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L’ultimo fallimento della carriera di Antonio Conte: l’Atalanta

Nella carriera di Antonio Conte tanti successi e un ultimo fallimento, ormai lontano nel tempo. Quello sulla panchina dell’Atalanta, allenata per pochi mesi nella stagione 2009/2010. Esperienza naufragata tra contrasti interni allo spogliatoio e un feeling mai scattato con tutto l’ambiente orobico.
A cura di Maurizio De Santis
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Gennaio 2010. Assieme alle feste, la Befana porta via anche la panchina di Antonio Conte. L'Atalanta perde in casa contro il Napoli (0-2). Il tecnico, continuamente beccato dal pubblico durante la partita, si volta e ha un gesto di stizza (l'ennesimo) nei confronti del pubblico. Porta l'indice dinanzi a naso e bocca, prova a zittire quei tifosi che dalla tribuna gliene dicono di tutti i colori perché la ‘dea' è messa male. L'allenatore è spazientito, furente, deluso. Il resto lo fa l'adrenalina e la rabbia che esplodono assieme alla contestazione – questa volta ben più accesa – al termine del match.

"Torna a Torino. Qui non siamo alla Juventus", gli urlarono. La replica fu immediata, d'impulso, senza pensare alle conseguenze che avrebbe scatenato una reazione del genere. "Se non vi vado bene me ne vado… me ne vado!". Finì malissimo con la luce delle volanti a illuminare la notte nei pressi dello stadio, l'intervento degli agenti e quello della dirigenza che trascinò via Conte, per nulla impaurito dal faccia a faccia coi tifosi. Arrivò muso a muso anche con la frangia più pericolosa, intransigente e spregiudicata della Curva nerazzurra. Sfiorò il contatto e quella gazzarra scandì l'annata peggiore della sua carriera. L'ultimo fallimento prima di iniziare quel ciclo vincente che lo avrebbe visto al timone della Juventus e del Chelsea, con la parentesi in Nazionale.

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Le indagini emerse in seguito sulla promiscuità dei traffici indiscriminati che coinvolse alcuni esponenti storici dei supporter confermarono come il clima nei confronti dell'ex juventino (e del club) fosse incandescente. "Claudio (Galimberti, alias il Bocia, leader degli ultrà orobici) voleva andare sotto la Curva a contestare. Arrivammo quasi alle mani perché lui voleva protestare contro Conte per il diverbio con la Tribuna", raccontò Andrea Quadri (conosciuto come ‘Rasta') al processo che vide alcuni tifosi interrogati per quanto accaduto nell'anno della retrocessione.

È un passaggio importante per spiegare qual era il contesto che accompagnò una stagione balorda, da dimenticare: 108 giorni (dal 21 settembre 2009 al 7 gennaio 2010), tanto durò la permanenza di Conte a Bergamo. Eppure gli inizi erano stati di tutt'altra levatura grazie ai 3 pareggi e alle 2 vittorie conquistate. Poi qualcosa andò storto e l'Atalanta andò a picco: nelle successive 9 partite arrivano 7 sconfitte, 1 vittoria e 1 pareggio. Il tracollo fu contro i partenopei.

Mai il tecnico avrebbe immaginato che le cose sarebbero andate in quel modo: a distanza di qualche anno è stato lui stesso a raccontarlo nell'autobiografia uscita nel 2013: "L'Atalanta è una società seria – scrisse allora -. Ha un grande settore giovanile, un centro sportivo ben attrezzato. Posso gestire le cose nel migliore dei modi senza intoppi". Sensazioni che non rivelarono di buon auspicio.

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Alle tensioni con la piazza si aggiunsero anche i rapporti tesi all'interno dello spogliatoio. In particolare con il capitano, Cristiano Doni, l'idolo dei tifosi che nell'anno successivo sarebbe rimasto invischiato in una brutta storia di scommesse. La scintilla che fece scoppiare l'incendio s'accese al termine della partita persa a Livorno.

Tutto nacque per un applauso polemico del calciatore al tecnico che lo aveva sostituito, accompagnato dalla frase "Complimenti per la sostituzione". Nello spogliatoio Doni diede un pugno alla porta. Conte non ci pensò due volte: si voltò e fece lo stesso. "Mi giro e do un pugno alla porta a mia volta, come lui".  Conte urlò al calciatore "Guarda che i cazzotti li sappiamo dare tutti" e ne scaturì un battibecco furibondo. "Credi di farmi paura?", rispose il giocatore che nel frattempo s'era avvicinato con atteggiamento minaccioso, trattenuto dai compagni. "E tu credi di intimorirmi con questi gesti?", rincarò la dose Conte.

La lite e la rissa mancata con il capitano scandirono l'epilogo dell'esperienza di Conte. Le parole della dirigenza gli fanno capire che la situazione non ha via d'uscita. "Doni non possiamo cederlo – si legge ancora nell'autobiografia -, altrimenti ci mettiamo contro l'intera piazza", gli raccomandò l'ex presidente, Ruggeri. I titoli di coda erano già partiti. Il finale fu di male in peggio.

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