Macellari fa il muratore dopo fama e cocaina: “Guadagnavo miliardi, avevo la malattia del sesso”
"Io ero nato per questo, per giocare a San Siro in Serie A": Fabio Macellari sentiva di essere un predestinato e da giovanissimo ha fatto tutto quello che era in suo potere per realizzare quella che chiamava la sua "missione", affermarsi come calciatore di alto livello. Obiettivo centrato a 26 anni, quando l'esterno sinistro nato a Sesto San Giovanni è approdato all'Inter. È stato l'apice di una carriera che poi ha imboccato la strada per l'inferno, dopo che il giocatore era finito nel tunnel della cocaina, fino all'addio al calcio professionistico poco più che trentenne, quando ormai di quel martello che arava la fascia mancina pennellando cross perfetti non era rimasto più nulla.
Oggi Macellari ha 48 anni e lavora come muratore ad Amatrice in un'impresa edile impegnata nella ricostruzione del comune laziale colpito in maniera devastante dal terremoto del 2016. Fabio vive lì assieme al figlio Matteo, avuto dalla moglie Claudia nel 2006, un matrimonio poi terminato anni fa. Torna spesso a Cagliari, dove ha giocato in due distinte parentesi e ha conosciuto l'ex moglie, e dove è tuttora di casa, oppure risale nelle Valli Piacentine dove si occupa dei boschi di famiglia tagliando legna.
Tutto quello per cui aveva lottato da ragazzo e che lo aveva portato ad eccellere nel calcio italiano adesso sembra un sogno sfumato e lontano. "Il mio sogno da bambino? Ho delle immagini fortissime che ho ancora davanti – racconta un paio di anni fa al podcast di Luca Casadei – quella di una partita a San Siro, dove mi portavano a vedere sia il Milan che l'Inter, ho questo ricordo dove io nel momento in cui ho visto entrare in campo questi giocatori con lo stadio di San Siro pieno, la cosa che mi è arrivata è stata ‘qua ci giocherò anch'io' e non era una cosa per dire, era già partita la missione. Io ero nato per questo". E ci riuscì.
Messosi in luce nella Pro Sesto, a 20 anni passò al Lecce, poi dopo 3 anni seguì il tecnico Ventura al Cagliari, contribuendo da pilastro della squadra alla promozione dei sardi in Serie A. Nell'estate del 2000 il traguardo di quel ragazzino dagli occhi sognanti e dalla volontà feroce sembrava pienamente raggiunto: Macellari fu acquistato dall'Inter, voluto da Lippi, che tuttavia fu esonerato già ad ottobre, sostituito da Tardelli, in un'annata che fu disastrosa per una squadra che aveva una rosa zeppa di campioni, da Ronaldo a Vieri e Recoba. Relegato al ruolo di panchinaro, Macellari lasciò il club nerazzurro dopo appena un anno, andando al Bologna, dove con Guidolin tornò ad essere titolare e iniziò bene la stagione.
Poi arrivò l'infortunio e da lì la droga, in una deriva dell'uomo che trascinò con sé anche il calciatore, non dandogli alcuna possibilità di salvare la propria carriera, che da lì in poi sarebbe stata irrimediabilmente compromessa, con pesanti ripercussioni anche sulla sua vita: "Mi sono fatto male dopo otto partite, è subentrata questa cosa nella testa, mi ricordo: vabbè dai, adesso visto che ho il ginocchio rotto mi rilasso un po' qualche mese. Pur preparandomi a rientrare, perché poi in quattro mesi e mezzo ero quasi pronto, solo che nel frattempo c'erano tutte altre cose perché hai troppo tempo libero…".
Il racconto di come è caduto prigioniero della cocaina è tanto crudo quanto sincero: "Non l'avevo mai provata prima, io ho iniziato a fumare a 26 anni. Come succede? In questi momenti di pausa hai donne in qualsiasi momento, in qualsiasi modo – perché poi io sono anche un po' figlio di mignotta – ma questo non bastava più, perché voglio dire se tu conosci una per mezz'ora e poi dopo 35 minuti sei a casa con lei… voglio dire non basta più niente. Arrivi al campo e ti buttano il fogliettino col numero di telefono, la conosci anche al al semaforo: ‘ci sentiamo? ti do il numero telefono?', ‘va bene'. Cioè, capito, quindi non basta più niente, c'è bisogno di alzare la posta perché ti stavi annoiando".
Macellari riavvolge il nastro dei ricordi e spiega come droga e sesso fossero diventate il tutto della sua vita: "La prima volta? A casa mia a Bologna. Dai proviamo questa cosa, tanto dentro la mia testa ho pensato: sono talmente mentalmente forte che io posso farlo e domani smettere. Questo è l'errore che fanno tutti quanti, cioè ci son cose sono più forti oppure sei tu presuntuoso. O le sottovaluti o sei presuntuoso, comunque è da lasciarle perdere, ci sono delle cose proprio che bisogna lasciare perdere, cioè non bisogna neanche iniziare, neanche se ti senti Superman perché è l'errore che poi ti compromette tutto. Da quel momento cosa cambia nella mia testa? C'è un mondo parallelo legato a donne di quel mondo e un mondo normale. La normalità non bastava più, Michael Douglas aveva quella malattia del sesso, io penso di avere avuto anche quella. C'erano delle delle donne che non erano belle, erano da copertina, delle donne pazzesche che non vedi nella vita normale. Il fatto di dire: ‘tu vieni qui e stai con me' è sbagliato ma mentalmente è eccitante in maniera pazzesca. Quindi uno lo ha fatto perché è giovane, perché è stupido, perché voleva farlo e poi in più purtroppo è andato a sbattere in questa maledetta cosa".
L'ex laterale mancino non nasconde nulla di quel passato di perdizione: "La serata tipo di quel periodo? Nel periodo più buio ero da solo, compravo quei giornalini di Milano dove ci sono tutte queste donne bellissime, quindi mi organizzavo e facevo il tour direttamente a casa loro. Quindi io spendevo più soldi in realtà in donne che in cocaina. Averle senza pagare? Non c'era più gusto, qua c'era l'ebbrezza nel senso che tu, bellissima, non saresti mai venuta con me e invece io posso permettermi di comprarti. Quanto è durato questo periodo? Quello brutto brutto pochi mesi, perché poi a un certo punto ho deciso di di di staccare un attimo e di riprendere a giocare, brutto nel senso che parlo di 10 grammi al giorno. Ecco ti parlo di una roba del genere, roba da matti. Se ho mai avuto paura di avere un infarto? Sì, un episodio mi ha fatto spaventare una volta, è stato a Porto Cervo. Dopo forse cinque giorni sveglio, mi sono trovato nella vasca da bagno calda e non mi ricordo in quel momento quanto ci sia stato in questa vasca da bagno. Stavo pensando che probabilmente era l'ultima volta che… A malapena sono riuscito ad arrivare al letto a carponi e nel momento in cui mi sono sdraiato non ero sicuro più se mi sarei rialzato oppure no. Quando mi sono alzato, ho fatto le valigie e sono scappato in montagna da me e ho iniziato un programma da solo, proprio bello. Vita sana, da un momento all'altro. Non può esserci una gradazione, oggi così, poi di meno, no: o è sì o è no. Fine della storia".
In tutto questo il calcio era ormai sullo sfondo, la droga si era impadronita di Macellari e lo avrebbe seguito anche nella tappa successiva della sua carriera, il ritorno a Cagliari l'anno dopo: "Al momento di tornare in campo col Bologna quattro mesi e mezzo dopo l'operazione, mi han fatto le analisi, io stupidamente nei giorni di vacanza ero andato a Porto Cervo, ho fittato una una barca, ho fatto venire su due russe, giustamente fai le analisi e quindi si rescinde il contratto col Bologna. Se a Cagliari sapevano del mio problema? Certo assolutamente, perché chiaramente voglio dire si parla tra società, si sa quello a cui si va incontro, il motivo si sa, il mondo del calcio come il mondo normale è piccolo, quindi si deve sapere". In Sardegna ritrova Ventura, ma neanche il suo mentore riesce a farlo tornare sulla retta via: "La testa non girava più come prima, serviva sbattere, bisognava sbattere ancora la testa e ad un certo punto quando poi ho iniziato a giocare – quell'anno vincemmo il campionato ancora dalla B alla A, con Gianfranco Zola, con Gianluca Festa, insomma la squadra era bella, era forte – io ero titolare, però nel frattempo stavo già iniziando a entrare nell'ottica di sbagliare".
Sbagliare, ovvero ancora fare uso di cocaina: "Sì, e quindi quando è capitato ho alzato la mano, ho chiamato il presidente Cellino e gli ho detto: non ci siamo, così non posso andare avanti, perché non posso neanche prenderti in giro per il rapporto che ho con te. È capitato una volta che alla fine di una partita la prima cosa che ho fatto è stato uscire dallo stadio e andare a prendere la cocaina, a quel punto lì mi sono reso conto… che poi è durata tutta la notte, tutta la notte in giro per Cagliari fino a che sono tornato a bussare alla porta di Claudia piangendo e quindi lei mi ha riaperto… Allora ho detto la verità al presidente e ho smesso quei mesi lì, e sono stati poi quei mesi da pazzo che facevo su a Milano, non volevo nessuno attorno, andavo in giro come un pazzo tutto il giorno".
Da lì poi Macellari è transitato da Pavia, Triestina, Lucchese e Sangiovannese, ma era solo l'ombra di se stesso, poi dopo aver lasciato il calcio professionistico nel 2006 ha giocato a livello dilettantistico per un'altra decina d'anni, mentre già cominciava a svolgere altri lavori per andare avanti. "Se prima di cadere nella cocaina avevo messo da parte da qualche cosa? Sì, Madonna mia, avevo già dieci appartamenti – racconta, spiegando che all'Inter guadagnava un miliardo e 300 milioni – Se adesso c'è ancora qualcosa, è bene che sia intestato a mio padre e mia madre, quindi sono con le spalle coperte, la fortuna è questa, perché sennò altrimenti io veramente ho le mani bucate, ma non perché usando quella cosa, perché poi alla fine ho un rapporto coi soldi che che se li ho in tasca dico ‘oggi offro io', perché so che domani offrirai tu. In realtà spesso e volentieri trovavi gente che poi alla fine ti erano intorno per sfruttarti e basta…".
Macellari negli ultimi anni ha lavorato come panettiere: "Il panificio di questi miei amici a Bobbio è stato il mestiere più duro che abbia mai fatto nella mia vita, in realtà non più duro perché quando sei dentro lavorare nel panificio è bellissimo, impari delle cose nuove, è una figata pazzesca. C'è un problema, che tu stravolgi la tua vita e la paghi, perché tu sei ti alzi a mezzanotte e finisci di lavorare alle sette e mezza e non riesci andare a letto, non puoi neanche andare, quindi dormi a tratti durante la giornata e quindi è terribile, anche perché io, per come sono fatto io adesso, la mia libidine è se alle cinque e mezza o alle sei o alle nove finisci di lavorare, prendere e stare a casa. Eh cazzo, così è bello. Una mazzata quel lavoro lì, però comunque serviva. La vita normale è dura…".
Poi ha fatto anche il cameriere in Sardegna: "Il ristorante a Quartu Sant'Elena era partito benissimo, tanto che voglio dire eravamo quattro in sala più tre cuochi. Facevo il cameriere, perché mi piace, perché mi vengono a trovare tifosi, mi vengono a trovare delle amiche, degli amici, mi piace il contatto con la gente e quindi è una cosa che mi piace insomma". Tra un lavoro e l'altro, Macellari è poi sempre risalito nei suoi boschi per tagliare la legna: "Io ho la fortuna di famiglia di avere questi boschi, questi campi, questi terreni che sono parecchi ettari e a questo punto non faccio altro che pulire i boschi, perché la cosa che non si dice mai che la tagliare la legna non significa tagliare la legna e basta. È come tagliare i capelli, perché se gli alberi continuano a crescere muoiono quelli a fianco se non hanno la distanza esatta, quindi si puliscono i boschi tagliando la legna anche per questo motivo, perché devono ricrescere. Quindi faccio solo questo lavoro, non vado a tagliare alla cavolo di cane, quindi si taglia quel poco indispensabile per poi poterlo bruciare per casa d'inverno oppure venderla. Quanto ne taglio da solo al giorno? Tranquillo 15/20 quintali".
Oggi l'ex terzino sinistro dell'Inter fa il muratore ad Amatrice dove vive, ma in futuro si vede proprio tra quei boschi delle Valli Piacentine: "L'idea è quella di stare su al mio casolare e risistemare due-tre stanzettine e probabilmente fare un bed and breakfast. Matteo sarà già grande a quel punto quindi potrà trovarmi li, oppure io trovare lui in qualsiasi momento perché ormai sarà grande e spero che abbia la sua vita, vorrei che vivesse il mondo, che esplorasse. Non ho altri sogni sinceramente. Io sono felice così come sono adesso. Io lo capisco, non so come a volte non riescono a capirlo tante altre persone, cioè non c'è bisogno per forza di andare in giro in Ferrari o di essere tutti i giorni al ristorante a mangiare ostriche. Quando sei così appagato, che altro mi devo inventare? Chi se ne frega, cioè va bene così...".