Nasce il nuovo Chievo 2021, Pellissier a Fanpage: “Non abbiamo niente, faccio tutto io”
“Qualsiasi cosa sia successa, non mi toglierà mai le gioie che ho avuto giocando con questi colori. Grazie Chievo e ti auguro di trovare persone che ti ameranno quanto ti ho amato io. Adesso si ricomincia da capo, sperando che sia solo un arrivederci”. Si chiudeva così la lettera di addio (o verrebbe da dire di arrivederci, appunto) di Sergio Pellissier, che dopo più di 20 anni di militanza, prima da giocatore e poi da dirigente, a maggio scorso salutava tutti. Soprattutto i tifosi, aggiungiamo noi, perché in realtà il rapporto con i vertici societari si era incrinato da un po’ (da qui, quel “qualsiasi cosa sia successo…”). Probabilmente il Capitano di tante battaglie non si aspettava di ritrovarsi così presto. E, soprattutto, certamente non si augurava di farlo in queste circostanze. Invece il destino lo ha richiamato subito al capezzale del Chievo, che, però, nonostante tutti gli sforzi, non è riuscito a salvare. Ma nella sua carriera Pellissier ha già dimostrato di avere gli attributi, di non arrendersi nemmeno davanti ad una retrocessione, ad una carta d’identità che non poteva mentire (ma poteva essere smentita dai fatti), ad una critica forse nemmeno tanto disinteressata.
Neanche il tempo di immaginarsi un nuovo futuro, che il fato lo ha deciso per lui: oggi Sergio Pellissier sa perfettamente quello che vuole fare da grande: “Sono tutto: un Presidente, un Direttore Sportivo, uno Capo Scouting, un Segretario. Al momento non posso scegliermi il ruolo, perché c’è semplicemente bisogno di tutto, ma sono felice così. Per il mio Chievo questo ed altro”. Già, perché anche se il “vecchio” Chievo non esiste più, cancellato con un colpo di spugna da tecnicismi contabili e fiscali, ce n’è uno “nuovo” che sta rinascendo dalle sue ceneri. E se oggi c’è un nuovo Chievo che ripartirà – sì – dalla terza categoria, ma comunque ripartirà, e lo farà con grande entusiasmo, cercando di bruciare le tappe e tornare ai fasti di un tempo, il merito è soltanto di un vecchio, indomito Capitano, che ha deciso di non arrendersi e continuare a sognare…
È passato davvero poco dal tuo addio al Chievo, ti aspettavi che le vostre strade potessero incontrarsi di nuovo così presto?
“Purtroppo, è stato un vero addio, perché quel Chievo – e lo dico a malincuore anche se non ne facevo più parte – non esiste più. Comunque no, non me l’aspettavo, è stata una sorpresa anche per me. Ovviamente c’erano dei sentori per alcune situazioni che, viste da lontano, erano un po’ inspiegabili, c’erano cose che non avrei fatto nel modo in cui venivano fatte, si era sempre border line per stare dietro alle grandi squadre, per fare qualcosa di più, ma da qui ad immaginare quello che poi è realmente successo, ce ne passava. È stata una sorpresa e al contempo uno shock”.
Ti sei dato una spiegazione, hai capito cosa sia successo e perché?
“No, non me la sono data e sinceramente non l’ho nemmeno cercata, perché è stato talmente doloroso l’addio, che ho preferito evitare il più possibile di venire a contatto con qualsiasi cosa potesse ricordarmi i vecchi e bei tempi. Stavo male a ripensarci, perché mi dispiaceva davvero tanto. Ho realizzato quanto stesse succedendo, solo quando sono trapelate le prime notizie sulla mancata iscrizione e sui primi ricorsi respinti. A quel punto ho cominciato a temere e, se possibile, a soffrire ancora di più”.
In quel momento, però, hai deciso di non girarti dall’altra parte, come magari hanno fatto in molti, ma di tornare protagonista per provare il salvataggio in extremis: cosa è mancato?
“Quando ho capito che la situazione era grave, ho provato ad attivarmi, cercando sponde, sponsor, investitori, per continuare a sognare. Purtroppo, non era semplice lavorare in quelle condizioni, perché si doveva ancora aspettare l’esito dei ricorsi, quindi non ci si poteva muovere “seriamente”. Poi, però, quando è arrivata la sentenza definitiva, non c’è stato più il tempo sufficiente per organizzarsi e trovare le risorse che servivano per salvare il salvabile”.
Ad ogni modo, non ti sei arreso e, nonostante tutto, il Chievo è ancora vivo…
“Sì, è così, perché per me il Chievo non è una questione di categoria. Non potevo accettare che anni di storia finissero in quel modo. Il Chievo non è solo un club, ma è una famiglia, una comunità, tifosi-amici e molto altro. Era un’isola felice ed è proprio quell’ambiente unico che non vogliamo vada perso e abbiamo tutta l’intenzione di recuperare”.
C’è qualcuno che nel momento del bisogno si è messo a disposizione? Qualche imprenditore, qualche ex compagno, le istituzioni…
“Sì, tante persone hanno provato a dare una mano, ma certamente trovare 500mila euro in una settimana e mezzo, non era semplice. O trovi un imprenditore che ne abbia talmente tanti da non fare (e farsi) domande, altrimenti è normale che chiunque ci voglia ragionare un attimo. Non c’erano davvero i tempi tecnici. Ho trovato persone che avrebbero voluto essere d’aiuto in qualsiasi modo ed altre che si sono girate dall’altra parte perché non volevano essere coinvolte, ma ci sta, fa parte del gioco e della vita. Verona ha reagito, ovviamente soprattutto i tifosi del Chievo, però ho visto un movimento intenso e tanta buona volontà. Purtroppo, non c’era tempo e, soprattutto, non c’erano i soldi per l’iscrizione. Ora che c’è più tempo per programmare, ci sono anche molte più probabilità di essere ascoltati, di trovare imprenditori disposti ad investire e ricostruire”.
Eppure, nel momento più difficile, c’è stata un po’ la sensazione che fossi stato lasciato solo…
“C’è qualcun altro che si sarebbe voluto unire, io ho cercato di coinvolgere qualche ex compagno all’inizio, però – giustamente – con tutte le incertezze che c’erano, non era semplice metterci la faccia. Senza sapere se ci fosse o meno un sostegno economico, rischi brutte figure. Io però, nella mia carriera e nella mia vita ci ho sempre messo la faccia e non ho mai avuto paura di rischiare o prendermi le mie responsabilità. Non me la sentivo di mollare e sono andato avanti comunque. A volte si prendono insulti, altri applausi, ma l’importante è sempre avere la coscienza pulita e credere in quello che si fa”.
Oggi, dunque, cosa rappresenta il Chievo 2021?
“E’ un progetto elettrizzante, che sta nascendo dal nulla, perché non abbiamo davvero niente. E come se fosse una start-up, frutto dell’entusiasmo di chi ci sta lavorando e di chi ha a cuore questo club. Un progetto che si ciba dell’infinita passione della sua gente ma che, per forza di cose, al momento deve vivere alla giornata. Andiamo avanti per priorità: adesso siamo iscritti e quindi possiamo pensare ai campi, al settore giovanile, a costruire la squadra e a tutto il resto. Innanzitutto, devo trovare il mister, che già non sarà una scelta facile (ride, ndr). Io in panchina? No, non è il mio mestiere. Avrei più titolo a fare il Direttore Sportivo, ma oggi sono costretto a fare tutto: il Presidente, il DS, il segretario, pure il tecnico delle infrastrutture. L’obiettivo è quello di creare un gruppo di lavoro professionale, in grado di ricostruire una società solida capace di ri-diventare un punto di riferimento importante per tutto il movimento. Qualcuno che ha il Chievo nel cuore potrebbe aiutarmi, ma adesso è presto per fare nomi. Vediamo come va…”.
Vi sarete però posti un obiettivo?
“Il Chievo ha dimostrato che sognare in grande non solo si può, ma si deve. Noi non vogliamo smettere di sognare. Chiaro che l’obiettivo è riportare questo club dove merita di essere, ma l’esperienza ci ha anche insegnato che in tanti ci provano e riuscirci è tutt’altro che semplice. È comunque bello, emozionante e coinvolgente provarci. Quello che siamo riusciti a raggiungere negli anni, cioè il fatto di far conoscere Chievo, e il Chievo, in tutto il mondo, è un qualcosa che ci deve servire da stimolo, perché tornare a quei livelli deve essere il nostro obiettivo”.