L’Ucraina vince in Scozia e vede i Mondiali, un miracolo sportivo: mezza squadra era ferma da mesi
Non era una partita come le altre. Non poteva esserlo. L'Ucraina ha interpretato la sfida playoff contro la Scozia con l'animo di chi sa che deve dare tutto perché, al di là del risultato del campo e della posta sportiva in palio, lanciare il cuore oltre l'ostacolo è un atto di orgoglio per il Paese devastato dalla guerra scatenata dalla Russia di Putin. Ha vinto 1-3, lottando, resistendo all'assalto finale scandito da McGregor, mostrando compattezza di gruppo, quella voglia matta di fare qualcosa di speciale perché in patria, a casa (ed è eufemistico parlarne per i territori rasi al suolo dai bombardamenti e dall'operazione militare "Z") possano essere fieri di loro.
Manca ancora un ultimo tassello affinché l'impresa diventi miracolo e sogni bellissimo a occhi aperti. La gara spareggio contro il Galles (5 giugno) può spalancare la porte della qualificazione al Mondiale di Qatar 2022. È stato il loro modo di combattere e hanno dato tutto. Non è retorica dei sentimenti, perché non basta certamente una vittoria per aggiustare le cose, perché i successi di una squadra non hanno mai cambiato il corso della storia né l'hanno messo al riparo dalle atrocità, ma quel che ha fatto la nazionale di Petrakov ha un valore altissimo sotto il profilo umano, professionale.
Mezza squadra era ferma da mesi: eccezion fatta per i giocatori impegnati nelle squadre europee, quel che è rimasto del campionato nazionale ha potuto offrire poco o nulla alla selezione ucraina. Al gap in termini di allenamenti e condizione fisica hanno sopperito con la forza di volontà, trovando energie impensabili, superando ogni sorta di peripezia. A quelle emotive, per la difficoltà di restare concentrati quando sai che se ti squilla il telefono dall'altro capo del filo può arrivarti una comunicazione dolorosa, si sono aggiunte quelle logistiche e organizzative.
L'Ucraina ha istituito il suo quartier generale a Brdo, a pochi chilometri a nord di Lubiana, in Slovenia. Lì a fine aprile, oltre allo staff della nazionale, c'erano appena quattro calciatori. A guidarli il ct 64enne che ha rimuginato a lungo prima di accettare l'incarico: avrebbe voluto imbracciare il fucile per difendere il proprio paese poi è stato convinto a non mollare dai messaggi inviatagli dai soldati al fronte. A raggiungere il ritiro sono arrivati alla spicciolata i giocatori impegnati nei differenti tornei continentali: Oleksandr Zinchenko del Manchester City, l'attaccante del Benfica Roman Yaremchuk e Ruslan Malinovskyi dell'Atalanta. L'ultimo in ordine di tempo è stato il portiere Andrij Lunin, che il 28 maggio scorso ha conquistato la Champions League con il Real Madrid.
Yarmolenko (quello che disse di non volere alcun favoritismo perché voleva meritare sul rettangolo verde la qualificazione), Yaremchuk e Dovbyk in pieno recupero gli autori dei gol che hanno gelato il pubblico di Hampden Park. Uno per tempo. Una combinazione di pugni che ha prima messo in ginocchio la Scozia poi l'ha mandata ko. Uno-due micidiale nella fase cruciale dell'incontro: vantaggio ucraino al 33° del primo tempo, raddoppio al 4° della ripresa infine il tris della gloria al 49°. La gioia incontenibile dei calciatori e dei tifosi sugli spalti ha aggiunto quel tocco di emozioni e commozione che sembrano usciti dal copione di un film. Non è finzione, è realtà. Tutto vero. Come le lacrime di Zinchenko nell'immediata vigilia della partita, quando è scoppiato a piangere auspicando la fine del conflitto. Come l'abbraccio che ha unito tutti, allo stadio come in quell'angolo di mondo in cui si può dare ancora un senso alla vita anche se un senso non c'è più.