Manchester United-Milan, la più bella impresa di Kakà e dell’ultimo grande Milan
Oggi stiamo vedendo tramontare le due storie di calcio più seguite e narrativamente potenti degli anni ’10. Messi è (forse era, con l’arrivo di Laporta alla presidenza cambia tanto) in guerra contro il Barcellona e di sicuro gioca in una squadra che non sa esaltarne i pregi, annacquati dagli anni passati, ma in qualche modo ancora rinfrescabili. Cristiano Ronaldo doveva portare la Juve sulla vetta dell’Europa ma la Juventus di oggi, guidata da Cristiano Ronaldo, si ferma agli ottavi contro il Porto in 10.
Se oggi stiamo vivendo questi due affascinanti tramonti, la loro alba ha oscurato un altro sole alto, forte e luminoso, che ha rischiarato il calcio degli anni zero con il suo talento sghembo e cristallino, portando alla mente le attese di Rivelino, le linee scoordinate di Savicevic, ma anche la pulizia di gioco e di visione di Cruijff e Falcao. Stiamo parlando proprio di Ricardo Izecson dos Santos Leite, detto Kaká, il calciatore che ha illuminato, insieme a Ronaldinho, i primi anni del nuovo millennio. Cambiasso, che ha dovuto affrontarlo molte volte nei derby di Milano, lo descrive alla perfezione:
“Kaká sembrava che andasse con un passo continuo e poi ti fregava con un’accelerazione”.
Allo stesso modo di Cambiasso, anche Zanetti ha dovuto spesso “subire” le sue accelerazioni.
“Kaká? Un mostro! Era ovunque, velocissimo, quasi immarcabile. Ricordo una corsa a due con lui, una ripartenza terribile, riuscii a stento ad accompagnarlo a fondo campo, venne giù San Siro per applaudirmi, ma io ero letteralmente senza ossigeno alla fine di quella volata”.
La sua apparizione sui campi italiani avviene ad Ancona, titolare con la sua nuova squadra, il Milan. Gioca un primo tempo decente ma niente di particolare. A metà del secondo tempo c’è una respinta della difesa rossonera, la palla arriva a Kaká che stoppa, fa un sombrero al primo centrocampista che va a pressarlo e poi mostra quello che diventerà il suo marchio di fabbrica, il cambio di passo. Con un’accelerazione di quindici metri palla al piede passa in mezzo a due centrocampisti avversari e spalanca letteralmente il campo. Lanciare due contropiedisti come Cafu e Shevchenko poi è la giusta appendice a un movimento che gli apre le porte del grande calcio.
Questa caratteristica specifica del talento di Kaká è subito apprezzata dai suoi compagni e Sheva sottolinea la sua importanza e la capacità di essere subito decisivo in una squadra di grandi campioni:
“Mai visto nella storia del Milan un giocatore così perfetto, entrato così pienamente dentro i meccanismi di squadra. Dopo un solo allenamento ho capito che questo era un ragazzo speciale, che con lui avremmo fatto un salto di qualità: ha cambiato la marcia del Milan”.
In realtà nessuno si aspettava tanto da questo giocatore brasiliano esile e poco loquace. Prima del suo arrivo, quel buontempone di Moggi mise un marchio su questo calciatore brasiliano che si conosceva poco e che tutti attendevano per ridare linfa alla squadra migliore del decennio. Senza grandissimo stile, disse:
“Uno con un nome così non potrebbe giocare nella Juve”.
Con questo benvenuto, la lente d’ingrandimento anche in casa milanista divenne subito enorme, ma l’allenatore di quella squadra, Carlo Ancelotti, dopo pochissime partite, si rese conto di cosa fosse quel calciatore:
“Sul suo conto mi ero sbagliato. L'avevo paragonato a Tonino Cerezo e lui continuò a prendermi in giro a lungo, per quel paragone errato. Altro che Cerezo: Kaká era un fenomeno e, a differenza di Zidane, quello che mostrava in allenamento faceva anche in partita”.
Non so se mi spiego.
Altra riflessione di grande classe su uno dei numeri 10 più nuovi e belli dell’ultima generazione è stata quella di Gianni Mura. La sottolineatura più interessante riguarda la sua figura, che esce fuori da una narrazione che da anni collegavamo al calciatore proveniente dal Brasile.
“Ormai ai brasiliani atipici ci siamo abituati, la sua atipicità è un’altra. Dimostra che un brasiliano può essere un campione senza esser nato povero”.
Un brasiliano ricco, bello, che gioca senza vendette da portare a termine e con gli occhi che guardano il cielo, come prima avevamo visto fare in Italia solo ad Antognoni e Falcao, dopo Rivera s’intende.
La partita più bella di Kaká ha una data ben precisa, Milan-Manchester United del 2 maggio 2007 e oggi è bello ricordarla nel momento in cui queste due grandi squadre tornano a sfidarsi in Europa League. Era il Manchester United di Rooney, Cristiano Ronaldo, Giggs e Scholes e partì forte all’andata dell’Old Trafford, segnando dopo cinque minuti con il portoghese. Dal 22’ e in 15 minuti Kaká si fabbrica da solo mezzo Pallone d’oro. Due azioni, due di quelle accelerazioni per cui è diventato famoso e il Milan va sull’1-2.
Nel secondo tempo lo United ribalta tutto ma c’è il ritorno a San Siro. Pioggia scrosciante e la prova di forza annichilente di una grande squadra. I primi dieci minuti del brasiliano sono strepitosi. Sfiora per due volte il gol, la prima dopo un’accelerazione bruciante, poi all’11’ Seedorf di testa appoggia fuori area una palla su cui Kaká arriva e, coordinandosi divinamente, spedisce alle spalle di Edwin va der Sar di sinistro. Da lì in poi è un crescendo continuo per l’intera squadra, che atterra ogni velleità dello United. Seedorf raddoppia con un gol di tecnica apollinea, chiude Gilardino dopo una partita in cui Kaká giganteggia ovunque. L’immagine del brasiliano con le braccia spalancate in mezzo al nubifragio è l’ultima immagine del grande Milan.
La chiosa su quello che non sembrava essere e invece è diventato in un lampo Kaká, è da affidare a Gennaro Gattuso, che in poche parole sa descrivere la prima impressione rispetto alla seconda, totalmente diversa.
“Quando è arrivato sembrava uno sfigato, mi chiedevo “Ma chi cazz* abbiamo preso?” Poi è bastato il primo allenamento per cambiare completamente idea. Dopo il primo allenamento ho detto agli altri: “Questo è un fenomeno!”. È grazie a questi fenomeni che io esisto”.
Nei suoi anni Kaká ha vinto tanto senza mai esagerare: un campionato in Spagna e in Italia, una Champions League, un Mondiale per club e uno con la Nazionale, un Pallone d’oro, quello del 2007. Con questa vittoria torniamo all’inizio. Il Pallone d’oro del 2007 è l’ultimo (al netto di quello vinto per fortuna da Modric quasi campione del mondo con la Croazia nel 2018) vinto da uno che non si chiamasse Cristiano Ronaldo e Messi. L’ultima vittoria prima dell’alluvione argentino-portoghese. Pensando al tramonto luminosissimo di Kaká pensiamo quindi ai tramonti di oggi, immaginando già quale altro nuovo nome ci darà il calcio del futuro.