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Mario Corso, perché ha rivoluzionato il calcio più di quanto crediamo

La scomparsa di Mario Corso a soli 78 anni rappresenta l’addio ad un campione che ha rappresentato il prototipo perfetto del calciatore moderno. Dal tocco fatato che ammaliò anche Pelè, il “piede sinistro di Dio” era un ‘rivoluzionario’ nella Grande Inter degli anni 60: calzettoni abbassati, tiri ‘a foglia morta’, il ruolo atipico e sconosciuto da ‘trequartista’.
A cura di Alessio Pediglieri
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Mario Corso è morto. Ma non con la scomparsa di ‘Mandrake' non è morto di certo ciò che ha rappresentato per la storia del calcio, non solo italiano, non solo in chiave nerazzurra, al di là delle oltre 500 presenze e 90 reti in 16 anni di onorata militanza interista. Mariolino Corso è stato il prototipo del calciatore moderno, un esteta del calcio pettinato e anarchico, fatto di bellezza ed estro. Straordinario interprete di un piede sinistro con cui sapeva fare tutto, riusciva anche a dare il meglio di sè in un ruolo che negli anni '60 era ancora visto come un'assurdità tattica, il trequartista. Se come ‘ala' riusciva a splendere, dietro alle punte dava ancor più il meglio di sè dando luce anche ai compagni di squadra.

Il primo trequartista nella storia del calcio

Negli anni '60 Corso è stato un punto di riferimento della Grande Inter che imperversava in Italia, in Europa e nel Mondo. Quattro scudetti, due Coppe dei campioni e altrettante Coppe Intercontinentali, Mario Corso ha rappresentato ciò che di nuovo e di bello in quegli anni il calcio potesse offrire: amato e rispettato anche dagli avversari, mai un gesto fuori dalle righe, tranne per quei calzettoni sempre abbassati sotto il polpaccio come a far scorrere libero l'estro e quella ‘foglia morta‘ studiata dai piedi del brasiliano Didi e replicata in modo sublime ogni volta che ne appariva l'occasione. Era croce e delizia dei propri allenatori, bravo e anarchico, un ‘numero 11' atipico che più delle corse sulla fascia prediligeva far viaggiare la palla, con il suo sinistro magico. E per farlo, rompeva le righe, si trasformava in un ruolo in campo che all'epoca non aveva nome, il moderno trequartista. Si accentrava dietro le punte, offriva ciliegie ai compagni o cercava la conclusione personale in porta.

Le fatiche azzurre del "Piede sinistro di Dio"

La grandezza di Mario Corso non si riuscì ad esprimere però come avrebbe dovuto, in Nazionale maglia con cui ebbe più delusioni che gioie. Il 15 ottobre del '61 segnò i primi gol in azzurro, con una doppietta  contro Israele, guadagnandosi un altro soprannome che gli calzava a pennello: "il piede sinistro di Dio", ma se gli inizi furono entusiasmanti, il seguito ebbe destino differente. Escluso dalla rosa dei convocati per la spedizione in Cile, non fu poi convocato per il campionato del mondo 1966, a causa di contrasti personali con l'allenatore Edmondo Fabbri. Il 9 ottobre 1971, a distanza di 10 anni dai suoi primi gol in azzurro,  giocò la sua ultima partita in nazionale.

L'ultimo riconoscimento: la Hall of Fame del Genoa

La conclusione della carriera calcistica di Mario Corso è legata ai colori rossoblù del Genoa dove militò per due stagioni fino al 1975. Fu quello l'anno del suo ritiro, forzato,  a seguito di un grave incidente in campo, con la rottura della tibia. Mario Corso aveva 34 anni ma non si diede per vinto: si sottopose a operazione e seguì tutta la convalescenza. Rimossa la placca metallica che aveva permesso alla tibia di ricomporsi, il destino punì ancora il giocatore: durante un allenamento, l'osso si spezzò nuovamente, dando fine alla carriera di Corso. Che però, lasciò il suo segno indelebile anche in quel Genoa che nell'agosto 2013 lo inserì nella propria "Hall of Fame".

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