“Mai vissuto momenti simili”: l’invasione dell’Ucraina raccontata a Fanpage dallo staff di De Zerbi
“Adesso sto bene ma è difficile non pensare a quello che abbiamo vissuto“. Con queste parole Paolo Bianco inizia il racconto dell’esperienza vissuta durante la guerra dichiarata dalla Russia all’Ucraina prima di tornare in Italia. L’ex calciatore, originario della provincia di Foggia e ora membro dello staff di Roberto De Zerbi, ha parlato con sensazioni molto contrastanti delle ore di tensione che si stanno vivendo a Kiev e in tutto il territorio ucraino. Dalla sua voce traspare il sollievo per essere di nuovo tra le braccia della famiglia e in un posto sicuro ma il pensiero è rivolto agli amici che sono rimasti lì: “Dobbiamo aiutarli, loro ce la stanno mettendo tutta per resistere e noi dobbiamo provare a fare qualcosa per dargli una mano”.
La notte tra il 23 e il 24 febbraio sono stati svegliati dal primo attacco e si sono rifugiati in un albergo di proprietà del presidente dello Shakthar Donetsk, che ‘vive' da anni lontano da casa a causa del conflitto iniziato nel 2014.
A Fanpage.it Paolo Bianco ha raccontato in che modo hanno trascorso le ore dell’invasione, dei contatti con l’ambasciata italiana e della loro fuga verso l’Italia grazie all’aiuto dello Shakthar, dell’UEFA e della FIGC.
Quando vi siete accorti che era iniziata l’invasione?
"Noi ci siamo svegliati con la prima bomba della notte tra il 23 e il 24 febbraio. Fino alla sera prima noi abbiamo fatto allenamento normalmente ma la Farnesina ci aveva già invitato a lasciare il paese. Abbiamo ricevuto qualche critica sul fatto che potevamo tornare dopo essere stati avvertiti più volte ma pure noi avevamo delle responsabilità nei confronti della squadra e dei nostri ragazzi. Si parlava di invasione da fine novembre, si era parlato di colpo di stato agli inizi di dicembre ma siamo arrivati fino a febbraio: il campionato ucraino è stato sospeso alle 11 di mattina del 24 febbraio, l’invasione era iniziata sei ore prima. Io mi reputo fortunatissimo rispetto agli altri".
In che modo si è mosso il club per provare a mettervi in sicurezza?
"La sera prima avevamo fatto una riunione dopo l’allenamento perché ci avevano anticipato che forse poteva arrivare la sospensione e poi ognuno era tornato nel suo appartamento o nella stanza d’albergo. Alle 5 del mattino ci hanno svegliato le prime bombe. Io avevo preparato tutto e sono soltanto salito in macchina per andare dagli altri. Nell’hotel dove eravamo noi c’erano i rappresentati dell’OSCE, oltre ai giornalisti di BBC e CNN, e da loro cercavamo di capire qualcosa. La nostra posizione era a 2 km dai palazzi del governo e i russi erano alla stessa distanza da noi: eravamo molto vicini ai loro obiettivi ma in due giorni non sono riusciti ad avanzare grazie alla resistenza ucraina. Con noi c’erano tutti i calciatori brasiliani, insieme alle loro famiglie e ai loro bambini: sono stati momenti davvero terribili".
Qual è stata la reazione degli ucraini a questa invasione, visto che lo Shakthar già da diversi anni vive lontano dalla sua città a causa del conflitto nel Donbass?
"Alcuni li ho visti demoralizzati, altri pronti a combattere. Il nostro presidente è del Donbass e nelle sue aziende lavorano solo persone di Donetsk, sono circa 300mila dipendenti da quello che so. Alcuni di loro mi guardavano in quei momenti e provavano a farmi coraggio ‘My friend, tranquillo’. Non ho mai vissuto una cosa simile".
In che modo l’ambasciata italiana si è mossa per dare sostegno a voi e tutti i nostri concittadini lì?
"Siamo stati sempre in contatto sia col console che con l’ambasciatore, anche quattro-cinque volte al giorno. L’ambasciata non può far niente in quei momento ma non perché non vuole ma non ha i mezzi pratici. Dal momento che c’è il divieto di volare non possono fare nulla. Ci hanno invitato alla casa dell’ambasciatore ma abbiamo preferito rimanere nell’albergo del nostro presidente".
Come siete riusciti a scappare dall’Ucraina?
"Noi siamo riusciti ad uscire dall’albergo durante il coprifuoco grazie alla società che ci ha mandato tre uomini delle forze speciali, che ci hanno scortato. Siamo arrivati in stazione durante un coprifuoco militare, ci hanno trovato un treno anche grazie a UEFA e FIGC che hanno lavorato insieme a Dario Srna, che si è fatto in quattro per noi. Siamo arrivati a Leopoli, dove abbiamo trovato il presidente della federazione ucraina che ci ha messo su un pullman che ci ha permesso di attraversare il confine con l’Ungheria. Una volta arrivati a Budapest siamo saliti su un aereo che ci ha riportato in Italia. 27/28 ore di viaggio ma siamo stati fortunati. Io mi sento di ringraziare il club per quello che ha fatto".
Siete sempre in contatto con il club: cosa vi hanno detto in merito alle ultime ore?
"Io provo a sentire tutte le persone con cui ho legato di più la mattina e la sera e aspetto le loro risposte ai messaggi sempre con grande apprensione. Un magazziniere si è arruolato e mi ha mandato delle foto. Mi ha colpito molto il loro orgoglio e il loro spirito patriottico".
Quali sono i sentimenti e le sensazioni che ha provato lei in quei momenti.
"In quelle situazioni non provi più nessun tipo di emozione, di sensazione, passi il tempo a pensare come uscirne e qual è il modo migliore per farlo. Vivi in una bolla e aspetti notizie, cerchi di capire cosa accade. Le immagini e i suoni della città a quell’ora del mattino (il giorno dell’invasione, ndr) tra le sirene, i clacson e altri rumori rimarranno sempre con me. Nel momento il cui siamo saliti sul treno per tornare ho vissuto delle emozioni contrastanti: avevo voglia di tornare qui dalla mia famiglia ma non volevo lasciare lì delle persone con cui ho legato in maniera fantastica e come mai era capitato nella mia carriera".