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Moris Carrozzieri a Fanpage.it, la vita dopo il ritiro: “Questo calcio non mi piace”

Moris Carrozzieri, ex difensore di Sampdoria, Atalanta e Palermo, dopo alcune esperienze da direttore sportivo, in un’intervista a Fanpage.it ha parlato della sua carriera nel massimo campionato italiano e soprattutto dell’esperienza in rosanero con un presidente come Zamparini: “Ci considerava come figli”. E poi di Stefano Colantuono, che ha sempre apprezzato il suo modo di giocare: “Per me è stato come un padre”.
A cura di Fabrizio Rinelli
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Con 103 presenze in Serie A, 49 in B e 49 in Serie C, Moris Carrozzieri è stato uno dei protagonisti del calcio italiano fino a qualche anno fa. Baluardo difensivo delle retroguardie di Sampdoria, Atalanta e Palermo, raggiunse anche la finale di Coppa Italia contro l'Inter all'Olimpico di Roma. Cresciuto calcisticamente nel Giulianova, città in cui è nato il 16 novembre del 1980, Carrozzieri qualche anno fa ha iniziato una carriera da direttore sportivo prima con il Mantova e poi dopo con il Giulianova. Tra aneddoti e curiosità, l'ex difensore ha raccontato in un'intervista a Fanpage.it le sue esperienze nel massimo campionato di calcio italiano tra avversari come Ronaldinho, Del Piero e Totti, fino alle soddisfazioni raggiunte con i diversi allenatori avuti in carriera.

Moris, dopo l’addio al calcio nel 2014 le manca il rettangolo verde?
"Direi di no, mi manca solamente lo spogliatoio, il rapporto con i compagni. Per il resto, il livello del calcio attuale è cambiato tantissimo, è molto più basso. Prima giocavi contro gente come Del Piero, Totti, Ronaldo, Ronaldinho, Kaka e Vieri, era quello il calcio che ci piaceva. Ad oggi è cambiato tutto".

Chi di questi ti ha fatto più impressione sul campo?
"Ricordo ancora la prima volta che marcai Ronaldinho. Lui e Ronaldo, quando ti puntavano, avevano una forza fisica e una tecnica davvero impressionante. Ma qualche calcio Ronaldinho pure l'ha preso… (ride ndr)".

In campo non si faceva pregare.
"In un Palermo-Atalanta, siccome c'è grande amicizia con Bobo Vieri, dopo cinque minuti arrivò una palla alta e gli diedi una gomitata sopra la testa. Ma con Bobo siamo grandi amici, ci sentiamo spesso".

Lei è stato baluardo della difesa dell’Atalanta per due anni, si aspettava questa esplosione del club?
"L'Atalanta è sempre stata una società che ha puntato su un mix tra giovani ed esperti. Ha avuto il merito di aver puntato tanto su un ottimo allenatore come Gasperini. Ma d'altronde quando hai una società alle spalle con a capo uno come Percassi, che quando io vestivo la maglia dell'Atalanta faceva parte del direttivo del club con Ruggeri presidente, è normale che dopo un po' i risultati arrivino. Si tratta di un imprenditore serio".

Ha vestito tante maglie in carriera, qual è l’esperienza che ricorda con più nostalgia?
"Con la Sampdoria ricordo l'esordio in Serie A a ‘San Siro', mentre con l'Atalanta ho battuto Milan e Inter. Con la maglia del Palermo invece ricordo benissimo la gioia per la vittoria in casa con il Milan, la finale di Coppa Italia persa contro l'Inter e anche la vittoria a Torino contro la Juventus. Con queste tre società ho vissuto l'apice della mia carriera. Il ricordo più grande è chiaramente la finale di Coppa Italia con il Palermo".

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Qual è il club con cui ha avuto maggiori soddisfazioni?
"Il Palermo, sicuramente. Arrivare in finale contro l'Inter reduce dal Triplete, una squadra c'erano giocatori del calibro di Zanetti, Milito e Sneijder, fu una bella soddisfazione".

È vero che era stato vicino alla Juventus?
"Sì, avevo fatto tutto nel 2006, poi purtroppo è scoppiata l'inchiesta Calciopoli. Ma c'era già stato l'incontro a casa di Moggi".

L’allenatore che ha influito maggiormente nella sua carriera?
"Novellino, per quanto riguarda l'esordio. Io venivo dalla C e lui mi ha lanciato titolare con la Sampdoria a ‘San Siro'. Con Colantuono invece sono stato molto legato, sia perché era delle mie parti, sia perché mi sono trovato bene. Con lui ho condiviso l'esperienza all'Atalanta prima che mi portasse poi a Palermo. Colantuono è stato come un po' come un papà per me".

Cosa accadde nei due anni di squalifica?
"In quegli anni sono stato a casa. Mi sono allenato da solo, dato che non potevo farlo con la squadra. Sono tornato in campo, ho giocato cinque partite più la finale di Coppa Italia e l'anno dopo sono andato a Lecce. Ho superato questo momento difficile grazie alla mia famiglia, i miei compagni. Ma un grazie speciale va anche al presidente Zamparini, che mi è stato sempre vicino e non mi ha mai abbandonato".

Un personaggio speciale.
"Lui lo vedevamo poco, ma quando arrivava era quel tipo di presidente con cui dovevi sempre stare attento, perché da un momento all'altro poteva mandare via un allenatore o qualcos'altro. Ma con noi è sempre stato un signore, ci diceva sempre che noi giocatori eravamo come figli. Non ci faceva mancare niente, è stato un grande presidente. Da Zamparini a Ruggeri e Garrone, posso dire di aver avuto sempre grandi presidenti. Presidenti veri, che avevano risorse economiche reali, non come quelli di oggi, che vogliono fare i presidenti con gli sponsor".

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La leggenda legata al suo nome di battesimo è vera?
"Sì. Mio padre non registrò il nome correttamente all'anagrafe. Doveva essere Maurice e invece mise Moris, con un ‘r' sola".

Come si è conclusa poi la sua carriera?
"Con la squadra del mio paese in Terza Categoria ho giocato solo una partita, così per chiudere. Un po' di gare le ho invece fatte nel Giulianova in D, club in cui sono cresciuto calcisticamente".

E poi ha provato la carriera da dirigente.
"Sì, ho fatto il direttore sportivo a Mantova e Giulianova, ma poi ho mollato. Non è più il calcio di una volta. Ci sono presidenti che vogliono fare i presidenti con i soldi degli sponsor e questo non è il calcio che mi piace. In passato ho avuto altri contatti con club di Serie C, ma non erano progetti che mi entusiasmavano".

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