“Meglio la finale di Champions o la Parigi-Roubaix?”, la risposta di Sarri è sorprendente
Un anno fa Maurizio Sarri diceva le stesse cose di oggi. Parlava di un calcio nel quale sembra non riconoscersi più e tirava in ballo la condizione "scadente" del prato dell'Olimpico. A sentirne lo sfogo dopo il pareggio con l'Udinese l'impressione è di ascoltare un nastro registrato con la parola "ingiocabile" messa a corredo di un annuncio/provocazione: se alla Lazio sta bene esibirsi su quel fondo, allora si trovi un nuovo allenatore.
Nella polemica e nello sfogo di domenica sera s'intravede anche dell'altro: una crisi di rigetto o d'identità. Dagli accenti utilizzati nell'intervista concessa a Rsi Sport affiora questo senso di stanchezza e disillusione che restituiscono al pubblico un allenatore diverso rispetto a quello della ‘grande bellezza' e del periodo napoletano.
Ed è una delle dolenti note per il tecnico fermamente convinto che "il calcio deve essere salvato da se stesso. Giocare 60 o 70 partite all'anno porta i giocatori ad allenarsi di meno e a produrre uno spettacolo meno bello. Lo sport è diventato un business, in cui conta di più l'apparenza ed è una cosa ridicola".
La riflessione offre lo spunto per andare oltre nella discussione e spingersi in un discorso che è musica per le orecchie dei tifosi più intransigenti, di quelli che hanno i capelli bianchi e di altri che non perdonano né accettano le cifre che scandiscono i tempi di oggi e tengono in piedi il caravan-serraglio di atleti e club.
"Nel calcio girano cifre immorali? Come è immorale il mondo attuale, sotto tanti punti di vista – ha aggiunto il tecnico della Lazio -. Se un attore incassa 30 milioni per un film è immorale ma probabilmente c’è un ritorno economico che li giustifica". Cosa ne pensa lui? Anche la bellezza può piegarsi al pragmatismo. "Lo ritengo ingiusto ma anche questo fa parte del mondo che viviamo attualmente".
Napoli ha rappresentato la svolta della carriera. Il Chelsea gli ha offerto quella ribalta europea e la vittoria di un trofeo che in azzurro gli erano mancati (aveva sfiorato solo lo scudetto perso in quello sciagurato pomeriggio nell'albergo di Firenze). Alla guida della Juve s'era tolto lo sfizio di accomodarsi a palazzo entrando dalla porta principale, salvo andar via definendo quella squadra "inallenabile".
A che punto è oggi? La chiosa è tutta nell'ultima affermazione su ciò che gli dà gusto per davvero quando parla e ragiona di sport. "Se devo scegliere tra vedere la finale di Champions League oppure la Parigi-Roubaix allora dico il ciclismo, che è uno sport vero. Vederlo mi dà grande soddisfazione".