L’ultima cosa fatta da Mihajlovic col figlio prima di morire: “Io e lui, sotto il diluvio”
Il tatuaggio che Miroslav porta addosso raffigura papà Sinisa intento a calciare una punizione. Ogni tanto lo accarezza e gli dà un'emozione particolare. Ripensa agli ultimi istanti, a quella camminata sotto una pioggia battente fatta una settimana prima di morire. E sembra ieri. "Abbiamo percorso una decina di chilometri. Io e lui, sotto il diluvio. Ma lui, niente… mi disse: aspettiamo che smetta e ripartiamo. Era molto magro. Qualcun altro al suo posto sarebbe rimasto a casa, lui invece era come un leone in gabbia".
A un anno di distanza dalla morte di Mihajlovic il figlio conserva intatti tutti i ricordi di una vita del padre, quello vergato sulla pelle è molto più di un simbolo e per niente un vezzo. L'uomo e il calciatore sono ancora accanto a lui: "In campo lo sento vicino – dice il giovanotto, 23 anni, che è assistente tecnico dei ragazzini dell'Urbetevere -. È stato un anno difficile ma l'incarico che ho mi ha aiutato molto. Ho avuto la possibilità di staccare e al tempo stesso di restare legato a lui. Papà mi ha insegnato a inseguire le mie passioni e anche se molti pensano a me come ‘il figlio di' non m'importa. Io amo il lavoro che faccio e vado avanti come Miro".
Dove sarà tra qualche giorno, in occasione dell'anniversario del decesso? Da Bologna a Roma non mancheranno iniziative per la commemorazione ma nelle parole che dice il ‘ragazzo' sembra di leggere il pensiero del genitore, quel senso del dovere e quella voglia di non fermarsi mai, nemmeno dinanzi agli aspetti più duri e delicati della malattia: "Assieme all'under 15 della mia squadra che è prima in classifica – ha spiegato nell'intervista al Quotidiano Nazionale -. Devo esserci, così avrebbe voluto mio padre".
L'esempio della madre, Arianna Rapaccioni, lo ha colpito molto. "Mamma non ci fa vedere che sta male, perché è una donna forte – ha aggiunto Miro -. So che lo fa per noi, so cosa prova davveri. Io e miei fratelli cerchiamo di farla stare meglio".
Il 16 dicembre non sarà mai una data come le altre, perché non è vero che il tempo medica, guarisce, aiuta a dimenticare, lenisce. Perché certe cose te le porti dentro per sempre, cambia solo la capacità di riuscire a gestirle nel migliore dei modi, elaborare il lutto. "Eravamo pronti. Ma la verità è che, per quanto tu possa esserlo, quando arriva quel momento è dura e basta. Tutti ti cercano, la realtà è che vorresti solo sparire. Ringrazio ancora quanti ci hanno mostrato affetto, in particolare Deki (Stankovic, ndr). Lui e papà erano fratelli, per noi è uno zio".