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Narducci, il pm di Calciopoli scrive a Report: “Fu associazione per delinquere che condizionò la Serie A”

Il servizio proposto dalla trasmissione di Rai 3 ha spinto il magistrato a scrivere una lettera nella quale confuta, punto per punto, la “ricostruzione fantasiosa” su Calciopoli, gli “scenari complottisti” legati a presunti ispiratori occulti dell’inchiesta.
A cura di Maurizio De Santis
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Il magistrato, Pino Narducci, che si occupò dell'inchiesta su Calciopoli assieme al collega, Filippo Beatrice.
Il magistrato, Pino Narducci, che si occupò dell'inchiesta su Calciopoli assieme al collega, Filippo Beatrice.

La chiavetta di Luciani Moggi, il servizio di Report e una ferita, quella di Calciopoli, ancora sanguina per il calcio italiano. L'ultima lettura sull'argomento è arrivata dalla trasmissione in onda su Rai 3 che, attraverso le parole dell'ex arbitro Paolo Bergamo, ha proposto un retroscena di quel periodo: la Juventus sarebbe stata sacrificata sull'altare di un patto politico-industriale sancito con i principali esponenti dell’Inter per risolvere una questione interna alla famiglia Agnelli. In buona sostanza, hanno pagato solo i bianconeri colpiti da quello che in gergo viene definito fuoco amico mentre i nerazzurri si sarebbero salvati dall'illecito sportivo grazie alla prescrizione.

Il magistrato, Pino Narducci, in una lettera molto dettagliata spedita alla redazione di Report confuta l'intero impianto della trasmissione e replica, punto su punto, alla narrazione dei fatti citando le sentenze irrevocabili che hanno sancito come il calcio italiano fosse condizionato da un'associazione per delinquere in grado di condizionare i risultati di alcuni incontri. "Frode sportiva", è il termine utilizzato dal pubblico ministero che all'epoca si occupò dell'indagine assieme al collega Filippo Beatrice (morto nel 2018).

L'ex dirigente, Luciano Moggi, radiato per i fatti di Calciopoli.
L'ex dirigente, Luciano Moggi, radiato per i fatti di Calciopoli.

La lettera a Report di Narducci su Calciopoli

Sono il magistrato Pino Narducci, pubblico ministero, con il collega Filippo Beatrice, della indagine cd. Calciopoli. 

Il servizio “C’era una volta Calciopoli”, andato in onda lunedì 17 aprile nella trasmissione “Report”, evoca alcune vicende già trattate nel corso dei processi al termine dei quali – ma il servizio dimentica di dirlo – le sentenze irrevocabili hanno sancito che, nel calcio professionistico italiano, operava una associazione per delinquere (le tracce di questa attività risalgono al periodo 1999/2000) che aveva condizionato il campionato di serie A 2004/05 e che, contrariamente a quanto affermato testualmente dal conduttore della trasmissione ("…tuttavia, 17 anni dopo, è emerso che nessuna partita era stata condizionata") durante quella stagione vennero alterati i risultati di alcuni incontri, cioè vennero commessi i reati di frode sportiva.

Insomma, un esito giudiziario concreto e molto significativo, ben diverso da quello delineato dal conduttore secondo il quale, alla fine, l’indagine avrebbe prodotto un evanescente risultato poiché la posizione dei singoli si sarebbe risolta con "assoluzioni, prescrizioni e sospensioni di condanna". Eppure, a me risulta che la prescrizione si dichiara solo dopo che il giudice ha accertato che qualcuno ha sicuramente commesso un reato e che la sospensione di condanna, noi tecnici la chiamiamo sospensione della pena, è un beneficio che si concede, ovviamente, non all’innocente, ma alla persona che è stata condannata!      

Sarebbe stata sufficiente una lettura, anche superficiale, dei provvedimenti giudiziari per fornire una informazione corretta ed esaustiva su questo come su altri aspetti. 

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Ad esempio, quello riguardante la genesi della indagine Calciopoli sorta, nelle stanze della Procura nel Centro Direzionale di Napoli, come naturale prosecuzione di quella sulle scommesse illecite in serie A e B nel 2003/04 e su alcuni arbitri della sezione romana. Quindi, certamente non nei lussuosi uffici di amministratori delegati di grandi imprese del Nord.

Oppure il tema della acquisizione dei dati delle schede telefoniche riservate svizzere, questione sollevata dall’autore del servizio e dal conduttore secondo i quali i carabinieri operarono sequestri illegittimi di schede telefoniche all’estero perché senza rogatoria. Però, se si leggono le carte processuali si scopre che non è mai avvenuto alcun sequestro di schede e che i giudici, proprio rispondendo alle obiezioni dei difensori degli imputati, hanno scritto chiaramente che non c’è stata alcuna violazione delle regole sulla rogatoria internazionale e del trattato di assistenza italo-svizzero.

Ancora, il tema del ruolo rivestito dall’arbitro Massimo De Santis (secondo i giudici napoletani di secondo grado, l’arbitro De Santis “ha rivestito comunque un ruolo non secondario per le dinamiche e le finalità del gruppo associato. Numerose sono le conversazioni intercettate in cui l’imputato, per alcuni aspetti epigone del Moggi nel prospettare i propri meriti, ha di fatto ammesso il proprio coinvolgimento nel sodalizio in parola”) e la vicenda del mutamento del suo atteggiamento, nel corso del campionato, rispetto al gruppo che deteneva il potere nel calcio professionistico (nel processo di primo grado, il testimone Manfredi Martino ha raccontato che, ad inizio del 2005, l’arbitro De Santis gli confidò che aveva iniziato ad arbitrare in modo diverso dal solito per non fornire elementi di prova sul suo legame con la associazione, nel timore delle indagini penali).

Vicende, dunque, note ai giudici e tutt’altro che inedite. Ma, evidentemente, questa doverosa lettura non è stata fatta. 

Ho ascoltato le affermazioni di un anonimo ex carabiniere che lavorava in via in Selci, affermazioni enfatizzate dall’autore del servizio ("ad alimentare l’interesse dei pubblici ministeri napoletani c’era non solo la sete di giustizia, ma anche una sincera rivalsa calcistica") e dal conduttore che, addirittura, ha parlato di "una schiera di magistrati super tifosi del Napoli che avevano condotto, con tigna, la indagine". 

In sostanza, la trasmissione, seguendo una impostazione revisionista, prima ha disegnato scenari complottisti in cui alcuni poteri economici milanesi e torinesi sarebbero stati i veri ispiratori occulti della indagine, poi ha sostenuto, inopinatamente, che i pubblici ministeri avrebbero avviato l’investigazione anche perché – da accaniti tifosi del Napoli e abituali frequentatori delle tribune del San Paolo – erano animati da sentimenti di risentimento/rivalsa, in particolare nei confronti dell’allora Presidente Federale Franco Carraro, presunto responsabile della retrocessione in serie B del Napoli, come asserisce l’ignoto carabiniere. 

Per smentire questa fantasiosa ricostruzione – affidata alle parole di una persona di cui non viene mostrato il volto, ma solo mani che si agitano freneticamente – basterebbe ricordare che la Procura di Napoli non ha intercettato utenze telefoniche del dr. Carraro, ascoltato solo quando dialogava con altre persone il cui telefono era controllato. Insomma, davvero strampalata una indagine che si propone di colpire il principale obiettivo della inchiesta senza intercettarlo! 

Ma, soprattutto, una elementare, ripeto elementare, verifica avrebbe evitato di accreditare una grave e, al tempo stesso, grossolana insinuazione sul nostro conto. Se la verifica fosse stata fatta, sarebbe emerso che il collega Beatrice, che oggi purtroppo può replicare solo attraverso le mie parole, era un pacatissimo, mite tifoso del Napoli e non era un frequentatore abituale delle tribune del San Paolo. 

Quanto a me, sarebbe emerso quello che tutto il mondo conosce da sempre, cioè che sono un tifoso del Bologna e che lo stadio dove qualcuno può incontrarmi è, semmai, quello intitolato a Renato Dall’Ara. Addirittura, quando Filippo Beatrice lasciò l’ufficio della Procura di Napoli, il suo posto nel dibattimento Calciopoli, tra le fitte schiere di magistrati super tifosi partenopei ansiosi di rimpiazzarlo, venne preso dal collega Stefano Capuano, noto sostenitore della Sampdoria. 

In definitiva, i fatti posseggono una straordinaria attitudine: non si prestano ad essere alterati con facilità.  Anche quelli che riguardano la storia, limpida, della indagine sul calcio della Procura di Napoli.

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