Mihajlovic ha affrontato un percorso durissimo: “Il male era cattivo, resisteva a tutte le terapie”
Sono le ore del dolore per la scomparsa di Sinisa Mihajlovic, morto venerdì a Roma a soli 53 anni. Il tecnico serbo era stato ricoverato domenica scorsa alla clinica Paideia della capitale, per un'infezione poi rapidamente aggravatasi in considerazione delle sue condizioni generali già provate dalla leucemia che lo aveva colpito tre anni fa. In coma farmacologico da martedì (i medici lo hanno sedato per evitargli ulteriori sofferenze) e circondato dall'affetto di sua moglie Arianna, dei sei figli e delle tante persone che si sono alternate nelle ultime ore al suo fianco, Sinisa alla fine si è arreso.
La malattia che lo ha stroncato, la leucemia mieloide acuta, è stata un avversario quasi impossibile da battere. Di coraggio l'ex campione di Roma, Sampdoria, Lazio e Inter ne aveva da vendere, lo ha dimostrato nel corso di tutta la sua carriera e anche in questi ultimi dolorosi anni di battaglia. È che per quanto si possa essere combattivi ed aggrappati alla vita con tutte le proprie forze, ci sono degli avversari che ‘barano', rendendo impossibile il lieto fine.
È stato questo il caso di Mihajlovic: ammalatosi di leucemia nel 2019, ha avuto il trapianto di midollo osseo nel novembre di quell'anno grazie a un donatore compatibile, poi nello scorso marzo – dopo il presentarsi della recidiva della malattia – si è sottoposto ad un altro intervento, con uno scenario che tuttavia già allora si prefigurava infausto. In mezzo ci sono stati i cicli di chemioterapia, le assenze dalla panchina e i commoventi ritorni. E poi le sue frasi sempre improntate all'inestinguibile voglia di lottare, l'ultima l'aveva pronunciata proprio a marzo di quest'anno, quando aveva annunciato il ripresentarsi della leucemia: "Questa malattia è molto coraggiosa per tornare ad affrontare uno come me, io sono qua e se non le è bastata la prima lezione gliene daremo un'altra".
La verità la racconta ora all'Ansa Francesca Bonifazi, direttrice del programma Terapie Cellulari Avanzate del Policlinico Sant'Orsola di Bologna: Mihajlovic è stato davvero molto sfortunato a trovare un male implacabile. La dottoressa Bonifazi lo ha seguito dal secondo ciclo di chemioterapia e dal trapianto di midollo osseo: "Aveva una malattia molto brutta, tra le più aggressive che io abbia mai visto. Il suo male era cattivo, resistente a tutte le terapie, ai trapianti, però ha avuto attorno una serie di relazioni di affetto per cui non è mai stato solo. Io dico sempre che la malattia più brutta è quella che si affronta da soli".
La Bonifazi, coetanea di Mihajlovic, spende parole bellissime per il serbo, segno non solo di stima umana, ma anche di un legame fortissimo che si era instaurato: "Sinisa io l'ho seguito fino alla fine, per me è stato un paziente perfetto, con una grande personalità e al tempo stesso con la capacità di affidarsi totalmente. Il messaggio che ha dato a tutti noi, il suo grande insegnamento, è il coraggio di andare avanti. Il coraggio di non aver paura di affrontare qualcosa che non si conosce, di sapersi affidare, di lottare senza temere il dolore. Ha sofferto molto, ma lo ha fatto con grande dignità. E il coraggio lo prendevamo insieme, ce lo davamo reciprocamente. Per me oggi è morto non solo un paziente, ma anche un amico".
"In ospedale si è fatto ben volere da tutti, non c'è una sola persona, dai medici agli infermieri, agli ausiliari, al personale tecnico… gli hanno voluto tutti molto bene – racconta l'ematologa, che poi si commuove sottolineando come dietro la combattività del tecnico ci fosse l'amore per i suoi cari – Pur di vivere avrebbe affrontato qualsiasi dolore, qualsiasi sofferenza. Non voleva lasciare la sua famiglia, che amava sopra ogni altra cosa. Il calcio era il suo mondo, certo, ma la sua famiglia era il suo ossigeno".
Mihajlovic ci ha provato fino alla fine, mettendoci dentro tutto quello che aveva, come spiega ancora la dottoressa Bonifazi al Corriere della Sera: "Il trapianto di midollo osseo è la terapia più efficace per eradicare la leucemia mieloide acuta, in questo momento garantisce una minore possibilità di recidiva. Purtroppo in questo caso la malattia è tornata, è stata molto aggressiva ed è stata refrattaria alle cure. Tuttavia Sinisa si è rialzato anche di fronte alla recidiva: non più di una settimana fa camminava e faceva tanti chilometri a piedi. In ogni caso non va fatta una generalizzazione, il trapianto resta ancora la migliore delle terapie".