Mancini racconta l’ultima visita a Vialli: “Avevo paura, mi ha tirato lui su di morale”
La morte di Gianluca Vialli è una ferita sul cuore. Non c'è balsamo che possa guarirla del tutto. E nemmeno è vero che il tempo certe cose le medica o cancella. No, certe cose ti restano dentro e basta. Nel giro di poco tempo Roberto Mancini ha salutato un amico, Sinisa Mihajlovic, e un fratello di una vita, dentro e fuori dal campo, alla Sampdoria come il Nazionale. Hanno vissuto (e costruito) tanto assieme, la vittoria (e l'abbraccio) degli Europei resteranno un'immagine scolpita nella storia e nella mente.
Molto avrebbero potuto fare ancora l'uno affianco all'altro. Molte altre volte avrebbero potuto stringersi in quel gesto di affetto sincero, velato dalla commozione. "Quell’abbraccio racchiudeva tutto, il calcio ma anche quello che gli stava accadendo nella vita".
E la vita ha voluto che tutto andasse diversamente. Ma c'è una cosa che il ct dell'Italia ha messo al dito come un atto di fede. "Gianluca mi disse che dobbiamo vincere i Mondiali del 2026 – le parole del commissario tecnico a Porta a Porta – e che sarebbe stato con noi. Sicuramente ci sarà molto vicino e speriamo di dedicargli presto una grande vittoria".
La mancata qualificazione a Qatar 2022 è un nervo scoperto, un cruccio, qualcosa che ti ronza in testa per sempre, un rimpianto grande che adesso diventa insopportabile anche per la scomparsa di Vialli. Senza di lui non sarà più la stessa cosa: non è solo questione di assenza e di silenzi troppo duri da raccontare la di qualità della presenza. "Lui è stato fondamentale per quel gruppo. Non mi ha mai parlato della malattia, la prima volta che lo fece fu nel 2019. Mi disse che si stava curando e pensava in maniera sempre positiva".
Un esempio da seguire soprattutto per la compostezza con la quale ha vissuto la situazione personale che da preoccupante è divenuta grave, fino al giorno dell'annuncio ai vertici della Federazione: non avrebbe potuto continuare, doveva lasciare il suo incarico.
"Adesso che so che probabilmente non morirò di vecchiaia credo di avere meno tempo per essere da esempio. E mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e dare delle stronzate", disse in un'intervista con Cattelan su Netflix scandendo quei concetti con una profondità immensa. Riflessioni che tornano nel discorso che Mancini fa parlando con il giornalista e conduttore, Bruno Vespa. Racconta com'è stato l'ultimo incontro, la fine di tutto, quanto sia stato difficile uscire da quella stanza d'ospedale e lasciare ogni cosa alle spalle. Provi un dolore immenso, come se ti stessero strappando dentro.
"Sono andato a trovare Luca a Londra a dicembre, avevo un po' di paura – ha aggiunto Mancini -. Si è svegliato, abbiamo riso, scherzato, abbiamo chiamato Lombardo. Mi ha detto ‘io sono sereno, stai tranquillo'. Mi ha tirato lui su di morale. Era lucidissimo, ci siamo ritrovati come ci siamo lasciati. È sempre stato un combattente, non ha mai mollato nulla fino alla fine. Il suo carattere era questo, un gladiatore. Sono orgoglioso di avere avuto Gianluca come amico".