Mandragora: “I primi giorni dopo il malore di Bove si è andati un po’ oltre. Bisogna avere rispetto”

Rolando Mandragora è uno dei calciatori più importanti della Fiorentina di Raffaele Palladino. Lotta, corre, assiste i compagni e segna. Il centrocampista classe 1997 è una colonna della Viola da ormai tre stagioni e può diventare il calciatore con più presenze europee del club toscano (ha già eguagliato Nenad Tomovic a 33), oltre a superare il suo record di gol (5) in una stagione: per il calciatore nato a Napoli sarebbero due traguardi importantissimi e che aiuterebbero a restituire ancora di più la sua leadership nel gruppo.
Partito dalla Mariano Keller di Scampia, Mandragora divenne un riferimento nel settore giovanile del Genoa tanto che Gasperini lo fece debuttare in Serie A a 17 anni e 4 mesi: dopo un lungo giro che ha toccato tutta l'Italia, da Pescara e Crotone fino a Udine e Torino, ora Rolando ha trovato una stabilità a Firenze ed è uno dei riferimenti dello spogliatoio gigliato.
A Fanpage.it Rolando Mandragora ha analizzato la stagione in corso a livello personale e della Fiorentina, tra speranze e sogni, e ha ripercorso alcuni momenti della sua carriera: il centrocampista viola non ha lesinato critiche al modo in cui è stato trattato il malore di Bove dai media.
Che stagione è quella di Rolando Mandragora fino a questo momento?
"Tirare le somme adesso è difficile ma, per ora, la reputo positiva. Ho avuto uno stop che mi ha rotto un pochino le scatole nei primi mesi ma dopo aver ritrovato la condizione sono riuscito a mettere le mie qualità a disposizione della squadra. Di questo sono molto contento ed è chiaro che dobbiamo continuare con questo tipo di prestazioni, sia a livello personale mio che di squadra".
La Fiorentina è in corsa per la Champions League ed è ai quarti di Conference League ma c’è sempre un’aria molto pesante intorno a voi e a mister Palladino: vi siete chiesti il motivo e, se si, che risposta vi siete dati?
"Noi sappiamo che la piazza è molto esigente e che ci vuole un gran bene, perché se uno chiede molto vuol dire che ti vuole bene: questo per noi è un aspetto fondamentale che ci ricordiamo sempre nello spogliatoio e noi cerchiamo di ricambiare sul campo con le nostre prestazioni lasciando perdere altre modalità che non servono e non aiuterebbero l’ambiente. Per me è una stagione da squadra importante e l’ultima vittoria ci ha permesso di aggrapparci al treno Champions ma non ho mai pensato ad un obiettivo perché bisogna avere una mentalità vincente per andare oltre i limiti giorno dopo giorno. Senza fare troppi proclami e cercando di ottenere traguardi importanti. Lavoriamo per quello, siamo ai quarti di Conference ed è una coppa a cui diamo molta importanza: dobbiamo continuare a lavorare come stiamo facendo. Quando ci sono state delle critiche le abbiamo accettate, soprattutto quando abbiamo fatto male con avversari che potevano essere più alla portata: è giusto che ci sia la critica e fa parte del nostro lavoro, però che sia giusta e costruttiva e ci permetta di lavorare nel modo corretto".

A Mandragora piace più giocare in un centrocampo a due nel 4-2-3-1 o essere uno dei tre in mezzo al campo nel 3-5-2?
"Quando giochiamo a tre, per come la vedo io, riusciamo a coprire meglio il campo e avere due centrocampisti vicini mi permette di palleggiare meglio ma, allo stesso tempo, di potermi inserire in zona gol con più libertà. Chiaramente quando si gioca a due abbia richieste diverse ma le facciamo ugualmente però a tre mi sto trovando bene".
La vostra stagione ha vissuto un momento che più di altri vi ha toccato nel profondo: in che modo Mandragora e il gruppo viola ha vissuto il malore di Bove?
"Ci ha toccato tanto a livello mentale e a livello affettivo. Ci ha colpito molto ma i risultati sportivi in quel momento passano in secondo piano perché parliamo di un ragazzo che è un fratello per tutti noi. Siamo felicissimi di averlo con noi, gli allenamenti e le partite, ed è una grande forza per noi. Poi non mi sento di aggiungere più nulla perché è una situazione molto delicata e bisogna avere rispetto delle persone. Nei primi giorni, forse, si è andati un po’ oltre".
Qual è la prima cosa che le viene in mente se le dico 29 ottobre 2014?
"Il mio esordio in Serie A. Io ricordo con più affetto è una foto dove me ne esco di tacco con Pogba e Vidal vicino a me, ma ce ne sono tante perché è stata la partita che mi ha lanciato e la ricordo con grande affetto".

La Juventus è stata proprietaria del suo cartellino per diversi anni ma ha giocato solo una partita ufficiale: le dispiace non avere mai avuto una vera possibilità con i bianconeri?
"Sinceramente no perché forse non era nel mio destino. L’unico rimpianto che ho nella mia carriera sono gli infortuni che mi hanno tenuto ai box nei momento migliori del mio percorso".
Sul suo passaggio all’Udinese si è parlato tanto, dato la cifra di 20 milioni sborsata dai friulani alla Juve. Addirittura un quotidiano titolò ‘Diego Armando Mandragora’: come si vive, da dentro, una situazione di questo tipo?
"Ero diventato l’acquisto della storia dell’Udinese e c’era una grande pressione nei miei confronti. Ero un ragazzo giovane, avevo 21 anni, ma di Udine ho un bel ricordo piacevole. Sono situazioni particolari che, in molti casi, non dipendono dai calciatori".
Ci sono dei calciatori attuali o del passato a cui Mandragora si ispira?
"Mi piacevano molto Gerrard e Lampard, De Rossi era che guardavo sempre con curiosità e mi è sempre piaciuto".

Mandragora è stato capitano dell’U21 ed è stato il primo giocatore della storia del Crotone a giocare con la Nazionale Italiana: ci pensa mai all’azzurro?
"Sì, perché non pensarci. Ci sono tanti calciatori forti che ricoprono la mia posizione però lavoro anche per quello. La concorrenza fa bene ma non mi precludo nulla, con il lavoro si può raggiungere ogni obiettivo".
A proposito di Crotone: quanto fu dolorosa quella retrocessione?
"L’anno prima era riusciti a fare una grande impresa e anche noi ci credevamo, purtroppo non ci siamo riusciti. Chiaro che quando c’è un finale così passa tutto per negativo quando non lo è: ho sentito alcune interviste di giocatori di NBA che parlano di anni in cui cresci e impari delle cose, per me quell’anno è stato proprio così. È stato il primo anno che ho giocato con continuità in Serie A, sono riuscito a conquistare la Nazionale ed è un anno speciale a livello personale. Naturalmente non c’è stato il finale che volevamo ma ho un bellissimo ricordo di Crotone".
Mandragora è un ‘figlio di Scampia': ci racconta il suo primo ricordo con il pallone tra i piedi nel suo quartiere?
"Sono fiero ed orgoglioso di essere un figlio di Scampia. Io ho iniziato presto a giocare perché seguivo mio papà e mio zio che erano entrambi allenatori, loro mi hanno trasmesso questa grande passione e già da piccolissimo giravo i campi con loro. Mi hanno fatto allenare con loro, con i grandi. Ho iniziato a Ponticelli, poi ci siamo trasferiti a Scampia e poi sono stato con la Mariano Keller fino a 14 anni quando mi sono trasferito a Genova".

Quali sono le speranze di Mandragora per questo finale di stagione, a livello personale e di squadra?
"Sono vicino ad un record nella storia della Fiorentina, ovvero posso diventare il calciatore con più presenze europee di un club così importante; e posso superare il mio record di gol (5) in una stagione perché sono già a cinque attualmente. In termini collettivi abbiamo disputato tre finali e l’epilogo è stato sempre non positivo, ci teniamo a portare a casa una vittoria per Firenze, perché è una piazza che merita tanto. Inoltre, abbiamo un presidente come Commisso che è sempre molto vicino alla squadra e anche lui meriterebbe un momento di grande gioia".
Dopo tre finali perse in che modo un giocatore si rimette in cammino perché la gestione di questi momenti a livello mentale penso sia molto complessa.
"Sono batoste dure da mandare giù. Mi piace utilizzare le parole di Burdisso, direttore e mio vecchio capitano, che diceva sempre ‘La gestione di una sconfitta è più semplice rispetto a quella di una vittoria’. Sono d’accordo in gran parta ma è chiaro che non è bello ripartire con dopo una sconfitta ma c’è quella reazione che ti permette di dire che vuoi riprovarci per avere un finale diverso. Ti dà l’opportunità di ripartire. Chiaramente è dura da digerire ed è meglio festeggiare una vittoria ma reagire in quel modo è molto positivo".