Mario Balotelli tra poco più di due mesi taglierà il traguardo dei 30 anni. Voltandosi indietro, troverà le macerie di una carriera che poteva essere tutto ed è stata poco, almeno in rapporto al suo potenziale. Il fallimento con il Brescia è il più fragoroso della sua vita calcistica. Anche conoscendo la sua storia di alti e bassi, di tira e molla e corde spezzate, era francamente difficile ipotizzare un finale così: licenziato con 12 partite di campionato ancora da disputare.
Eppure sembrava l'ennesima occasione giusta tra le occasioni giuste. Il contesto ideale in cui potersi finalmente esprimere ai suoi livelli: nella sua terra, lontano dai riflettori delle grandi piazze, con la giusta dose di responsabilità. Ma dalle responsabilità Mario è scappato, ancora una volta; e i riflettori li ha attirati su di sé, come da abitudine, più per quanto fatto fuori che dentro il campo. Un copione visto e rivisto.
In questi ultimi mesi a Brescia, Balotelli ha restituito la sensazione di non divertirsi giocando a calcio. Quella che lo ha accompagnato, in modo sempre più evidente, squadra dopo squadra, un capitolo incompiuto dopo l'altro. E viene da pensare a quale possa essere, oggi, il dopo per Mario, a questo punto della sua carriera, reduce un licenziamento per assenze reiterate agli allenamenti nel periodo che (di solito) nel percorso di un calciatore coincide con la fase di massima maturità.
Ma soprattutto viene da pensare a cosa sarebbe potuto essere e non è stato. A quel ragazzo così forte da ritagliarsi un posto nell'Inter più vincente della storia a soli 17 anni. Al campione che ci ha illuso di poter diventare il leader tecnico della Nazionale mostrando i muscoli in faccia ai futuri campioni del mondo della Germania. Al centravanti indolente, svogliato e indisciplinato capace, nonostante tutto, di segnare praticamente ovunque, prima di rovinare sempre tutto.
Al più grande spreco di talento degli ultimi 10 anni nel calcio italiano.