Mikel e il rapimento del padre, Abramovich mostrò quanto era potente: “Mando qualcuno a liberarlo?”
Sono giorni drammatici per Luis Diaz, il cui padre è ancora in mano ai sequestratori in Colombia mentre vanno avanti le trattative ad oltranza per farlo liberare. Una vicenda terribile che ha fatto rivivere a John Obi Mikel quanto provato sulla propria pelle qualche anno fa: anche all'ex centrocampista del Chelsea e della nazionale nigeriana fu rapito il padre, addirittura due volte, e nella seconda circostanza Roman Abramovich – allora presidente dei Blues – fece intuire quanto fosse potente, non solo nel calcio, offrendosi di "mandare della gente" per liberare Mikel Sr. "Non preoccuparti. Lasciamelo e basta, se vuoi questa opzione, posso farlo", disse il magnate russo.
Mikel avrebbe dovuto giocare con la Nigeria contro l'Argentina nell'ultima partita della fase a gironi dei Mondiali del 2018, ma prima dell'inizio del match il centrocampista ricevette la notizia angosciante che suo padre, Pa Michael Obi, era stato rapito per la seconda volta, dopo un primo sequestro subìto già nel 2011. "Mio padre è stato rapito mentre giocavo per la nazionale ai Mondiali del 2018 in Russia e stavamo per giocare contro l'Argentina – ha raccontato a Talksport – Due ore prima della partita ho ricevuto una telefonata da mio fratello che diceva che mio padre era stato rapito per la seconda volta in Nigeria".
"La prima volta avevo parlato con i rapitori e mi avevano chiesto un sacco di soldi , che alla fine ho pagato prima che mio padre venisse rilasciato dopo 10 giorni. Ma la seconda volta è avvenuta mentre giocavo per la nazionale e ho ricevuto questa telefonata da mio fratello che diceva che papà era stato rapito di nuovo per la seconda volta – ha continuato Mikel – La prima volta è stata scioccante, ma la seconda lo è stata ancora di più, perché stavo per partecipare ad una delle partite più importanti della mia vita".
"È stato assolutamente straziante – è proseguito il racconto del calciatore, oggi 36enne – Non riuscivo a lasciare la mia stanza. Non potevo dirlo a nessuno. Sono rimasto solo nella stanza per circa 30 minuti, pensando a cosa avrei fatto. Lo dico all'allenatore? Lo dico ai miei compagni? Oppure dovrei fare un annuncio? Ma stiamo per affrontare la partita più importante della nostra vita. Stiamo per giocare contro Lionel Messi e l'Argentina. Così ci ho pensato e ho deciso di stare zitto. Ho chiamato mia mamma e i miei fratelli, tutti piangevano al telefono. Dicevano di no, che non avrei dovuto giocare perché non sarai stato in grado di farlo bene. Mi sono preso del tempo per conto mio e ho deciso che avrei giocato. Quindi non l'ho detto a nessuno. Sono andato in campo e ho giocato. Purtroppo non abbiamo vinto la partita e poi l'ho detto a tutti. Nello spogliatoio l'allenatore e alcuni giocatori erano quasi in lacrime. Dicevano che avrei dovuto dirglielo e non avrei dovuto giocare".
Mikel ha poi rivelato come l'allora proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, lo avesse sostenuto e si fosse offerto di mandare delle persone per risolvere la situazione: "Il Chelsea è stato di grande supporto. Ricordo che Roman disse: ‘Vuoi che mandi qualcuno? Perché so che se mando delle persone, posso far liberare tuo padre'. E io: ‘Come farai a farlo?'. Ha detto di non preoccuparmi: ‘Lasciamelo e basta, se vuoi questa opzione, posso farlo'. Posso identificarmi con Luis Diaz e quello che sta passando. Questo tipo di situazione è dove non hai assolutamente nulla da fare. Devi solo aspettare perché ti chiameranno. Chiederanno questo e chiederanno quello. Diranno: ‘Se non fai quello che vogliamo, spareremo a tuo padre. Lo uccideremo'. C'era mio padre al telefono che piangeva e diceva: ‘Puoi dargli quello che vogliono, perché qui sono stato picchiato e ogni volta mi puntano una pistola in testa dicendo che mi uccideranno'. Ho pagato un sacco di soldi per far rilasciare mio padre".