“Maradona era morto sul letto ancora caldo e gli svuotavano il frigorifero”: il dolore è senza fine
Oggi Diego Armando Maradona avrebbe compiuto 61 anni. Per chi ama il calcio, la poesia, il sogno di poter rovesciare i ruoli attribuiti dalla storia, Diego vive. Ma c'è chi non può e non vuole dimenticare le circostanze della sua morte. Vergogna, infamia, dolore. E accuse, durissime, nei confronti di chi ha permesso che il più grande calciatore di sempre finisse il suo percorso terreno in maniera così tragica ed in assoluta solitudine, circondato da estranei che invece di curarlo lo hanno accompagnato – più o meno interessati, o indifferenti nella migliore delle ipotesi – verso la morte.
Stefano Ceci è stato uno degli amici più sinceri di Diego e ha condiviso con lui gran parte della sua vita, seguendolo a Cuba e Dubai. Oggi non si trattiene nel raccontare cosa hanno fatto all'ex capitano del Napoli e dell'Argentina. Fieramente avversato dai figli del Pibe a causa dei diritti di immagine che Maradona gli concesse per qualche marchio (molti altri li possiede l'avvocato Matias Morla), Ceci ribatte alle accuse con veemenza: "Ma io ho vissuto per vent'anni insieme a Diego, ho tutte le prove dei nostri contratti, infatti ho sempre vinto in tribunale e non temo certo i parassiti che sfruttavano Maradona da vivo, e vogliono sfruttarlo pure da morto".
"Le accuse degli eredi? Miserabili. Eppure continuo a mandare bonifici pari al 50 per cento di ogni affare concluso, come voleva Diego. Lui era lì sul letto, morto e ancora caldo, e c'era chi gli svuotava il frigorifero. Si sono fregati pure le cose da mangiare", attacca Ceci a Repubblica, con immagini fortissime che dipingono uno scenario di tristezza e squallore nella casa di Tigre dove Maradona finì i suoi giorni dopo essere stato operato alla testa.
Il vecchio amico di Diego è un fume in piena: "Gli hanno fatto cambiare quattro case soltanto nell'ultimo anno, le signore figlie, per poi mandarlo a morire nella jungla. A Napoli c'è un proverbio che dice: il morto lo piangono tutti, ma nessuno se lo vuole portare. Quando lo vidi per l'ultima volta, Diego era nel ritiro del Gimnasia, la squadra che allenava. Aveva giocato a pallone, ma non c'era acqua calda per lavarsi: lo aiutammo io e Christian Jorgensen, il suo assistente. Scaldammo l'acqua sul gas della cucina, non c'era nemmeno lo shampoo. Ecco come viveva Diego. Quando sento dire ‘ma come è morto?', io rispondo: non è morto così, è vissuto così, solo come un cane. Ha avuto tutto e non ha avuto niente".