Messi all’Inter, sogno proibito: perché è un affare che rischia di essere insostenibile
Messi vuole lasciare il Barcellona e il mercato impazza. Pep Guardiola spinge per riabbracciare l’argentino a Manchester, sponda City, mentre il Paris Saint-Germain studia una possibile formula per poterlo portare in Francia, come già fatto con Neymar. Oltre alle due superpotenze foraggiate da capitali arabi, però, si è fatta avanti la suggestione Inter. Una suggestione, appunto, perché la stessa dirigenza nerazzurra ha allontanato in tempi non sospetti la possibilità di entrare in corsa per Messi. La gestione degli ultimi anni è volta ad una crescita sostenibile, pur avendo alle spalle un colosso come Suning, che ha permesso comunque ai nerazzurri di compiere enormi passi in avanti: il bilancio consolidato al 30 giugno 2019 ha raggiunto la quota record di 417 milioni, ma tra gli oltre 750 milioni di debiti (più di metà dei quali ascrivibili a finanziamenti di Suning e al bond da 287 milioni) e l’aumento dei costi, l’inserimento di Messi si discosterebbe dal percorso intrapreso dall’Inter.
Perché Messi vuole lasciare il Barcellona
L’eliminazione dalla Champions League per mano del Bayern Monaco, con un fragoroso 8-2, è stata semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso già colmo del malessere di Messi. Un malessere emerso pubblicamente in pieno lockdown, quando filtravano notizie riguardo ad un mancato accordo tra il Barcellona e i giocatori per la riduzione dei compensi. Alla fine l’accordo è stato trovato e la squadra ha ancora contribuito a versare ai dipendenti del club ciò che gli era stato tagliato dai rispettivi stipendi. Eppure, nonostante l’intesa, a Messi non erano andate giù alcune dichiarazioni dei dirigenti e ha attaccato il board del Barça per la pubblicazione di certe indiscrezioni rivelatesi infondate. In precedenza, Messi era entrato in polemica col direttore sportivo Abidal, suo ex compagno di squadra, per l’esonero del tecnico Valverde.
La debacle col Bayern Monaco, in una stagione chiusa senza titoli, ha definitivamente interrotto l’idillio tra Messi e il Barcellona. Dopo due eliminazioni cocenti in Champions League (le rimonte subite contro Roma e Liverpool), i catalani non sono stati in grado di tornare competitivi, anzi. A livello finanziario, il Barcellona è uno dei club più indebitati d’Europa, ma nonostante ciò ha potuto portare avanti operazioni milionarie sul mercato. Tutte o quasi fallimentari, perché basta fare i nomi di Dembelé, Griezmann e Coutinho (dato in prestito proprio al Bayern, beffa delle beffe) per capire quanto male abbia investito la dirigenza culè in questi anni di digiuno in campo continentale. Inoltre, la strategia per l’immediato futuro sembra essere quella di disfarsi della vecchia guardia, come dimostra il benservito dato a Suarez, uno dei compagni più legati a Messi.
Il Barcellona vuole 700 milioni per Messi
Ecco dunque che si arriva all’ormai celebre burofax inviato da Messi alla società col quale chiede la risoluzione del contratto per mezzo «della clausola numero 24 che permette di disporre di questa facoltà». È una clausola che prevede la possibilità di liberarsi gratuitamente dal vincolo, ma solo se esercitata entro il 30 giugno di ogni anno. Visti i rinvii disposti a causa della pandemia di Covid-19, col consueto prolungamento della stagione calcistica fino alla fine di agosto, l’argentino vorrebbe poter usufruire di questa possibilità già adesso, pur consapevole di non avere molti giorni a disposizione per farcela. Quanto basta per scatenare un possibile caso legale, perché se dovesse far fede la data del 30 giugno, il Barcellona potrebbe arrivare a chiedere un indennizzo da 700 milioni di euro. Una versione, quest'ultima, avallata dalla Liga, che con un comunicato ha voluto chiarire come il contratto sia «attualmente in vigore» e che «non effettuerà la precedente procedura di visto per l’allontanamento del giocatore dalla Federazione se non viene precedentemente pagato l’importo della clausola».
Un rischio troppo grosso per chiunque. Lo è per il Paris Saint-Germain e per il Manchester City, da sempre sotto la lente d’ingrandimento della Uefa (nonostante le scappatoie trovate in questi anni), ma lo è anche per l’Inter, per quanto i nerazzurri siano stati inseriti nella corsa alla Pulce. In realtà, già in passato la dirigenza interista ha smentito categoricamente ogni possibilità di portare a Milano il cinque volte Pallone d’Oro. Marotta lo ha definito «fantacalcio» soltanto un mese fa, quando un’emittente del gruppo Suning utilizzò l’immagine dell’argentino per uno spot pubblicitario relativo alla partita tra Inter e Napoli. Negli stessi giorni, il papà di Messi si trasferì proprio a Milano, prendendo residenza vicino alla sede del club nerazzurro. Piccoli tasselli di un puzzle ben più grande, che però appare ancora incompleto. Perché un eventuale affare Messi, per l’Inter, rischierebbe di essere del tutto insostenibile. Anche nel caso in cui l’argentino dovesse liberarsi gratuitamente dal Barcellona.
Messi all'Inter, l'agevolazione del Decreto Crescita
L’ostacolo principale riguarda il fair play finanziario. L’Inter è riuscita a rientrare nei paletti previsti dalla Uefa dopo aver stipulato un settlement agreement che ne ha limitato gli investimenti sul mercato, ma una volta raggiunto il pareggio di bilancio, i blocchi sono saltati. Lukaku, Eriksen e Sanchez ne sono un’evidente dimostrazione, con i nerazzurri che hanno usufruito del Decreto Crescita per garantire stipendi da big con oneri fiscali ridotti. In totale, nella stagione 2019/20, l’Inter ha superato i 110 milioni di ingaggi lordi, proprio con l’innesto dei tre giocatori prelevati da Manchester United e Tottenham. Nella trimestrale riferita allo scorso 30 marzo, infatti, la voce sui costi per il personale tesserato ha registrato un aumento di 26,6 milioni rispetto allo stesso periodo nell’esercizio precedente, complici gli investimenti compiuti sul mercato.
Il monte ingaggi s’è dunque alzato, ma non sarebbe questo a frenare un’eventuale operazione Messi. Il compenso netto dell’argentino al Barcellona, stando ai dati forniti da Der Spiegel, si aggirerebbe attorno ai 34 milioni di euro annui: di base, infatti, Messi ha uno stipendio fisso di 60,4 milioni lordi, a cui aggiungere (sempre al lordo) 10,7 milioni di diritti d'immagine, per un totale di 71 milioni tra compenso e tasse. Considerando l'aliquota al 48% prevista dal sistema spagnolo, quello che effettivamente va nelle tasche del numero 10 blaugrana si aggira sui 34 milioni, senza contare i bonus: da quelli più facili (1,9 milioni per la qualificazione in Champions e altrettanti per aver disputato il 60% delle partite) a quelli legati ai vari step in Champions League (dagli 1,1 milioni per gli ottavi ai 4,1 milioni per la vittoria), più altri premi (2,7 milioni per la Liga, 685 mila euro se si aggiunge la Copa del Rey e altrettanti per la vittoria del Pallone d’Oro).
Con 34 milioni netti di compenso fisso e diritti d’immagine, Messi aumenterebbe il monte ingaggi dell’Inter di circa 45 milioni, sfruttando le agevolazioni previste dal Decreto Crescita. Per i cosiddetti impatriati, infatti, è prevista una riduzione dell'imponibile sul 50% dell'ingaggio, a patto che si trasferiscano in Italia per almeno due anni. Dei 34 milioni di stipendio, dunque, solo la metà verrà tassata, con un'aliquota massima pari al 43%. Nel caso di Messi, dunque, l’ingaggio lordo arriverebbe a superare di poco i 41 milioni, a cui aggiungere eventuali bonus. Questo considerando sempre i diritti d’immagine come parte del compenso e non come possibile reddito generato all’estero: in quel caso, la riduzione prevista dal Decreto Crescita si applicherebbe sulla base di circa 29 milioni netti (che in Italia, al lordo, avrebbero un peso di circa 35 milioni), mentre la tassazione sui diritti d’immagine potrebbe essere di soli 100 mila euro, ma bisogna prima passare da un’intesa con l’Agenzia delle Entrate.
Il fair play finanziario "spegne" l'ipotesi Messi all'Inter
L’Inter, anche aggiungendo 45 milioni al proprio monte ingaggi, non supererebbe il limite imposto dal fair play finanziario, che prevede un rapporto massimo tra fatturato e stipendi pari al 70%. Il club nerazzurro, però, deve fare nuovamente i conti con il pareggio di bilancio, il motivo per cui nel 2015 è stato sottoscritto un settlement agreement con l’Uefa. Allo stato attuale, considerando i bilanci chiusi nel 2018 e nel 2019, l’Inter ha un passivo di circa 15 milioni di euro (prendendo in esame non i risultati d’esercizio, negativi per 65 milioni, ma il saldo tra entrate e uscite “rilevanti”). Il triennio, però, non verrà completato dal 2020, perché la Uefa ha deciso di accorpare i risultati dell’ultimo anno a quelli del 2021, in modo da calmierare i prevedibili effetti della pandemia di Covid-19 sui conti dei club, facendo la media dei due anni. Per non sforare i 30 milioni di rosso nel triennio concessi dai regolamenti sul fair play finanziario, dunque, l’Inter potrà al massimo chiudere questi due esercizi con un passivo complessivo di 30 milioni, per una media di 15 milioni annui.
La strada non è affatto semplice, perché nella trimestrale chiusa lo scorso 31 marzo il rosso era superiore ai cento milioni di euro (103,1 milioni) e per quanto si attenda l’effetto della cessione definitiva di Icardi al Paris Saint-Germain (50 milioni più 7 di bonus), bisognerà anche aspettarsi un effetto negativo dovuto al lockdown e alla ripresa delle partite senza pubblico sugli spalti. Di fatto, l’esercizio che l’Inter chiuderà nel 2021 sarà volto più ad un riequilibrio dei conti che a possibili investimenti da sogno, come potrebbe essere quello per far sbarcare Messi a Milano. A meno di cessioni eccellenti (plurale d’obbligo), tali da ridurre il passivo nei ranghi previsti dalla Uefa, il mercato dell’Inter non potrà far spazio ad investimenti di tale portata. Tanto più se il Barcellona, che per liberare l’argentino chiede 700 milioni di euro, dovesse dare il via ad una battaglia legale. Un rischio troppo grande per chiunque, Inter inclusa.