitro, ad esempio, è affidata alle 207 sezioni sparse su tutto il territorio. La mancanza di un canale istituzionale ufficiale che si esprima puntualmente e (soprattutto) tempestivamente sui grandi temi porta gli associati a dover "rincorrere" le notizie, piuttosto che a gestirle. Ecco quindi le interviste a Marcello Nicchi, presidente dell'associazione, che arrivano sempre e solo a margine di qualche errore o polemica più calda. O i blitz delle Iene a Rizzoli, come quelli dopo il già citato Juventus-Inter del 2017 o dopo la presunta "testata" di Bonucci di un anno prima, o ancora quello in seguito alle accuse dell'ex Procuratore della Figc Giuseppe Pecoraro di aver "fatto sparire" parte di alcune registrazioni tra Var e arbitro sempre in uno scontro tra Juventus e Inter, ma quello del 2018 a San Siro. Tutti casi in cui l'ex arbitro emiliano, oggi designatore, si è trovato a doversi difendere da accuse, spesso infondate, presentategli sotto il naso senza preavviso.
Tutto il buono che resta sommerso
Questo ci restituisce l'immagine di un dirigente arbitrale che, per quanto impeccabile istituzionalmente e molto preparato, arranca nel difendersi su due piedi e si espone a strumentalizzazioni. Eppure, specie a certi livelli, tutti gli associati si attengono rigidamente a regolamenti, norme, convenzioni, che faticano a emergere nel gioco delle parti tra gli addetti ai lavori. Durante le riunioni plenarie tra arbitri, o negli incontri con le società, è un continuo emergere di spunti, consigli, "chicche" regolamentari e linee guida interpretative che restano sommerse, e per poterle apprezzare tocca sperare che qualcuno registri qualcosa con uno smartphone e lo carichi online. L'Aia ha perfino una rivista mensile, gratuita, consultabile online da chiunque. Qualcuno lo sapeva? Questo atteggiamento corporativista non fa che tenere nascosti i valori positivi dei suoi componenti, e ciò alimenta lo stigma che c'è intorno a un'associazione che, a quanto pare, preferisce continuare a parlare con se stessa piuttosto che col mondo esterno.