C'è una frase che spicca nel comunicato della Juventus sull'esonero di Massimiliano Allegri. Dice tutto su come il rapporto tra il tecnico e il club si fosse sfilacciato da tempo. È finita con uno strappo doloroso ma lasciarsi con una stretta mano, alla naturale conclusione di un ciclo che coincide anche con la legittima ambizione del club a programmare un futuro differente, sarebbe stato impossibile per la piega presa dalla situazione, per le implicazioni emotive, per il logorio delle "ultime 3 stagioni" che hanno reso frustrante e snervante il compito dell'allenatore, perché era l'ultima appendice da recidere di una Juve che non c'è più.
Si conclude un periodo di collaborazione, iniziato nel 2014, ripartito nel 2021 e terminato dopo le ultime 3 stagioni insieme con la Finale di Coppa Italia.
Non c'è menzione dei cinque scudetti, delle cinque Coppe Italia, delle due Supercoppe italiane conquistate dai bianconeri sotto la sua gestione avvenuta in due momenti diversi: dal 2014 al 2019, con una media punti di 2.27 e il raggiungimento di due finali di Champions perse contro il Barcellona che allora era ancora marziano con Lionel Messi e poi con il Real Madrid galattico di Cristiano Ronaldo; dal 2021 al 2024 dopo le esperienze di Sarri e Pirlo, il Covid che è un macigno per conti e investimenti, con 1.84 punti a match e il pokerissimo di trofei tricolori servito all'Olimpico.
L'atteggiamento plateale tenuto dal tecnico nel finale della partita con l'Atalanta e anche dopo è solo la punta dell'iceberg, né basta a spiegare tutto o addirittura a ridurre la storia in bianconero dell'allenatore a semplice "periodo di collaborazione" senza alcuna menzione dei successi conquistati sotto la sua guida, dimensionando un'esperienza così intensa e quasi decennale alla "Finale di Coppa Italia". È questa la grossa mancanza che balza all'occhio.
Allegri che lascia la Juve in questo modo, tacciato solo di atteggiamenti "non compatibili con i valori della Juventus e con il comportamento che deve tenere chi la rappresenta", calando il silenzio su tutto ciò che ha rappresentato, è una nota stonata. Eppure fino all'anno scorso gli è toccato anche il ruolo ingrato, ben oltre le proprie responsabilità, di capitano sulla nave in burrasca per il terremoto di inchieste che portò alle dimissioni del presidente, Andrea Agnelli (lo ha salutato come la Juve non ha fatto), alla penalizzazione in classifica e all'esclusione dalle Coppe.
Allegri ha messo la faccia in una fase tremenda per i bianconeri, ha caricato sulle spalle tutto il peso di una gestione difficile per la contingenza degli eventi e adesso viene congedato come un dipendente qualunque. Qualificazione in Champions e al Mondiale per Club sono la dote che lascia in termini economici, tesoretti imprescindibili per alimentare quel progetto nel quale non è mai rientrato.
Il suo destino è cambiato radicalmente da quando alla direzione sportiva è arrivato Cristiano Giuntoli (che ha Thiago Motta in mente e carta bianca nelle scelte), da quando con la fine dell'esperienza Agnelli lui stesso – erede di quell'evo moderno all'insegna del "vincere è l'unica cosa che conta" – è divenuto una figura ingombrante. A sollevarlo dall'incarico è stato l'AD, Maurizio Scanavino, perché la scelta della società è stata dettata da motivazioni comportamentali e non tecniche. È finita nel peggiore dei modi, con poco stile e tanto veleno in fondo a una Coppa.