Mancini e lo spettro delle dimissioni: i primi nomi per sostituirlo sulla panchina dell’Italia
Azzerare tutto, ancora una volta dopo aver mancato la qualificazione ai Mondiali, oppure proseguire sulla stessa strada. Nella testa del presidente federale, Gabriele Gravina, c'è l'idea di continuare con Roberto Mancini. In quella del commissario tecnico in questo momento c'è troppo caos per capire cosa fare: decisioni sui convocati (Belotti, Zaniolo, Scamacca lasciati addirittura in tribuna); scelte sulla formazione (Tonali, Pellegrini inizialmente in panchina è un altro tarlo che rode dentro); Berardi col piede molle che non la butta dentro nemmeno a porta vuota mentre Trajkovski (che gioca nell'Al-Fayha e non è Mbappé) ne fa uno da posizione quasi impossibile; essere sbattuti fuori da un avversario tutto sommato modesto, la Macedonia del Nord, schierato all'italiana, che fa un tiro in tutta la partita e ti prende in contropiede su rinvio del portiere; quei maledetti rigori sbagliati contro la Svizzera da Jorginho nel girone; gli infortuni (Chiesa, Spinazzola, Di Lorenzo, Bonucci e Chiellini) che pure hanno pesato; come lo spieghi che sei a casa perché non ce l'hai fatta contro elvetici, Bulgaria, Irlanda del Nord, Lituania e adesso i macedoni?; quel pizzico di malasorte che s'è ripresa tutto (e con gli interessi) dopo l'estate trionfale in Inghilterra; rassegnare le dimissioni perché la botta presa è stata fortissima; restare fino al 2026 (la data della prossima Coppa del Mondo) come da contratto oppure continuare a balenare in burrasca. Che baccano.
Fa più male dei ceffoni sul muso incassati con Giampiero Ventura nel 2017. La Nazionale di allora non aveva vinto gli Europei e partecipare a Russia 2018 era la massima aspirazione che ci si poteva permettere. Oggi invece fai un po' di conti sulla punta delle dita e vengono i brividi solo a pensarci: dopo il 2006 e il trionfo di Berlino è calato il buio. Fuori agli ottavi nel 2010 e nel 2014, il resto è carta conosciuta. Dodici anni senza un Mondiale è la lunga traversata nel deserto per il calcio italiano fuori dalle principali competizioni anche a livello di club. E non è ancora finita.
Sarà sempre Mancini a condurre l'esodo? Il tempo dei miracoli è finito da un po', quello delle certezze e dei programmi, di una visione complessiva per l'intero movimento (che non sia solo pensare alla torta dei diritti tv e a vendere un prodotto scadente come fosse una primizia) non è mai iniziato. Il cerino non è solo in mano al commissario tecnico. Lui per primo dovrà fare chiarezza dentro di sé, trovare abbastanza stimoli per aprire un nuovo ciclo. Il suo era (ri)cominciato da una disfatta e si è virtualmente chiuso con un altro fallimento disastroso.
È figlio di un sistema che arranca da anni, vivacchia di exploit (come la vittoria degli Europei), si crogiola nei ricordi della grandeur ai limiti dell'arteriosclerosi, campa di plusvalenze e fa capriole contabili, cammina sul filo del falso in bilancio, è pieno di debiti, tollera razzismo e promiscuità di traffici indiscriminati (perché in fondo che male c'è se "bambino porta cocumella" e "piace fare barbecue"), ha un indice di liquidità risibile, spera che arrivi lo zio d'America o il caravan petrol di turno a mettere un po' di soldi, insiste su presidenti e dirigenti che al massimo hanno una visione progettuale da quarto posto (che porta un po' di ricavi dalla Champions per l'orticello) oppure da paracadute in caso di retrocessione, ha molti stadi come cattedrali vetuste e per nulla funzionali rispetto a esigenze di modernità di business e intrattenimento, esprime un campionato mediocre divenuto un cimitero per elefanti e non sforna più calciatori di rango. La peggiore generazione della storia.
"Per i club la Nazionale è un fastidio", dice il presidente della Figc. Che caduta di stile clamorosa abbandonarsi a riflessioni del genere nel momento della disfatta. La controreplica è facile, facile: cosa ha fatto lui in tutti questi anni per cambiare il calcio italiano? E ci volevano davvero quindici giorni di ritiro per battere questa Macedonia? Ma per favore… "Vediamo in questi giorni, adesso non saprei cosa dire", le ultime parole di Mancini. Anche lui ha fatto naufragio in mezzo al diluvio dopo la coda di polvere di stelle e giocatori (alcuni divenuti allenatori con alterne fortune) che Marcello Lippi portò in trionfo in Germania.
L'attuale ct non si è sbilanciato: sia pure distrutto moralmente, è convinto che ci sia un gruppo di calciatori che ha un grande futuro. Sarà ancora lui a prendersene cura? Può darsi. Com'è possibile che tocchi a qualcun altro. Nulla è deciso ma le soluzioni s'intravedono all'orizzonte. Ipotesi, pensieri che si fanno largo in mezzo al fragore del tonfo della Nazionale, dell'umiliazione e degli sberleffi (per gli inglesi "it'scoming Rome" è diventato "restate a Roma").
In questo momento c'è di tutto nel calderone delle possibilità: Fabio Cannavaro (ultimo azzurro a essere premiato con il Pallone d'Oro) in tandem con Lippi nelle vesti di grande saggio è un'idea; il "veleno" del ringhio nazional-popolare, di Gennaro Gattuso tutto bastone e carota; Carlo Ancelotti, cui manca solo un'esperienza da ct nel curriculum di allenatore che ha vinto tutto con i club; un giochista per continuare a illudersi in una comfort zone più bella (ma sempre perdente) oppure un pragmatico che bada al sodo, al risultato a tutti i costi (e lo porta a casa) come Massimiliano Allegri. "La delusione in questo momento è troppo forte per parlare di futuro", mormora Mancini. Lui o chiunque arriverà al suo posto dovrà guardarsi dentro per trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l'ha.