Marco Macina: “Ero il più forte di tutti, ma a 33 anni sono finito in ufficio. Le modelle non c’entrano”
Marco Macina è stato un calciatore, ha avuto una carriera molto breve, ha esordito giovanissimo in Serie A con il Bologna ed ha vestito soprattutto la maglia del Milan. Nel 1987 a 23 anni ha disputato l'ultima partita da professionista. Ma nonostante ciò il suo posto nel mondo del calcio se l'è preso, soprattutto per quanto è riuscito a fare quando era ragazzino. Lui era il più forte di tutti, con queste parole lo ha definito spesso Roberto Mancini, che fu suo compagno ai tempi delle giovanili del Bologna. "Ero il più forte di tutti" è il titolo del libro che ha pubblicato per edizioni Minerva. E a Fanpage.it Macina ha rilasciato una lunga intervista nella quale ha parlato di quanto ha fatto da ragazzo prodigio con l'Italia e di alcuni episodi che hanno segnato la sua carriera: "Ho avuto tre o quattro passaggi un po' sfortunati".
Tu sei nato a San Marino ma hai giocato con le giovanili dell'Italia, ci spieghi come mai hai vestito la maglia azzurra?
San Marino è una realtà molto piccola, gli unici due calciatori che hanno militato in Serie A siamo stati io e Massimo Bonini. Quando giocavo io la nazionale di San Marino non c'era e le cose migliori le ho fatte con la nazionale italiana dai 14 ai 18 anni. A Monte Carlo in un torneo giovanile ricevetti il premio di miglior giocatore, davvero un bel ricordo ma anche un grande orgoglio, considerato che quella era una squadra composta da giocatori molto forti e in quel periodo ero io quello che faceva la differenza. Quando giocavo con la nazionale vincevo spesso il premio di miglior calciatore, e all'epoca vincevamo anche come squadra. Quello era il massimo che potessi chiedere. Giocavo in una squadra fortissima, vincemmo anche l'Europeo Under 16 nel 1982.
La prima sliding door della tua carriera arriva quando eri ancora un ragazzino, perché sul più bello si vanificò la possibilità di passare all'Inter.
L'Inter sfugge quando non avevo nemmeno 14 anni e giocavo a San Marino, nel circondario riminese. All'epoca c'era il padre di un mio amico che era un grande tifoso dell'Inter e scrisse a Mazzola. Gli scrisse che c'era un ragazzino che era un fenomeno. Dovevo fare un provino, ma non andai all'Inter perché mi venne un'infezione e saltai l'ultimo provino e così passai al Bologna. Feci il provino con il Bologna, lo feci con Mancini, nonostante fossimo più giovani di tutti ci presero. Nel libro sottolineo che però forse era meglio rimanere a casa perché ero troppo giovane, troppo piccolo.
Da giovanissimo quindi passi al Bologna e li trovi anche Roberto Mancini, che spesso quando parla della sua lunga e meravigliosa carriera. Spesso ti cita indicandoti come il migliore di quella generazione, come mai lo fa?
Dai 14 ai 18 anni ero il più forte di tutti. L'unica cosa è che Mancini lo ribadisce spesso. Lui non è il tipo di persona che dice che qualcuno è più bravo o più forte di lui. Io lo so da solo che era così, e cioè che ero il più forte di tutti. Io ero un calciatore che saltava l'uomo, avevo un ruolo diverso rispetto a lui. Quando giocavamo insieme a Bologna, lui giocava da mezza punta avanzata, diciamo giocava un po' come Totti.
Poi Mancini non è uno prodigo di complimenti. Se lui continua a ribadire questa cosa qua tocca chiederglielo a lui. Non so perché lo dica così sinceramente, non avrebbe bisogno per la carriera che ha fatto, ma comunque fa specie.
Tu sei stato fenomenale da ragazzino, quando avevi tra i 14 e i 18 anni hai ottenuto risultati straordinari e hai fatto la differenza giocando con le giovanili dell'Italia, come mai non sei riuscito a confermarti in seguito?
Nella vita, così come nel campo privato, ci sono situazioni che non vanno bene. Perché andasse proprio così male me ne sono successe molte. Nel libro ho sempre sottolineato che per me ci sono due carriere. Io ho avuto una carriera fino ai 18 anni e una dopo. Fino ai 18 ero uno dei più forti al mondo, se non il più forte. Quando giocavo con la nazionale facevo la differenza anche giocando contro squadre forti, ed era una cosa costante. Nella nostra squadra c'erano giocatori forti come Giannini, Mancini, ma anche Bonetti, Bortolazzi, Carannante, avevamo giocatori forti e io ero ancora più forte. Mi ricordo un dirigente dell'Italia era un uomo austero, che mi chiamò e mi disse: ‘Marco sei il più forte dei fortissimi'. In quel periodo era così.
Avresti potuto fare il tuo esordio in Serie A a 16 anni, ma venisti escluso all'ultimo da Radice per un'assenza a scuola, che ricordi hai?
Io non è che mi ricordo tanto di ciò che ho fatto a livello giovanile. Però so di aver fatto una grande partita con gli Allievi del Milan e quel giorno a Casteldebole c'era la prima squadra che guardava la partita. Radice decise di convocarmi per la partita di Serie A successiva. Quando mi presentai in albergo lui mi chiese come mai non ero andato a scuola? Io gli dissi la verità e cioè che non ero andato perché c'era stato sciopero. E lui mi disse ‘allora vai a casa'. Altrimenti io avrei debuttato in Serie A a nemmeno 17 anni, perché considera che quella partita contro il Perugia il Bologna la vinse per 4-0.
Non ti dà fastidio sentire quelle parole? Mi spiego meglio. Il tuo era un valore assoluto eri fortissimo da ragazzino, ma poi materialmente non sei riuscito a confermarti
Io ho sempre considerato molto il fattore fortuna, nell'ambito calcio non l'ho avuta. Però ho sempre detto che se tu ha una persona dici che è fortunata è il più bel complimento che puoi fare, la fortuna non va a sminuire la bravura. La fortuna è una cosa innata e se ce l'hai le cose si mettono a posto. Io non ho mai incrociato i tempi giusti. Così come per il Milan di Berlusconi. Se fossi andato l'anno dopo sarebbe stato diverso. È sempre così. Poteva andare molto meglio, ero nel Milan precedente e non in quello vincente.
Al Milan hai avuto di modo di aver compagni di squadra di alto livello come un giovane Maldini, Baresi e soprattutto con Paolo Rossi, che era un tuo grande amico.
Ero molto amico con Paolo, era un ragazzo molto semplice. Io sono diventato subito amico con lui, non lo consideravo solo un campione del mondo. C'è un aneddoto che fa capire quanto era amato. Eravamo assieme a pranzo quando mi rubarono l'auto. Quando uscimmo dal ristorante non trovai la mia e andai a fare la denuncia, lui mi accompagnò. Davanti a una caserma suonai, ma mi dissero di tornare il giorno seguente. Io dissi che ero un giocatore del Milan e che con me c'era Paolo Rossi. Quando ho fatto il suo nome si è illuminata la caserma, sono venuti giù tutti. C'era gioia. Ho visto l'amore della gente verso di lui.
Complimenti a raffica prima, durante e dopo la tua carriera. Dopo un Parma-Roma anche il cantante Antonello Venditti riconobbe le tue qualità?
Giocai una partita di Coppa Italia Parma-Roma, c'era anche Venditti in tribuna, era amico del direttore Sogliano e giocai una partita strepitosa. La Roma giocava a zona e io contro le squadre a zona andavo a nozze. Dopo la partita Venditti venne negli spogliatoi e mi fece i complimenti.
Ai tempi del Milan tu hai avuto modo anche di conoscere Silvio Berlusconi?
Lui arrivò a febbraio 1986, si presentò a marzo e nella stagione successiva non venni confermato. Io me lo ricordo quando arrivò la prima volta a Milanello. Lì nel ristorante si presentò a tutti. Io lo salutai, gli diedi la mano, ma non ho avuto un rapporto con lui perché andai via.
Oggi cosa fai nella vita?
Lavoro all'ufficio del turismo di San Marino. Quando avevo 33 o 34 anni ho iniziato a lavorare in ufficio e svolgo questa attività da tempo.
C'è un calciatore tra quelli attuali in cui ti rivedi?
Ultimamente molti mi dicono che Leao mi somiglia, a me piace molto, perché lui ha il cambio di passo e può fare la differenza. Io avevo il cambio di passo e acceleravo, anche se io ero più attaccante rispetto a lui.
Tu non hai dei rimpianti? Non pensi che qualcosa sarebbe potuto andare in modo diverso se avessi fatto qualcosa di differente?
La mia è una storia particolare, per la gente ero il più forte di tutti. In determinate situazioni ci sono state una serie di eventi sfortunati. Quando avevo 18 anni Liedholm mi voleva a Roma, ma il Bologna chiese una cifra folle. Ci sono tanti passaggi nella carriera di una persona. Il discorso finale è questo. Però sarebbe da stupidi che la non carriera sia dovuta solo a questi fattori.
Vorresti rientrare nel mondo del calcio?
Non ho il patentino, quindi è difficile. Ma a me fa piacere che la gente si ricorda ancora di me e mi riconosce per strada. Io ho lasciato un bel ricordo, questo fa capire che sono riuscito a lasciare un segno.
Però tu qualche errore non pensi di averlo commesso? Al di là degli infortuni e della sliding door del Milan di Berlusconi, non hai mai pensato che forse potevi allenarti meglio? O magari hai pensato che sei andato troppo in discoteca? Hai vissuto pure la Milano da bere? Non fai un po' di autocritica?
No, ma quello alla fine conta poco. Non c'è stato qualcuno o qualcosa che mi ha impedito di fare qualcosa. Io ho solo detto una cosa che secondo me era molto vera: quando tu alla fine giochi con il Milan, il Milan è una squadra importante, lì a Milano, soprattutto in quel periodo, non è che mi aspettano tanto. Poi voglio sottolineare che al Milan sarei potuto andare l'anno prima a novembre, perché il Milan non aveva più attaccanti. Quando sono arrivato l'anno seguente ho trovato Rossi, Virdis e Hatley. Molte volte quando ho giocato ho giocato con quattro punte autentiche. Io come talento potevo essere da Milan, ma forse non era il tempo adatto. Quindi non c'entrano le modelle, le indossatrici, non è questo il punto, probabilmente non ero in quel periodo adatto al Milan.