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Messi come Maradona: da te stesso non scappi nemmeno se sei un dio del pallone

Lionel Messi, che ha deciso di restare a Barcellona solo perché non aveva scelta (né scappatoie legali), condivide con l’ex Pibe quel destino beffardo che non puoi dribblare nemmeno se sei il più forte calciatore al mondo. Nella storia restano scolpiti sette anni di incredibili trionfi in azzurro. Quella del Barça è ventennale e tutta (o quasi) legata all’estro di Lio, il primo violino di una orchestra perfetta. Che tu sia Pibe oppure Pulce, la storia insegna che da te non ci scappi neanche se sei un dio del pallone. E nemmeno Eddy Merckx.
A cura di Maurizio De Santis
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Due piedi in una scarpa avrebbero fatto inciampare perfino Diego Maradona. Lionel Messi, che ha deciso di restare a Barcellona solo perché non aveva scelta (né scappatoie legali), condivide con l'ex Pibe quel destino beffardo che non puoi dribblare nemmeno se sei il più forte calciatore al mondo. E resti prigioniero di te stesso, della tua storia, della tua fama, della gloria, di soldi, clausole, scartoffie, dell'amore del tuo popolo che mai accetterà l'abbandono e ti definirà (anche) traditore, della maglia che ti va così stretta al collo fino a soffocarti.

Més(si) que un Club: aggiungete al motto del club blaugrana la sillaba tra parentesi e – per quanto sia solo un gioco – non è difficile capire perché grazie alla clausola risolutiva el diez di Rosario s'era ritagliato per sé una via di fuga nel caso gli fosse venuta voglia di sgattaiolare lontano da tutto. Dalla consapevolezza che il mondo nel quale è cresciuto, pezzo dopo pezzo, non c'è più. Che sei Palloni d'Oro in bacheca fanno di te una leggenda ma in fondo ti manca ancora qualcosa. Che basta un buon colpo a effetto per cambiare il corso della vita, dentro e fuori dal campo. Che – in virtù di quello scherzo fonetico – tutto debba per forza ruotare intorno a te. Che la lezione di Guardiola (il suo padre sportivo), e tutto ciò che ha rappresentato per il giovane Lio e per i catalani, è stata cancellata poco alla volta.

Josep Bartomeu – e prima di lui Rosell, di cui l'attuale presidente è stato il braccio destro – è l'uomo che ha provato a deMessizzare il Barcellona, a distruggere le icone del passato, a dissolvere – ricorrendo anche al gioco sporco delle maldicenze pagate – l'era di Pep e Xavi fino a virare verso qualcos'altro che non fosse la tradizione sbocciata nel solco di Cruijff. Come si spiega il milione di euro versato dal massimo dirigente e dall’attuale board alla società I3 perché screditasse le figure più carismatiche dello spogliatoio, presente e passato? E il Barça, recise le proprie radici, è divenuto altro. Cosa? Lo dice lo stesso Messi con parole semplici: "La verità è che da tempo non c’è un progetto, non c’è niente".

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Niente è ciò che prova dentro di sé, prigioniero di una situazione che fa di lui un dio potente e racchiuso in uno scrigno dorato. Niente, fino ad annullarsi in un vortice di eccessi e abusi, è quello che provò anche Maradona che da Barcellona andò via per fare la storia altrove, fino a perdersi in una città (Napoli) che l’ha accolto, osannato, stritolato d’affetto e ingoiato nel ventre caldo dei vicoli. Dopo aver vinto due scudetti e una Uefa. Dopo aver regalato al suo popolo emozioni uniche decise di andar via e trovò sulla sua strada la reticenza del presidente, Corrado Ferlaino, che aveva fatto il diavolo a quattro per averlo, pagarlo, gestirlo, coccolarlo, salvarlo da se stesso.

Finì male per tutti, anche per Maradona. Come sarebbe andata se il campione argentino e il Napoli avessero trovato un accordo dopo l'incontro di Zurigo nel '92? Nessuno può dirlo. Nella storia restano scolpiti sette anni di incredibili trionfi in azzurro. Quella del Barça è ventennale e tutta (o quasi) legata all'estro di Lio, lo strumento più melodioso di una orchestra perfetta. E la storia, che tu sia Pibe oppure Pulce, insegna che da te non ci scappi neanche se sei un dio del pallone. Nemmeno se scatti come Eddy Merckx.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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