L’ultima sfida di Mihajlovic, 8 chilometri sotto la pioggia prima del ricovero: Arianna non voleva
"Non eravamo preparati". Nel ricordo di Sinisa Mihajlovic se c'è una frase di Ivan Zazzaroni che colpisce è proprio quella. Non si può spiegare, non la puoi capire. Ma chi ha provato un grande dolore sa cosa vuol dire. Ti prende un senso di smarrimento improvviso e senti un grande vuoto dentro. Per quanto la morte ci si pari davanti e ci sbatta il suo muso in faccia come a dire ‘guardami, eccomi, sono qui, sono proprio io' non crediamo mai possa essere vero. E allora preghi, speri, t'illudi. Non si è mai pronti e si perdono le parole.
"Il vero Mihajlovic io l'ho conosciuto", dice il direttore del Corriere dello Sport mettendo da parte la retorica del guerriero perché Sini era un'altra cosa, di un'altra pasta. Parla di come ha vissuto, di com'era veramente l'uomo, l'amico di una vita e ancora una volta ne sintetizza l'essenza in un'espressione: "il più dolce dei duri", che dice già tutto ed è il leit-motiv che accompagna la narrazione trasparente della persona.
Chi ha potuto accedere alle tue confidenze e anche al tuo dolore ha ben chiaro che dietro certe sparate – quello l'attacco al muro, quell'altro non ha il coraggio di farsi vivo perché sa bene che se lo incontro le prende -; dietro certe asperità e divertenti esibizionismi, dicevo, c'era un uomo sensibile, di sentimenti, un padre che con i figli alzava la voce e minacciava punizioni pochi istanti prima di arrendersi all'amore.
In casa era il poliziotto buono, di Arianna il ruolo scomodo. Hai recitato una parte, quella del guerriero, che resterà nel cuore della gente. Anche se ho sempre preferito l'autenticità che ti nascondevi. Avevano colpito tutti quel tuo modo di affrontare la malattia, la prima volta. Il faccia a faccia con un avversario più feroce e subdolo. Tu contro la leucemia: partiamo alla pari, avevi detto. Poi, però… Hai indossato tutti i volti della malattia: il coraggio non ti è mai mancato. Il coraggio e l'imprudenza.
Zazzaroni cita alcuni aneddoti come se davanti a lui ci fosse ancora Sini (così lo chiamava con affetto) che "nonostante la malattia gli stesse divorando l'esistenza ma non l'umore, fino a poche ore prima di entrare per l'ultima volta in ospedale aveva programmato trasferte, impegni, telefonato agli amici, Leo, Stefano, Roberto, minacciando ritorsioni".
Otto chilometri, al freddo e sotto la pioggia. Mihajlovic, indebolito dalle cure, con pochissime piastrine nel sangue, era voluto uscire per forza a fare una camminata. Lo aveva fatto contro la leucemia e la logica. Ma la logica in situazioni del genere c'entra nulla. "Arianna (la moglie, ndr) l’aveva pregato di restare a casa, di rimandare. Più tardi, mi ha raccontato, guardando la televisione che trasmetteva uno spot natalizio, la famiglia riunita a tavola, Sini aveva detto di sentirsi felice e che era quella la sua idea di felicità: lui, Arianna, i figli, i loro compagni e Violante, la nipote che tanto gli somiglia nelle espressioni, soprattutto nelle finte cupezze".
E ancora la promessa fatta alla squadra (e mantenuta) di essere in panchina a Verona anche se era "appena un'ombra che a fatica si reggeva in piedi. O quando lasciasti l'ospedale dopo un intervento chirurgico, naturalmente contro il parere dei medici. Oppure nei tanti blitz a Casteldebole per assistere agli allenamenti: volevi far capire che c'eri sempre e che saresti tornato. Te ne sei andato a pochi giorni dal Natale. Non si lascia un vuoto incolmabile proprio nel momento in cui abbiamo tutti più bisogno di calore, amore, famiglia, vecchi amici, buone notizie, serenità, pace. Non eravamo preparati. Sognavamo di rivederti con sorriso e muscoli e risentire la tua inconfondibile voce, quell'italiano che non digeriva gli articoli".
Un legame profondo e leale. È la parte più toccante ed emotiva, perché adesso in primo piano c'è il cuore di Zazzaroni che parla (e scrive) senza filtri. Dopo averlo visto per l'ultima volta nella stanza d'ospedale ha scritto quella che descrive come una lettera all'amico a cui ha voluto bene per 30 anni.
Anche nei momenti più difficili, uno in particolare, quello che non riesco a dimenticare e che non posso dimenticare, la stima e l'amicizia hanno sempre prevalso sui contrasti, sulle incomprensioni, sulle cattiverie di chi non poteva o voleva sapere la verità. E quando un paio di anni fa, al Parco dei Principi, mi spiegasti che ‘non abbiamo più tempo per farci dei nuovi amici, meglio tenerci quelli vecchi', capii che non poteva essere che così.
Ciao, Sini, ho appena cancellato tutti i tuoi messaggi, non il tuo numero. I ricordi saranno la presenza della tua anima. Adesso però posso dirtelo: Arianna aveva ragione, quel berretto da pittore era orribile.