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Il Napoli vince la Coppa Italia 2020

L’unica novità portata da Maurizio Sarri alla Juventus in un anno: l’abitudine alla sconfitta

La prestazione della Juventus contro il Napoli in finale di Coppa Italia basta a spiegare cosa resta oggi del Sarrismo che non è più rivoluzione ma involuzione. Quale sia l’identità dei bianconeri non è chiaro, perennemente in bilico tra l’ipotesi di un “tecnico/genio incompreso” o di calciatori non adatti al suo “genio”. L’immagine dell’allenatore che tira diritto davanti a De Laurentiis mentre l’ex patron gli tende la mano è emblematica. Sullo sfondo c’è il presidente, Andrea Agnelli, che lo guarda con aria vagamente sorniona. Lo ha scelto per vincere e stupire. Magari gli riesce in Champions ma per adesso ha già fallito.
A cura di Maurizio De Santis
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Gennaro Gattuso ha ereditato da Carlo Ancelotti una squadra delusa e spaccata in due, nona in classifica. L'ha presa per le orecchie e portata al sesto posto – almeno fino a quando la pandemia non ha mandato a carte e quarantotto ogni cosa -, a giocare un buon match contro il Barcellona in Champions League tenendo la qualificazione in bilico, alla vittoria in finale di Coppa Italia battendo Inter, Lazio e Juventus (le prime 3 della Serie A, in corsa per lo scudetto). Ha fatto tutto in poco tempo, compreso metterci la faccia e prendere le sberle sul muso quando le cose andavano male.

In 6 mesi "ringhio" è riuscito laddove il fautore della ‘grande bellezza' non è arrivato in 3 anni: ha vinto un titolo. È un mago? No. Usa alchimie tattiche? No. La sua idea di calcio è molto semplice quanto efficace: ranghi serrati, intensità tra le linee strette, pressione bassa e contropiede. Chiamatelo come volete, anche catenaccio per comodità di definizione, ma è funzionale e non lo si può liquidare come poco "moderno" solo perché punta anzitutto a non prenderle.

E poi cos'è la modernità? Lo sono stati la grande Olanda e l'Ajax di Cruijff. Il Milan e i Sacchi di "tulipani". Lo era già in Italia, per certi versi, il Napoli di Vinicio. Lo è stato anche il Napoli aulico e un po' toscano dell'ex tecnico ma quella era un'altra storia. Pensare di replicarla in un altro ambito e con calciatori diversi non basta. Così come non basta avere in rosa uno dei giocatori più forti al mondo per essere un vincente.

Fermate la sequenza videoclip a questo fotogramma. Sarri prende appunti e tormenta il filtro della sigaretta tra le labbra, ‘ringhio' non ha bisogno di scrivere sul taccuino e fa scattare la trappola: incarta il "Sarri ball" mostrando che per giocare bene è necessario non subire occasioni da gol e crearne. Il suo Napoli lo ha fatto, la Juventus (che non è) di Sarri no. E perché non lo abbia fatto è materia che mette in discussione tutta l'esperienza dell'allenatore che a Torino era arrivato poichè il pragmatismo di Allegri non piaceva. Eppure era "funzionale" e, soprattutto, era articolato secondo un'identità precisa. Occupazione degli spazi, fonti di gioco avversarie neutralizzate, recupero del pallone, rapido sviluppo dell'azione, passaggio preciso e tocco finale. La qualità dei singoli faceva (e fa anche adesso, purtroppo) il resto.

Cosa sia la Juventus di Sarri, invece, ancora non è chiaro. Il possesso palla s'è rivelato un orpello statistico e la squadra non ha mai offerto la sensazione di avere in pugno la partita, imprimerle una svolta, colpire, affondare il Napoli. Cristiano Ronaldo è stato evanescente. Dybala è apparso fuori fase e il rigore sbagliato (l'ennesimo dopo quello col Milan di qualche anno fa) ha seppellito anche la Joya. Douglas Costa, l'uomo spacca-partite, è stato l'ombra di se stesso. Pjanic? Un mister buffo, tra voci di mercato e la sensazione di essere un pesce fuor d'acqua in un contesto tattico mai digerito. E se Buffon è risultato il migliore in campo, decisivo con le sue parate e fortunato in occasione dei pali (2) centrati dal Napoli, è abbastanza indicativo di cosa è accaduto.

Poco lucida, limitata all'esecuzione del compitino e confusa rispetto a ciò che era e ciò che non è (o non sarà mai). La Juventus ha perso la consapevolezza della propria forza e la solidità dei punti di riferimento conducendo la stagione perennemente in bilico tra l'ipotesi di un "tecnico/genio incompreso" o di calciatori non adatti al suo "genio". Poco funzionali (è il leit-motiv) e per nulla dimensionati. Le lezioni subite contro la Lazio, il Napoli, gli affanni contro il Verona e il Lione in Champions oppure il Milan nel ritorno di Coppa Italia oscurano anche la migliore media punti raccolta da un allenatore esordiente in bianconero dal 1955 a oggi. Sarri ne fa un vanto ma non lo è. Più che un onore, è un onere soprattutto se hai a disposizione la rosa più costosa e forte che ci sia in Italia da dieci anni a questa parte, al punto che conquistare lo scudetto è ordinaria amministrazione. Più che un risorsa è un'aggravante se sbagli (anche) la gestione dei cambi. E basta a spiegare cosa resta oggi del Sarrismo che non è più rivoluzione ma involuzione.

L'immagine del tecnico che tira diritto davanti a De Laurentiis mentre l'ex patron gli tende la mano è emblematica. Sullo sfondo c'è il presidente, Andrea Agnelli, che guarda con aria vagamente sorniona il suo allenatore. Lo ha scelto per vincere e stupire. Magari gli riesce in Champions ma, al momento, l'unica novità portata alla Juventus in un anno è l'abitudine alla sconfitta. E senza più l'attenuante del bel gioco.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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