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Luis Enrique alla Roma, con Totti odio e amore: il flop è diventato un feeling eterno

Prima di vincere tutto con il Barcellona e diventare il c.t. della Spagna, Luis Enrique è stato l’allenatore della Roma per una stagione. La sua avventura nella capitale è stata caratterizzata da molte più luci che ombre e si è conclusa con un deludente settimo posto. Arrivato tra l’entusiasmo della piazza, se n’è andato come lo “Stordito”, ma a distanza di anni la piazza giallorossa continua comunque a volergli bene.
A cura di Valerio Albertini
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"Praticherò un calcio spettacolare, voglio portare la gente allo stadio. Non mi conosce nessuno? Vedrete che tra un anno mi conosceranno tutti". Si era presentato così, nel giugno 2011, il nuovo allenatore della Roma, il primo dell'era americana, ovvero Luis Enrique. A rileggerle dieci anni dopo, queste frasi non possono che far restare perplessi i tifosi giallorossi, passati in pochi mesi dall'euforia folle per un cambio di proprietà aspettato da anni e per l'arrivo di quello che all'epoca si riteneva potesse essere l'erede di Pep Guardiola, allo sconforto per l'ennesima stagione finita male, chiusa al settimo posto dopo moltissime ombre e pochissime luci.

Il 20 giugno 2011 la Roma del neopresidente Thomas Di Benedetto e dei direttori Franco Baldini e Walter Sabatini annuncia l'ingaggio di Luis Enrique come nuovo allenatore. L'asturiano è reduce da un triennio sulla panchina del Barcellona B, che ha portato dalla terza divisione ai play-off per arrivare in Liga. La nuova proprietà giallorossa è ambiziosa e individua nel tecnico spagnolo l'uomo giusto per cominciare un nuovo corso. Per questo motivo, convinta di riuscire a replicare a Roma il guardiolismo che da qualche anno ha iniziato a pervadere il mondo del calcio, fa firmare a Luis Enrique un contratto biennale con opzione per il terzo anno da circa 3 milioni di euro a stagione. Si tratta di un investimento importante, che i tifosi interpretano come una dichiarazione d'intenti, quella di rendere finalmente la Roma un club vincente.

Nella capitale, in realtà, il tecnico asturiano non lo conosce quasi nessuno. Chi si ricorda di lui ne ha memoria a causa della gomitata di Mauro Tassotti che gli ruppe il naso ai Mondiali di Usa '94, ma quasi tutti i tifosi romanisti non hanno idea di chi sia il Luis Enrique allenatore. Si aggrappano, così, a fantasie legate al Barcellona che sta dominando il mondo e molti sono convinti che, grazie a una grande campagna acquisti, la Roma potrà imporsi in Italia. Per tutta l'estate si parla della possibile rivoluzione in salsa catalana che porterà lo spagnolo, del mental coach Antonio Llorente che ha deciso di inserire nel proprio staff e di vere o presunte novità che arriveranno dalla Catalogna. Insomma, le aspettative sono altissime e queste vengono rafforzate da un mercato che vede la Roma protagonista dopo anni: arrivano il portiere vicecampione del mondo Maarten Stekelenburg, giovani promettenti come Bojan Krkic, Erik Lamela e Miralem Pjanic, acquisti importanti come quello di Pablo Osvaldo, giocatori d'esperienza come Gabriel Heinze e Fernando Gago, uniti ai prestiti di Simon Kjaer e Fabio Borini e al riscatto di Marco Borriello. È una vera e propria rivoluzione, condita dagli addii a Mirko Vucinic, Philippe Mexes e Jeremy Menez.

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L'uscita con lo Slovan Bratislava e la gestione di Totti

Luis Enrique ha subito l'occasione per convincere i suoi tifosi, visto che il 18 agosto si gioca l'accesso all'Europa League nel play-off contro lo Slovan Bratislava. L'asturiano stupisce tutti tenendo fuori i veterani Simone Perrotta, Rodrigo Taddei, il bomber Borriello, ma soprattutto il capitano Francesco Totti. Qualcuno, a Roma, storce la bocca ancor prima che cominci la partita e continua inevitabilmente a farlo anche dopo il 90′, perché i giallorossi perdono 1-0. Prima della decisiva partita di ritorno, lo spagnolo spiega il motivo della sua scelta:

Totti? Una squadra non è composta da un solo giocatore, ma è un gruppo formato da tante individualità. Io gestisco un gruppo ampio e da questo per ogni partita scelgo i giocatori più preparati.

Nel match di Roma, però, fa marcia indietro e sceglie di mettere in campo il capitano dall'inizio. Da un suo assist nasce il gol di Perrotta che pareggia i conti e fa presagire un agevole passaggio del turno per i giallorossi, senonché alla mezz'ora del secondo tempo, sul risultato totale ancora in parità, Luis Enrique toglie il numero 10 per mettere dentro Stefano Okaka. Alla prima in casa, l'asturiano riceve i primi fischi, e non saranno gli ultimi, della sua avventura romana. Totti esce a testa bassa e va nello spogliatoio senza guardare il suo allenatore. Lo Slovan Bratislava pareggia e la Roma esce dall'Europa League. All'Olimpico va in scena una contestazione che non smuove l'allenatore spagnolo, fermo sulle sue convinzioni anche nel post-partita:

Le mie scelte non possono essere condizionate da quello che dicono i tifosi o la stampa. È una scelta che rifarei, nonostante il risultato. E, poi, chi lo dice che la Roma senza quel cambio avrebbe vinto? Io penso sempre al bene della squadra e del gruppo. Capisco tutto l’interesse che c’è intorno a Totti ma sarò sempre io, lo ripeto, a fare la formazione e le sostituzioni. Perché ho cambiato Totti? I motivi ci sono, ma non intendo renderli pubblici.

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Il cammino in campionato e l'esclusione di De Rossi

Non il modo migliore, dunque, di impattare con il calcio italiano. Dopo pochi giorni per sbollire la delusione è tempo di tuffarsi nel campionato, ma le cose, anche in Serie A, non cominciano per niente bene. La Roma perde all'esordio casalingo con il Cagliari, pareggia con Inter e Siena e Luis Enrique trova la sua prima vittoria sulla panchina giallorossa soltanto la settimana dopo contro il Parma. Neanche il tempo di gioire che, battuta l'Atalanta con una delle migliori prestazioni dell'anno, i giallorossi perdono il derby con la Lazio a causa di un gol di Miroslav Klose al 93′. L'esordio con gol di Lamela sembra regalare uno squarcio di sole ai tifosi romanisti in una stagione che si promette nuvolosa ed effettivamente così si rivela. La batosta di Firenze, dove i capitolini perdono 3-0 e chiudono con tre espulsioni (che caratterizzeranno tutta l'annata), arrivano sei risultati utili consecutivi che rinsaldano, seppur momentaneamente la posizione di Luis Enrique. La sua gioia più importante sulla panchina romanista arriva nella partita in casa contro un'Inter disastrata: finisce 4-0 con doppietta di Borini.

La felicità, però, dura poco e un paio di settimane dopo, in casa dell'Atalanta, si verifica un altro episodio controverso che coinvolge il tecnico asturiano e il secondo leader per importanza nello spogliatoio, Daniele De Rossi. Quest'ultimo si presenta con un minuto di ritardo alla riunione pre-partita e Luis Enrique lo manda in tribuna. La Roma perde malamente 4-1 e, ovviamente, le domande dei giornalisti a fine partita non possono che essere su quanto accaduto con il numero 16. Lo spagnolo risponde ancora una volta alla sua maniera:

Non ho visto De Rossi pronto e se non vedo un calciatore pronto non va in campo perché penso che la squadra sia più importante di un singolo. I giocatori più importanti devono essere degli esempi, il gruppo viene prima di tutto. E nessuno mi può assicurare che con De Rossi in campo non avremmo perso.

Il giorno dopo è la stessa bandiera romanista a rispondere al suo tecnico:

Sono stato solo disattento, non ho mancato di rispetto a nessuno. Se la società vorrà specificare l'entità del ritardo può farlo. Io non sono stato strafottente o maleducato. È vero che devo eseguire gli ordini, ma non viviamo in un regime nazista.

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L'addio e il buon rapporto con i tifosi

Il clima all'interno dello spogliatoio è senza dubbio rovente e la settimana dopo la Roma perde il secondo derby dell'anno, ancora una volta caratterizzato da un'espulsione. I turni successivi sono positivi e i giallorossi si riavvicinano alla zona Champions, ma le due sconfitte contro la Fiorentina in casa e quella pesantissima per 4-0 contro la Juventus allontanano definitivamente i capitolini dal terzo posto necessario per tornare nell'Europa che conta. Non solo, perché i pessimi risultati nel finale di campionato non le consentono nemmeno di prendere parte alla successiva Europa League, finendo al settimo posto. Luis Enrique, da tempo ormai, per la piazza romana rappresenta il passato. È diventato il "Demental coach", lo "Stordito". Un tifoso prende spunto dall'addio di Pep Guardiola al Barça per dedicargli uno striscione che rappresenta al meglio il pensiero del pubblico giallorosso: "Luis Enrique vattene da Roma, s'è liberato il posto al Barcellona". E lo spagnolo lo prende alla lettera. Il 10 maggio 2012, 337 giorni dopo il suo arrivo nella capitale, raduna tutti i calciatori in cerchio e apre il suo cuore, spiegando loro come non sia più in grado di essere l'allenatore della Roma. Due giorni dopo, in conferenza stampa, è lui stesso a spiegare le ragioni della sua scelta:

Me ne vado perché sono molto stanco e provato. Penso che non sarò in grado di recuperare le forze durante l’estate e senza forze non sono in grado di motivare un gruppo. L’anno prossimo non allenerò di sicuro, non so se avrei avuto delle offerte. So che dovrò migliorare la fase difensiva e lo farò. È stato un grande orgoglio essere l’allenatore della Roma. Il rapporto con Totti è stato speciale, si è sempre comportato benissimo ed è stato un grande piacere allenarlo. Grazie di tutto. Forza Roma!

La vittoria contro il Cesena è il commiato di Luis Enrique che, nonostante abbia lasciato un ricordo negativo sul campo ai tifosi della Roma, ne ha lasciato uno positivo dal punto di vista umano, come testimoniato dalla grande vicinanza dei tifosi giallorossi sia nei momenti più belli, ovvero le vittorie con il Barcellona, sia in quelli più tristi, con il pubblico capitolino che non gli ha fatto mancare il proprio sostegno dopo la morte di sua figlia Xana.

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