Mazzocchi al Napoli è il premio di una vita: “Facevo il fruttivendolo, il calcio mi ha salvato”
Pasquale Mazzocchi oggi ha chiuso il cerchio della sua vita: nato a Napoli 28 anni fa, l'esterno è approdato nella squadra della sua città che lo ha prelevato dalla Salernitana a titolo definitivo per circa tre milioni di euro. Con Zanoli in uscita, il calciatore andrà a ricoprire il ruolo di vice Di Lorenzo a destra, potendosi peraltro disimpegnare anche a sinistra. Mazzocchi ha firmato per tre anni e mezzo, con opzione per un quarto anno, e indosserà la maglia azzurra numero 30, la stessa che aveva a Salerno. La storia di Pasquale racconta di sacrifici e riscatto, di voglia e sudore: se c'è uno che meritava di arrivare quello è Mazzocchi.
Per dirlo in maniera sintetica: non ha mai mollato. Mai, mai, mai. Anche quando gli anni passavano e la Serie A sembrava un miraggio lontano, fino all'esordio in Serie A a 26 anni nel 2021 con la maglia del Venezia. Da lì è stato un crescendo, passando per la Salernitana di cui è stato un pilastro e per l'esordio in Nazionale nel settembre 2022 – quando è entrato nel finale del match di Nations League contro l'Ungheria – fino ad arrivare, anzi a tornare, nella sua Napoli. Non male per quel bambino che tanti anni fa si trasferì da solo a Benevento per entrare nelle giovanili del club sannita.
"Da ragazzino ho sempre giocato per strada con gli amici, da mattina a sera, fino a quando, ad 11 anni, ho lasciato la famiglia per inseguire il mio sogno – ha raccontato a Fanpage.it – Mi sono trasferito a Benevento e ho cominciato lì il mio percorso nelle giovanili. All'inizio è stata durissima perché, benché alla fine fosse ad un'ora da Napoli, tornavo a casa solo una volta ogni due mesi. I miei genitori, poi, non avevano le possibilità per venirmi a trovare, anche perché in famiglia siamo sei figli, si può immaginare. Dunque, ero davvero solo, ho lasciato famiglia, amici, scuola e ho dovuto ricominciare da capo e gestirmi come fossi un adulto. E ancora me li ricordo quegli attimi, la notte era difficile prendere sonno. La gente pensa che la vita del calciatore sia bellissima, ma non sa quanti sacrifici si debbano fare per arrivare in Serie A. E in molti, nonostante i sacrifici, non ce la fanno. Io stesso ho avuto tantissimi momenti di sconforto, sono stato più volte sul punto di mollare tutto…".
E invece Pasquale non solo non ha mollato, ma ci ha dato dentro ancora di più, mettendo in campo tutto il cuore che aveva, anche per dare una mano in famiglia. "Io per aiutare i miei genitori a pagare la scuola calcio e gli scarpini avevo iniziato a fare il fruttivendolo – ha raccontato qualche tempo fa a Radio Rai – I sogni li fa chi dorme, gli obiettivi si raggiungono con il lavoro. Io vengo da un quartiere di Napoli molto difficile, dove da giovane si fa fatica a trovare lavoro. In quelle situazioni, magari con una famiglia numerosa, purtroppo si tende magari a fare cose sbagliate. Mi ha salvato il calcio, devo tanto anche alla mia famiglia che ha sempre fatto tantissimi sacrifici per me".
Quanto forte fosse il fuoco che ardeva dentro quel ragazzo che correva dietro un pallone ma non dimenticava le cose più importanti della vita, lo ricordano le parole pronunciate l'anno scorso dal suo procuratore Luigi Lauro a ‘1 Station Radio': "Il calcio lo ha salvato, viene da un quartiere della periferia di Napoli in cui i ragazzi non hanno molte possibilità (Barra, ndr). Grazie alla sua forza di volontà, ed al dono di saper giocare al calcio, è riuscito a venire fuori da questo ambiente particolare ed il suo desiderio più grande è quello di ispirare tanti ragazzini che, come lui, hanno avuto la sola sfortuna di nascere in un luogo dimenticato dalle istituzioni".
"Pasquale è davvero l'esempio di chi ce l’ha fatta – ha raccontato Lauro – Da piccolo, intorno ai 12 anni, dopo scuola e prima degli allenamenti faceva il fruttivendolo. Il suo mister dell'epoca, Giuseppe Araimo, per un periodo lo vedeva affaticato e gli chiese quale fosse il motivo. Il ragazzo, con estrema ingenuità, gli raccontò del suo ‘nuovo' lavoro e della paga da miseria che percepiva, ma che era necessaria per aiutare la famiglia. Vedendo in lui un potenziale importante, per tutta risposta gli promise che per ogni gol segnato gli avrebbe dato la stessa paga che percepiva settimanalmente lavorando. Se non fosse stato per Araimo, probabilmente Pasquale sarebbe diventato uno dei tantissimi talenti napoletani che lasciano il calcio per dedicarsi al lavoro ed aiutare la famiglia in difficoltà. Il mister è stato un secondo papà per lui, visto che i suoi genitori biologici erano impegnatissimi, ogni giorno, a trovare qualche soldo per mettere il piatto a tavola".