Mancini replica al ministro Speranza: “Lo sport è un diritto come la scuola”
Il calcio non è una priorità per il Paese, la scuola sì. Le parole del ministro della Salute, Roberto Speranza, hanno alimentato le polemiche scaturite dal caso Juventus-Napoli deflagrato dopo i casi di positività al coronavirus nel Genoa (ben 22 tesserati) e tra le fila degli azzurri (3, contagiati dopo la sfida col Grifone), la decisione dell'Asl di impedire alla squadra di Gattuso di partire per Torino per disputare il big match in programma domenica scorsa.
Figc e Lega Serie A tengono il punto, dal Governo è arrivato – ancora una volta – quel richiamo al rispetto del protocollo e delle Istituzioni che finora sembrava passato in sordina con la convinzione che bastasse la quarantena soft per gestire e garantire la sicurezza dei calciatori. Quanto accaduto ai liguri dimostra che non è così e, alla luce delle modifiche alla profilassi (i club hanno ottenuto una diminuzione del numero dei tamponi da effettuare), è chiaro che la soluzione non può essere solo andare avanti con l'attuale pacchetto di regole.
La salute prima di tutto, nessuno può negare una cosa del genere. Così come, a causa della recrudescenza dell'emergenza Covid-19, i problemi del calcio scivolano in secondo piano rispetto al bene pubblico. Ma il riferimento (opinabile) del ministro Speranza allo sport come non in cima alle priorità del Paese è stata interpretata e accolta male dal commissario tecnico della Nazionale, Roberto Mancini.
A volte bisogna pensare prima, quando si parla – ha ammesso il ct in conferenza stampa, alla vigilia dell'amichevole Italia-Moldova in programma al Franchi di Firenze -. Lo sport è un diritto, come la scuola e il lavoro, non è una cosa che ci viene data così. Lo sport è praticato da milioni di italiani a tutti i livelli. La mia idea rimane quella che ci possano essere le persone a vedere le partite. In quasi tutta Europa hanno parzialmente riaperto. A Danzica ci saranno 10mila persone e ne siamo contenti.