Maurizio Schillaci ora non vive più in una Panda, ma è durissima: “Finché giochi tutti ti amano”
Maurizio Schillaci ha compiuto 60 anni lo scorso 1 febbraio e per lui voltarsi indietro non è piacevole. A chi ancora oggi dice che ai bei tempi era più forte di suo cugino Totò, idolo assoluto con la maglia dell'Italia ai Mondiali del 1990, l'ex attaccante palermitano risponde con dignitoso orgoglio pari alle difficoltà che la vita gli ha messo di fronte quando i riflettori si sono spenti e i tifosi hanno smesso di invocare il suo nome: "Lo lascio dire agli altri, a chi mi ha conosciuto calcisticamente. Non sono un presuntuoso. Anzi, a dirla tutta mi sarei anche stufato di quello che si dice su di me, che ero più forte di mio cugino. Non me ne importa più niente, e in ogni caso anche se fosse vero io non lo direi mai".
A metà anni '80 Schillaci sembrava avviato a un'ottima carriera, dopo essere approdato alla Lazio a coronamento di una scalata che lo aveva visto prima esordire a 17 anni nella squadra della sua città e poi imporsi nel Licata, all'epoca ‘laboratorio' calcistico del primo Zeman. Il successo era davvero ad un passo per il talentuoso esterno d'attacco ed invece oggi lo ritroviamo disoccupato a cercare di sbarcare il lunario in strada a Palermo assieme al suo fido cane Johnny, l'unico che non lo ha abbandonato. Rispetto a qualche mese fa – quando era un clochard – l'ex calciatore vede oggi uno spiraglio di luce, visto che non dorme più in una Panda grazie a un conoscente che gli ha concesso l'uso di un piccolo appartamento a fronte di un affatto quasi simbolico.
Ma la situazione resta non facile, non potendo contare su una fonte di sostentamento. Del resto – è l'amara constatazione di Schillaci – "ho 60 anni e ho giocato solo a pallone, chi mai mi assumerebbe?". Maurizio è solo, i rapporti con le due figlie avute da matrimoni diversi sono inesistenti da tempo, lo stesso col cugino Salvatore, col quale la sorte è stata ben più benevola. Ma come è stato possibile che un calciatore lanciato verso il successo facesse questa triste fine, cadendo anche nell'abisso della droga? Lo racconta lo stesso Schillaci al Corriere della Sera, tornando ai primi tempi alla Lazio, quando cominciarono i suoi problemi fisici.
"I medici sociali mi hanno rovinato. Secondo loro ero un malato immaginario, un siciliano senza carattere. Questo, dopo tanti anni, ancora non mi va giù. Dicevano che non avevo voglia di giocare, la realtà è che avevo lo scafoide del piede destro lesionato e in necrosi. Per un anno ho continuato a dire che stavo male, ma nessuno mi credeva. Alla fine per farmi fare finalmente una stratigrafia ho dovuto attendere il mio successivo trasferimento al Messina, in Serie B", spiega adesso. A quel punto era già tardi per il grande calcio e il prosieguo della sua carriera è stato poi un rapido declino, fino al ritiro precoce a soli 31 anni.
La morale della storia è che "finché giochi tutti ti amano, ma quando smetti ti ritrovi da solo. È il vuoto". Schillaci adesso vorrebbe soltanto avere un'altra chance nella vita, il calcio è lontanissimo: "Mi ha dato tanto ma mi ha tolto ancora di più. Per questo ora non lo guardo, me ne sono distaccato radicalmente".